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Il viaggio in Azerbaijan e Bulgaria (22-26 maggio 2002)

1. IL SALUTO ALL’AEROPORTO DI BAKU (22 maggio 2002)

2. L’OMELIA AL PALAZZO DELLO SPORT DI BAKU (23 maggio 2002)

3. ALL’AEROPORTO DI SOFIA (23 maggio 2002)

4. VISITA AL PATRIARCA MAXIM (24 maggio 2002)

5. CON I RAPPRESENTANTI DEL MONDO DELLA CULTURA (24 maggio 2002)

6. PELLEGRINAGGIO AL MONASTERO DI S. GIOVANNI DI RILA (25 maggio 2002)

7. VISITA ALLA CATTEDRALE CATTOLICA DI RITO BIZANTINO-SLAVO, A SOFIA (25 maggio 2002)

8. SANTA MESSA CON BEATIFICAZIONI, NELLA PIAZZA CENTRALE DI PLOVDIV (26 maggio 2002)

9. INCONTRO CON I GIOVANI NELLA CATTEDRALE DI PLOVDIV (26 maggio 2002)

10. CERIMONIA DI CONGEDO, NELL’AEROPORTO DI PLOVDIV (26 maggio 2002)

All’arrivo all’aeroporto internazionale di Baku, previsto per le 16 (ora locale), il Papa è accolto dal Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, S.E. il Signor Heidar Aliev, dalle Autorità politiche e civili: i Capi Missione del Corpo Diplomatico, il Nunzio Apostolico Mons. Claudio Gugerotti, P. Daniel Pravda, S.D.B., Superiore della Missione “sui iris”, con gli altri due membri della Comunità Salesiana e Mons. Wojciech Zaluski, Consigliere della Nunziatura Apostolica. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Sig, Heidar Aliev, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

Signor Presidente,  Illustri Autorità civili e religiose,  Gentili Signore e Signori!

1. A tutti il mio saluto deferente e cordiale. Ho accolto con viva gratitudine, Signor Presidente, il Suo reiterato invito a visitare questo nobile Paese, ed ora desidero manifestarLe la mia gioia per il dono fattomi da Dio di raggiungere la terra azera e di incontrarmi con i suoi abitanti.

Grazie per le cortesi parole di benvenuto, che Ella ha voluto rivolgermi. Questo viaggio si colloca nel decimo anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra l’Azerbaijan e la Santa Sede. L’indipendenza, conquistata dopo lunga dominazione straniera, è stata vissuta in questi anni tra non poche difficoltà e sofferenze, ma senza mai smarrire la speranza di poter edificare nella libertà un futuro migliore. La Nazione ha visto così crescere e consolidarsi i contatti con gli altri popoli. Ne è derivato un reciproco arricchimento, che non mancherà di portare i suoi frutti negli anni che verranno.

2. Pongo piede in questo antichissimo Paese, portando nel cuore l’ammirazione per la complessità e la ricchezza della sua cultura. Ricca della multiforme e specifica connotazione caucasica, essa raccoglie l’apporto di svariate civiltà, in modo particolare di quella persiana e di quella turanica. Grandi religioni sono state presenti ed operanti in questa terra: lo zoroastrismo ha convissuto con il cristianesimo della Chiesa albana, tanto significativa nell’antichità. L’islam ha poi svolto un ruolo crescente, ed è oggi la religione della grande maggioranza della popolazione azera. Pure l’ebraismo, qui presente da tempi molto antichi, ha arrecato il suo contributo originale, tutt’oggi apprezzato.

Anche dopo l’attenuarsi dell’iniziale fulgore della Chiesa, i cristiani hanno continuato a vivere fianco a fianco con i fedeli di altre religioni. Ciò è stato possibile grazie ad uno spirito di tolleranza e di reciproca accoglienza, che non può non essere motivo di vanto per il Paese. Faccio voti ed elevo preghiere a Dio perché le tensioni residue possano essere presto superate e tutti trovino pace nella giustizia e nella verità.

3. L’Azerbaijan è una porta tra l’Oriente e l’Occidente: per questo esso riveste non solo un valore strategico di rilevante significato, ma anche un valore simbolico di apertura e di scambio, che potrà assicurare, se giustamente coltivato da tutte le parti, un ruolo particolarmente importante alla Nazione azera. E’ tempo che l’Occidente riscopra, insieme con il pieno rispetto per l’Oriente, anche il desiderio di un incontro culturale e spirituale più intenso con i valori di cui esso è portatore.

Da questa porta di civiltà che è l’Azerbaijan, rivolgo oggi un appello accorato a quelle terre che sono teatro di sconvolgimenti bellici, da cui sofferenze inenarrabili derivano per le popolazioni inermi. Urge l’impegno di tutti per la pace. Ma deve trattarsi della pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sul rifiuto del fondamentalismo e di ogni forma di imperialismo, sulla ricerca del dialogo come unico strumento valido per comporre le tensioni, senza precipitare Nazioni intere nella barbarie di un bagno di sangue.

4. Le religioni, che in questo Paese si sforzano di operare in armonia d’intenti, non sono e non devono essere tragico pretesto per contrapposizioni che hanno altrove la loro origine. Nessuno ha il diritto di invocare Dio a copertura dei propri interessi egoistici.

Qui, alla porte dell’Oriente, non distante dai luoghi dove continua, crudele e insensato, il crepitio delle armi, voglio levare la mia voce, nello spirito degli incontri di Assisi. Chiedo ai responsabili delle religioni di rifiutare ogni violenza come offensiva del nome di Dio, e di farsi promotori instancabili di pace e di armonia, nel rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno.

