(ASCA) – E’ l’Emilia Romagna la regione più vivibile per gli immigrati che risiedono nel nostro paese. In particolare, il potenziale di integrazione più alto in tutta Italia spetta alla provincia di Parma che brilla, tra gli altri, per tasso di costitutività familiare e grado di accessibilità del mercato immobiliare. Questa la fotografia scattata dal VII Rapporto Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia. La maglia nera per le regioni meno ospitali va invece alla Puglia e alla Sardegna: il contesto sardo, in particolare, chiude la graduatoria delle regioni con un potenziale di integrazione degli immigrati pari alla metà di quello dell’Emilia Romagna, che si trova al primo posto con un valore medio complessivo di 60,82 (su una scala da 1 a 100), a dimostrazione che il margine di miglioramento resta ancora piuttosto ampio. Al secondo posto della graduatoria assoluta si trova il Friuli Venezia Giulia, seguita da Lombardia e Lazio che precedono Veneto, Trentino Alto Adige e Toscana. Per L’Emilia Romagna il punto di forza relativamente maggiore risiede nelle condizioni di inserimento sociale che sa offrire agli immigrati, soprattutto per l’inserimento scolastico degli alunni stranieri (basso tasso di non ammissione all’esame finale di III media: 6,7% contro una media nazionale dell’8,5%, che le vale il 2* posto nella graduatoria dell’indicatore, preceduta solo dall’Umbria), il tasso di naturalizzazione (3,01 casi ogni mille residenti, secondo dato migliore dopo quello del Trentino Alto Adige e sensibilmente superiore alla media nazionale di 1,99 per mille) e il tasso di costitutività familiare (83,1% di famiglie con almeno un componente straniero in cui a essere straniero sia anche il capofamiglia: una quota di 2 punti percentuali superiore alla media nazionale e preceduta solo da quella di Lazio, Veneto, Lombardia e Umbria), tutti indicatori che denotano un forte radicamento territoriale degli stranieri.Non mancano, tuttavia, ambiti di inserimento occupazionale in cui la regione spicca altrettanto positivamente: si tratta, in particolare, del tasso di impiego della manodopera straniera (i lavoratori stranieri incidono sul totale degli occupati per il 18,8%, oltre 3 punti in più rispetto alla media nazionale, dato che le vale il 3° posto nella corrispondente graduatoria dopo Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia), del reddito da lavoro dipendente (2.566 euro superiore alla soglia minima annua di povertà assoluta, uno scarto positivo di 236 euro superiore a quello media nazionale, il 6° più elevato tra le regioni italiane) e dell’incidenza dei titolari d’impresa stranieri (4,7% sul totale dei lavoratori in proprio del luogo, seconda percentuale più elevata del Paese dopo quella della Toscana, a fronte di una media nazionale del 3,1%). La graduatoria assoluta delle regioni trova un sostanziale rispecchiamento in quella delle province, dove spicca, con il potenziale di integrazione più alto tra tutte, Parma. Il contesto parmense dimostra condizioni di inserimento sociale degli immigrati particolarmente positive, rispetto al resto delle province italiane, soprattutto per quanto riguarda il tasso di costitutività familiare (essendo ben l’85,9% le famiglie con almeno un componente straniero in cui sia tale il capofamiglia, dato superiore di quasi 4 punti percentuali alla media nazionale e che colloca la provincia di Parma al 7° posto della corrispondente graduatoria, in fascia d’intensità massima), il tasso di naturalizzazione (2,38 per mille, il 22° migliore tra tutte le province italiane e sopra la media nazionale) e il grado di accessibilità al mercato immobiliare (con un’incidenza del costo medio di affitto sulla retribuzione media di un lavoratore non comunitario pari al 31,1%, a fronte di una media nazionale del 37%, dato che situa la provincia al 31° posto e in fascia massima), rivelando anche un coinvolgimento relativamente contenuto degli immigrati nella criminalità (il cui tasso triennale di crescita, tra il 2005 e il 2008, è inferiore di 31 punti percentuali al contestuale aumento degli stranieri sul territorio).Tornando all’indice finale, il Cnel sottolinea che la provincia dal potenziale di