Toscana

Immigrati, presentata la «Carta di Siena». Mons. Agostinelli: uscire dall’emergenza

La «Carta» è articolata in 8 punti tematici, complementari, condivisi e frutto di una costante sintesi tra le commissioni laiche ed ecclesiali coinvolte. Premettendo l’intento, gli autori ed i destinatari del documento, il testo affronta l’approccio all’immigrazione tanto a partire dai primi contatti culturali, proponendo la necessità di pianificare una promozione umana e civile delle stesse unicità identitarie linguistiche, quanto ponendo senza mezzi termini l’accento sulla necessità di abolire il «reato di clandestinità» e di affrontare la questione della cittadinanza e dei diritti politici. Non si sottrae in questi termini l’impegno delle Chiese locali per una nuova evangelizzazione, che tenga conto di un processo avviato e incontrovertibilmente indirizzato alla promozione umana e civile in una società multiculturale. Vecchi e nuovi spazi linguistici, vuoti o disumanità normativi, nuova evangelizzazione e soprattutto il cambio di paradigma e approccio culturale nei confronti del fenomeno migratorio, sono cardini che contraddistinguono il percorso che porta alla «Carta di Siena».

Invitati oggi a Siena, in una sorta di «laboratorio per l’integrazione», figure del mondo accademico ed ecclesiale, istituzionale e associativo. Dopo i saluti della autorità, aperti da Maurizio Certini, direttore del Centro Internazionale Studenti «Giorgio La Pira» e Monica Barni, Rettrice dell’Università per stranieri di Siena, il vescovo delegato Migrantes per la Conferenza Episcopale Toscana, mons. Franco Agostinelli, ha spiegato il senso di un convegno fortemente voluto per un costruire un nuovo approccio culturale al tema. «L’approccio tenuto rispetto al tema in questi anni non è esatto: non dovevamo nè possiamo affrontare il tema secondo visione emergenziale, ma dialogare profondamente con le realtà di riferimento» – ha affermato il vescovo. «Abbiamo sostenuto l’idea – precisa – di un confronto aperto, che fosse formativo, informativo e soprattutto propositivo, perché siamo chiamati a dialogare con ogni realtà in grado di apportare un contributo civile e umano alla maturazione di un nuovo modello di approccio al tema. Per questo abbiamo scelto un luogo laico di incontro e scambio, he ci consenta di conoscere e dialogare, ma mai più di ignorare o sbagliare ancora secondo visione emergenziale».

«Nel mondo globale l’Italia è il terzo paese europeo per flusso di immigrati e mai come in questo momento le lingue sono entrate in contatto» – ha affermato il prof. Massimo Vedovelli, linguista, appena nominato assessore alla cultura del Comune di Siena. «Con l’altro, inizialmente ‘straniero’, si entra in contatto attraverso le lingue: nel mondo globale non possiamo rispondere annullando la diversità; la lingua inglese è certo utile, ma la capacità di relazione con ogni unicità – ha precisato – non può tralasciare la cura delle specifiche lingue corrispondenti a diverse identità. La Carta di oggi si riferisce a Siena – ha affermato Vedovelli – perché la città assume caratteristiche emblematiche dell’intero panorama nazionale: non potremo forse guidare il problema dell’integrazione ma potremo provare ad orientarlo. Paradossalmente gli italiani solo sono al penultimo posto in Europa per conoscenza di lingue straniere, sono ultimi secondo l’OCSE per capacità di leggere,  far di conto, stare al computer. E’ necessaria una svolta – ha sottolineato – per uno sviluppo culturale e linguistico dell’intera popolazione italiana. Finché il Paese dimenticherà questa attenzione alla prima formazione, così come tanti imprenditori continueranno a intendere queste persone come merci o come braccia, si continuerà a sbagliare e ad alimentare un processo fallimentare. Ma non c’è alternativa – ha concluso – ad una reale svolta rispetto alle logiche di integrazione». Considerazioni rafforzare dalla Rettrice dell’Università per stranieri di Siena, Monica Barni, la quale ha puntualizzato come «lo Stato non sia ancora impreparato per consentire una prima formazione ai migranti: in questo senso la lingua non è considerata quale dialogo, ma quale filtro per l’accesso; succede negli altri paesi europei ma particolarmente all’Italia. Se si parla di integrazione – ha affermato Barni – potere stabilire rapporti sociali richiede conoscenze linguistiche adeguate, per una società che deve creare opportunità per istruirsi».

