Firenze

Immacolata: Gambelli, la nostra carità non sia ipocrita

L’arcivescovo di Firenze ha celebrato stamani la Messa solenne nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore e poi, come da tradizione, ha reso omaggio alla Beata Vergine Maria nella solennità dell’Immacolata nella logga del Bigallo

L’arcivescovo di Firenze ha affidato a Maria tutti coloro che soffrono e ha chiesto che “i nostri cuori non si appesantiscano per gli affanni della vita”. Durante l’Omelia rileggendo la liturgia odierna ha sottolineato come “Ciò che ci separa da Dio non sono le nostre colpe, ma la presunzione di essere senza peccato o la disperazione nella quale cadiamo quando ci accorgiamo di aver sbagliato. La vergogna che provano l’uomo e la donna nel giardino dopo aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male ci parla proprio di questa resistenza alla grazia”

Di seguito l’Omaggio a Maria e a seguire il testo dell’omelia della Messa celebrata stamani nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Omaggio alla Beata Vergine Maria:

Maria Madre della speranza, In questo tempo di Avvento, ricorriamo a te, aiutaci a essere vigilanti, fa’ che i nostri cuori non si appesantiscano per gli affanni della vita. Insegnaci a metterci in ascolto della Parola del tuo Figlio per aprirci alla fede, cosicché possiamo essere attenti alle sofferenze del prossimo, e la nostra carità non sia ipocrita.

Mentre affidiamo alla tua materna intercessione tante situazioni di sofferenza, anche noi vogliamo dire il nostro “Eccomi” al Signore, per essere nel mondo seminatori di speranza. Seguendo il magistero di Papa Francesco, pensiamo prima di tutto alle popolazioni oppresse dalla brutalità della guerra: tacciano le armi e smettano di portare distruzione e morte. Sostieni con la tua vicinanza e la tua preghiera tutti coloro che vincendo paure e preoccupazioni del futuro, compiono gesti generativi di speranza e di pace come quello di procreare nuovi figli e figlie. Ti affidiamo i detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Ti affidiamo gli ammalati che si trovano a casa o in ospedale, perché nelle loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza delle persone che li visitano. Ti affidiamo i giovani, soprattutto quelli che non vedendo sbocchi per il futuro della loro vita, sono tentati dalla disperazione. Aiutaci a trovare la forza per saperli ascoltare e per saper loro trasmettere fiducia nella vita, nella bellezza dei gesti di generosità e di gratuità. Ti affidiamo i migranti che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e le loro famiglie. Fa’ che le comunità cristiane siano sempre più pronte ad accogliere, accompagnare, promuovere, integrare gli esuli, i profughi, i rifugiati. Ti affidiamo gli anziani che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono. Aiutaci a saper custodire il tesoro della loro esperienza e sapienza di vita di cui sono portatori. Ti affidiamo chi ha perso il lavoro, e tutte le famiglie che per questo sono in difficoltà. Ti affidiamo i poveri che spesso mancano del necessario per vivere. Quasi sempre sono vittime e non colpevoli.  Aiutaci a prendere coscienza dello scandalo della fame nel mondo che diventa ancora più grave a causa delle spese per le armi. Madre della speranza, aiutaci a credere che un mondo migliore è possibile, che la pace si costruisce in modo artigianale, soprattutto con quei piccoli gesti compiuti con coraggio, fidandoci del Figlio tuo Gesù, mentre tu ci ripeti incessantemente: “Tutto quello che vi dirà, fatelo!”. Amen

Omelia pronunciata in cattedrale

Il significato della festa di oggi è ben riassunto nelle parole della preghiera colletta che abbiamo recitato all’inizio della celebrazione: “O Dio, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio e, in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione di venire incontro a te in santità  e purezza di spirito”.

Nella formulazione del dogma nel XIX secolo abbiamo uno di quei tipici esempi in cui il Magistero si è lasciato guidare oltre che dalla riflessione dei teologi, anche dal sensus fidei fidelium, cioè da quella sorta di intuito spirituale del santo popolo di Dio che non sbaglia quando percepisce in modo unanime alcune verità di fede, come quella dell’Immacolata Concezione di Maria o della sua Assunzione in cielo.

Come sappiamo i vangeli sono una rilettura degli eventi della vita di Gesù che la Chiesa compie con quella luce nuova che viene dalla Pasqua del Cristo. Anche noi oggi, associati mediante il Battesimo alla morte e risurrezione del Signore, possiamo sempre meglio cogliere la ricchezza della grazia di Dio e la gioia di lasciarci trasformare da essa. Il Vangelo che abbiamo ascoltato è scandito dalla ripetizione di un’espressione (kaì idoù in lingua greca): “ed ecco”. Possiamo riconoscere così nel testo tre momenti: l’annuncio della nascita di Gesù, il segno di Elisabetta, il sì di Maria.

“Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Nell’annuncio della nascita di Gesù viene messo l’accento su una caratteristica molto importante del suo regno, che lo distingue da tutti gli altri, vale a dire la sua durata eterna: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Il carattere indistruttibile del regno del Signore è un modo per affermare che il suo amore è più forte del male. Niente e nessuno può farlo indietreggiare nella sua volontà di salvarci. Ciò che ci separa da Dio non sono le nostre colpe, ma la presunzione di essere senza peccato o la disperazione nella quale cadiamo quando ci accorgiamo di aver sbagliato. La vergogna che provano l’uomo e la donna nel giardino dopo aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male ci parla proprio di questa resistenza alla grazia. Notiamo però la finezza con la quale il Signore Dio entra nelle loro vite chiedendo loro: “Dove sei?” e non: “Cosa hai fatto?”. Bisogna imparare a passare dal senso di colpa che ci chiude in noi stessi al senso del peccato che ci apre alla misericordia del Signore, capace di compiere meraviglie nelle nostre miserie. Nell’annuncio di una vittoria della stirpe della donna su quella del serpente abbiamo una sorta di protovangelo che ci invita a guardare a Gesù insieme a Maria sua madre. Maria è stata salvata in anticipo: anche lei, per grazia, è senza peccato. Quando la invochiamo come rifugio dei peccatori o quando le chiediamo di pregare per noi poveri peccatori adesso e nell’ora della nostra morte, noi riconosciamo che lei condivide quello stile di Gesù che si lascia avvicinare da pubblicani e prostitute e non teme di mangiare con loro. Quante mamme ancora oggi sanno testimoniare con le loro parole e le loro opere la tenacia dell’amore nei confronti di figli che ripetono azioni malvagie, senza stancarsi nell’offrire loro rifugio e nuove possibilità per ripartire nella vita. Il secondo “ecco” introduce il segno di Elisabetta: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Questo segno è evocato all’interno di un colloquio fra l’angelo e Maria in cui si parla dell’azione dello Spirito Santo che scenderà su Maria. Lo Spirito Santo è il dono che Dio ci offre per aiutarci a guardare il mondo con gli occhi della fede. Elisabetta vecchia e giudicata sterile è già al sesto mese della sua gravidanza. Ancora oggi, se ci apriamo all’azione dello Spirito Santo, possiamo riconoscere questi segni di luce nel nostro mondo, attraverso i quali il Signore vuole far crescere in noi la speranza.

In questo tempo di Avvento siamo invitati a vigilare affinché i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita. Lo Spirito Santo che è sceso su Maria scende ora anche su ognuno di noi per alleggerire i nostri cuori e infondere in noi il coraggio di credere che un mondo diverso è possibile. Papa Francesco ci invita spesso a credere nella rivoluzione della tenerezza: “Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire permesso, scusa, grazie. Eppure, ogni tanto, si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza” (FT 224). L’ultimo “ecco” introduce il  sì di Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Il verbo greco con il quale si esprime l’adesione di Maria alla volontà di Dio è un ottativo (ghenoito), una forma verbale con cui si fa riferimento a un desiderio, a una volontà ferma e convinta di collaborare. In Maria troviamo un anticipo di ciò che la Chiesa è chiamata a diventare: sposa di Cristo, senza macchia né ruga, splendente di bellezza. Ci affidiamo all’intercessione di Maria perché la riforma sinodale della Chiesa possa essere sempre più vissuta da tutti i suoi membri con convinzione, soprattutto in questo tempo in cui siamo chiamati a una testimonianza più coraggiosa e profetica di pace nel mondo.

In una notte buia e fredda. due porcospini cercano in tutti i modi di scaldarsi. Avvicinandosi l’uno all’altro scoprono involontariamente che il freddo si attenua, si fa meno pungente. Così si avvicinano sempre di più ma finiscono per pungersi a vicenda. Allora spaventati entrambi si allontanano e di nuovo il freddo li assale. Restano però sempre dei porcospini, così quando si avvicinano si pungono ancora. Spaventati, proprio come era successo nel primo tentativo, fuggono lontani l’uno dall’altro. Vanno avanti ancora un po’, cercando di resistere al freddo ma in loro è sempre vivo il ricordo del calore che sprigionavano i loro corpi vicini. A poco a poco, però, capiscono che esiste una distanza che permette loro di scaldarsi e di non pungersi: è il rispetto reciproco, è il “non invadere” troppo il terreno dell’altro. Così vicini, ma rispettosi ciascuno del proprio essere, i due porcospini vincono il freddo e sopravvivono. Probabilmente, senza il calore dell’altro uno di loro sarebbe morto: invece insieme riescono a superare le difficoltà e a vivere  proprio uno accanto all’altro, senza ferirsi e disturbarsi. Aiutaci Maria a non dimenticare che Dio ama chi dona con gioia, a credere che siamo tutti chiamati a diventare santi e immacolati nella carità.