integrazione più alto dopo Parma risulta essere ancora un contesto emiliano-romagnolo, Reggio Emilia, con un valore di 58,65 che la rende prima tra i territori a media intensità. Se considera che al 10° posto della medesima graduatoria generale si incontra Modena (53,21 e intensità media), si osserva che tra le prime 10 posizioni dell’indice finale si incontrano ben 3 province dell’Emilia Romagna, a ben spiegare il primato di quest’ultima tra le regioni italiane. Del resto 3 sono anche i contesti provinciali del Friuli Venezia Giulia (seconda regione nella corrispondente graduatoria) in cui ci si imbatte scorrendo sempre le prime 10 posizioni: si tratta, nell’ordine, di Trieste (5° posto con un valore dell’indice pari a 56,93), Gorizia (6° con 56,79) e Pordenone (9° con 53,54), tutte con un potenziale di integrazione di media intensità. Completano il quadro delle prime 10 province, 4 contesti appartenenti ad altrettante diverse regioni: la veneta Vicenza (3* con 58,26), la toscana Prato (4* con 57,14), la piemontese Asti (7° con 54,98) e la siciliana Enna (8° con 53,72).Al fondo della classifica, invece, si trovano 16 province con un potenziale di integrazione di bassa intensità, comprese tra il valore di Vibo Valentia (88° posto), pari a 39,97 (inferiore di un terzo rispetto a quello di Parma, che guida la graduatoria) e il valore di Oristano (ultima, peraltro immediatamente preceduta da un’altra provincia sarda, Nuoro), pari a 26,02 (equivalente a un potenziale di integrazione più che dimezzato rispetto a quello della provincia di testa). Decisamente significativo, secondo il Cnel, è che tra queste 16 province a basso potenziale di integrazione se ne incontrano ben 4 (2 del Meridione e 2 dell’Italia settentrionale) il cui rispettivo capoluogo è una città metropolitana, ovvero uno dei 12 Comuni italiani con oltre 250.000 abitanti: si tratta, in ordine decrescente, di Napoli (89°), Venezia (94°), Torino (96°) e Bari (99°).Le condizioni di immigrati e italiani in Sicilia non sono poi così distanti, anzi ad Enna i primi stanno meglio dei secondi. In particolare, tra tutte le regioni italiane, la Sicilia offre le condizioni di inserimento socio-occupazionale più paritarie tra immigrati e italiani, con un valore di appena -0,06 a svantaggio degli stranieri (su una scala che va da una scarto massimo negativo di – 1,00 a uno massimo positivo di +1, con lo zero che indica sostanziale uguaglianza tra le due parti di popolazione), nonostante il contesto isolano mostri, nella graduatoria assoluta, un potenziale di integrazione di grado medio (8* posto con valore di 49,40 unità di scala centesimale). Enna, Palermo, Catania e Siracusa sono, in particolare, le province siciliane in cui questa parità di inserimento risulta più affermata, essendo quelle che compaiono tra le prime 10 della graduatoria. Enna, specialmente, è la prima di tutte le province d’Italia e l’unica ad avere un valore positivo dell’indice (+0,20), a indicare che qui il livello generale di inserimento socio-lavorativo degli stranieri arriva, nel complesso, a essere anche leggermente migliore di quello degli italiani. Dopo la Sicilia, le regioni con il minimo differenziale tra immigrati e italiani sono, nell’ordine, il Piemonte (-0,13), dove è in particolare la provincia di Biella (2a in Italia) a segnalarsi per maggiori condizioni paritarie di inserimento (valore 0,00, cioé assoluta equivalenza tra le due popolazioni); il Molise (-0,14); la Sardegna (-0,15), con Nuoro e Cagliari in maggiore evidenza (3° e 7° posto tra tutte le province italiane); il Trentino Alto Adige; quindi un gruppo di tre regioni (Campania, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta) che condividono lo stesso valore dell’indice (- 0,17) e che precedono Lazio (-0,18) e Veneto (-0,20) che completano il gruppo delle regioni con valori di medio livello. L’Emilia Romagna, che pure guida la graduatoria assoluta con il potenziale di integrazione più elevato tra le regioni italiane, in questo contesto è solo al 12° posto, con un valore differenziale (-0,27) che rivela ancora, al suo interno, una certa disparità nelle condizioni generali di inserimento socio-occupazionale tra immigrati e italiani.