Molto intenso sul piano normativo l’intervento di Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale ha tenuto innanzitutto a chiarire come «non si neghi che l’immigrazione sia accompagnata talvolta da degrado sociale», ma anche come non si possa dimenticare che secondo la nostra Costituzione sia dovere della Repubblica rimuovere ostacoli che impediscano un’integrazione umana e civile. «Dinanzi alle condizioni vergognose di abbandono di molti immigrati – ha affermato De Siervo – occorre rimediare subito, mentre a prescindere dal colore politico sono molteplici le mancanze di amministrazioni nazionali e locali non riesco a dimenticare l’insonne attivismo di Giorgio La Pira a Firenze nei confronti di quella che lui chiamava “povera gente”. Sull’esempio del Professor La Pira, che si inventò come amministratore pressando furiosamente il sistema politico nazionale, siamo altrettanto chiamati a denunciare l’inadeguatezza della normativa e le sue evidenti carenze».

Una via da esprimere quotidianamente, in particolare negli ambienti di richiamo educativo e pedagogico: «l’intercultura è autentica emergenza» ha affermato in proposito il prof. Giuseppe Milan, pedagogista all’Università di Padova. «Allude chiaramente ad un processo in atto, complesso e difficile: l’intercultura chiama in causa un paradigma antropologico per molti versi nuovo e che stenta molto a farsi strada nella nostra cultura e, in linea di massima, nella concezione dell’essere umano: è il paradigma dialogico che vede l’essere umano come persona relazionale, come identità interculturale» ha affermato. Citando il «Libro Bianco sul dialogo interculturale», lanciato a Strasburgo il 7 maggio 2008 dai Ministri degli Affari Esteri del Consiglio d’Europa, ed «il Libro Verde-Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d’istruzione europei», presentato a Bruxelles il 3 luglio 2008, il prof. Milan ha espresso alcune linee interpretative rispetto all’analisi della migrazione e delle sue conseguenze, alle strategie culturali e pedagogico-didattiche da attuare negli ambiti scolastici.

In particolare, ha sottolineato Milan, «La via italiana per la scuola interculturale individua quattro principi generali: l’universalismo, la scuola comune, la centralità della persona in relazione e l’intercultura». Il primo si fonda sul rispetto dei principi esposti dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia (ONU 1989), concependo l’istruzione come diritto di ogni bambino e gli adulti come vincolati al dovere di rispettare e tutelare l’istruzione scolastica, in un contesto in cui a tutti devono essere offerte pari opportunità. Il secondo principio generale, sulla scuola comune, evidenzia l’importante e specifica scelta del nostro Paese: «inserire gli alunni di cittadinanza non italiana nella scuola comune, all’interno delle normali classi scolastiche ed evitando la costruzione di luoghi di apprendimento separati». Il terzo principio si fonda sul rispetto della persona umana, sul riconoscimento del suo carattere relazionale e della sua «unicità biografica e relazionale»; il quarto principio si fonda sulla necessità di promuovere «il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed  affrontare i conflitti che ne derivano». 

«Non possiamo dimenticare che un Ministro della Repubblica si è vantato di tutti i respingimenti operati» ha tuonato Savino Pezzotta, Presidente del Consiglio italiano per i Rifugiati. «Per anni siamo stati abituati ad ascoltare stati d’accusa rispetto a processi che non conosciamo: cosa sappiamo del costo umano ed economico di un viagggio della speranza dalla guerra siriana alla Libia, cosa di chi viene respinto in mare e muore sotto tortura?» ha accusato Pezzotta: «la sensazione è che si debba uscire da un deserto culturale di almeno venti anni, che ha storpiato l’idea stessa di migrazioni e reso fragilissimo e complice il nostro approccio».

Una logica conflittuale ormai intollerabile e pericolosa, sottolineata anche dall’intervento di Alessandro Martini, referente per la Caritas Toscana: «abbiamo creato un sistema di conflitto che è anche intergenerazionale, non solo relativo al confronto tra italiani e non italiani: dobbiamo riprendere in mano l’attenzione collettiva al dialogo e al confronto per rivedere un sistema togliendo la base al futuro e ponendo un presente già gravemente preoccupante».

«E’ giunto il momento di valorizzare le persone che arrivano, a prescindere dalla loro provenienza, anziché preoccuparsi di come arginare e bollare chi arriva nel nostro Paese» ha affermato Pasquale Ferrara, segretario generale dell’Università Europea. «Il paradosso, ma direi in vero scandalo, è che se oggi una merce qualunque entra nell’Unione Europea, nel Mercato Unico, attraverso il porto di Amsterdam, può liberamente circolare in tutto il territorio dell’Unione. Se invece a Lampedusa entra una persona, non può andare in nessun altro Paese dell’Unione. I confini vengono magicamente ripristinati per gli ‘stranieri’.  Questa non è una politica immigratoria; è una non-politica, un non-scelta che è però intrisa di responsabilità. Una delle esigenze fondamentali è quella di collocare le migrazioni in una prospettiva di medio-lungo periodo. E’ bene indignarsi per le tragedie che avvengono in questi anni – continua Ferrara – ma dovremo abituarci a vedere le migrazioni in un quadro più ampio, avendo la consapevolezza che questo fenomeno caratterizzerà la politica europea e mondiale nei prossimi decenni. Nel 2050 sui calcola che i migranti nel mondo raggiungeranno la cifra di 250 milioni; il 65% di essi tenderà a stabilirsi nei paesi più sviluppati (e qui occorre includere anche i paesi ora emergenti, i BRICs e altri paesi soprattutto asiatici)».   

Presente significativamente per l’occasione, nell’Università per Stranieri di Siena, con una mostra composta da pannelli, anche la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, sorta per archiviare e tutelare la memoria dell’immigrazione italiana all’estero, a partire dall’esodo lucchese. Estremamente toccante l’intervento di Jean Claude Mbede Fouda, giornalista camerunese, direttore di All-tv, la televisione nata per raccontare l’immigrazione secondo gli occhi degli immigrati. Mbede Fouda, rifugiato politico per la sua coraggiosa azione di informazione in patria, ha illustrato i termini di un progetto imprenditoriale di rilievo per i nuovi cittadini, visualizzabile sul sito www.all-tv.it

«Oggi i migranti hanno bisogno di una città, una comunità cioè che non esclude e dove tutti si sentono partecipi: questa parola integrazione per esser vera ha bisogno di una città di riferimento» ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, tirando le fila del convegno. «Oltre il mercato e la banca, ossia i luoghi economici, luoghi di incontro come le piazze sono basi su cui costruire una città dell’integrazione. Luoghi cioè di legami e relazioni, secondo tutto ciò che costituisce un ascolto o un incontro, perché la città deve sapere riconoscere, più che controllare, giacché non è la sicurezza la base, ma il riconoscimento di valori e conoscenze. In questo senso, educazione e formazione, anche degli adulti, sono fondamentali, al fine di procedere verso una scuola che sia gruppo e non ghetto, ‘per la vita e non per la professione’, citando l’esperienza toscana di Don Lorenzo Milani – ha ribadito don Perego. Ingresso in associazionismo e attenzione ai diritti esigibili per persone e famiglie, anche per le minoranze, così come i doveri, sono ulteriori cardini per la costruzione della città dell’integrazione; non si dimentichi però di mettere al centro il lavoro delle persone, a proposito del quale è da bandire ogni forma di sfruttaemento e insicurezza, perché la città è luogo della “carne di Cristo”, come ha ricordato Papa Francesco. Da Siena parte un sogno, ma un sogno ad occhi aperti – ha concluso Perego – che vede tutti responsabili di tutti e vede le 200 nazionalità diverse presenti in Italia un punto di partenza per ridisegnare insieme le città italiane e l’Europa».