Il mio pensiero va anche agli emigrati ed ai rifugiati di questo Paese e di tutto il Caucaso. Grazie alla solidarietà internazionale, possa riaccendersi per loro la speranza di un futuro di prosperità e di pace nella loro terra d’origine e tra i loro cari.

5. Ai cristiani, ed in particolare alla comunità cattolica di questo Paese, intendo rivolgere un saluto particolarmente affettuoso. I cristiani di tutto il mondo guardano con sincera simpatia a questi loro fratelli nella fede, convinti che, nonostante la ristrettezza del numero, essi possono recare un apporto significativo al progresso e alla prosperità della Patria, in un clima di libertà e di reciproco rispetto.

Sono certo che le difficoltà drammatiche, subite anche dalla comunità cattolica nel tempo del comunismo, saranno ricompensate dal Signore col dono di una fede viva, di un impegno morale esemplare e di vocazioni locali per il servizio pastorale e religioso.

Al momento di muovere i primi passi sul territorio azero, invoco le benedizioni di Dio su tutti i suoi abitanti e sul loro impegno per un futuro di giustizia e di libertà.

All’Azerbaijan ed al suo nobile popolo l’augurio di prosperità, di progresso e di pace!

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Alle 9.30 di questa mattina, il Santo Padre Giovanni Paolo II si è recato nel Palazzo dello Sport a Baku per la Santa Messa. Hanno concelebrato con il Papa i Membri della Missione “sui iuris” dell’Azerbaijan, i Vescovi ospiti, i Cardinali, i Vescovi e i Sacerdoti del Seguito Papale. Nel corso della Celebrazione, introdotta dal saluto del Superiore della Missione “sui iuris”, P. Daniel Pravda, S.D.B., Giovanni Paolo II ha rivolto ai presenti l’omelia che riportiamo di seguito:

1. “Onore a voi che credete!” (1 Pt 2, 7).

Sì, amati Fratelli e Sorelle della comunità cattolica di Baku, e voi tutti che provenite dalle comunità cattoliche dei Paesi vicini, “onore a voi che credete!”. Saluto pure i cristiani della Chiesa ortodossa, che si sono uniti a noi in questo momento solenne di preghiera, insieme con il loro Vescovo Alexander. Anche a loro rivolgo il saluto dell’apostolo Pietro ai primi cristiani: “Onore a voi che credete!”

Onore tributa la Chiesa universale a quanti hanno saputo mantenersi fedeli agli impegni derivanti dal loro Battesimo. Mi rivolgo in particolare a coloro che dimorano stabilmente in questo Paese, ed hanno conosciuto il dramma della persecuzione marxista, portando le conseguenze della loro fedele adesione a Cristo. Voi, cari Fratelli e Sorelle, avete visto la vostra religione irrisa come facile superstizione, come tentativo di sfuggire alle responsabilità dell’impegno nella storia. Per questo siete stati considerati cittadini di seconda classe e siete stati in molti modi umiliati ed emarginati.

2. “Onore a voi che credete!”. Onore ai vostri nonni e alle vostre nonne, ai padri e alle madri, che hanno coltivato in voi il germoglio della fede, e l’hanno irrorato di preghiera consentendogli di crescere e di portare frutto. Onore anche a te, lo voglio ripetere ancora una volta, santa Chiesa ortodossa, che hai aperto le tue porte ai fedeli cattolici, rimasti senza ovile e senza pastore. Il Signore ricompensi la tua generosità.

Un saluto particolare rivolgo al Superiore della “missio sui iuris” e alla comunità salesiana, che con lui opera per la cura dei cattolici. Cari Fratelli e Sorelle, voi siete la prova vivente che la fede in Dio opera prodigi. Pochi, appartenenti a vari gruppi etnici, dispersi in un vasto territorio, voi siete stati tenuti uniti insieme dal Buon Pastore.

3. “Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me“, dice il Signore nel brano evangelico che abbiamo sentito proclamare. Davvero, Signore Gesù, Tu conoscevi le tue pecore, anche quando erano perseguitate e costrette a nascondersi. Tu le conoscevi ed eri accanto a loro per sostenerle quando, scoraggiate dal duro isolamento fisico e morale, erano tentate di disperdersi.

Le tue pecore, per parte loro, non hanno cessato di conoscerTi e di riconoscerTi, di sentire il conforto della tua presenza, di seguirTi nonostante le asperità del cammino. Quale mirabile scambio! Tu avevi offerto la tua vita per loro, ed esse offrivano la loro vita per Te, supplicando che la loro fede non venisse meno. E come Tu ti sei ripreso di nuovo la tua vita, così la comunità dei sopravvissuti, tornata alla libertà, ha riscoperto la gioia di raccogliersi a celebrare la sua fede nella tua casa, donde adesso sale nuovamente verso il Cielo, come profumo d’incenso, la preghiera di lode e di ringraziamento.

4. Cari Fratelli e Sorelle, figli amatissimi della Chiesa cattolica, oggi il Papa è con voi. Anch’egli conosce le vostre sofferenze, e vi ha portato tutti nel cuore durante gli anni del pellegrinaggio nel deserto della persecuzione. Oggi è qui per partecipare alla vostra gioia per la ritrovata libertà e per sostenervi nel cammino che ha come meta ultima la terra promessa del Cielo, ove il Signore della vita tergerà ogni lacrima: “Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).

Sostenuti da questa certezza, voi sentite che questo è tempo di gioia, tempo di speranza. Ne è segno e manifestazione la prima pietra della futura chiesa parrocchiale, che benedirò alla fine della Messa. Il Papa vi porta il saluto e l’apprezzamento dell’intera Chiesa cattolica. Oggi gli occhi di tutti sono puntati su di te, “piccolo gregge” (Lc 12, 33). Non temere! Apri il tuo cuore, e spera nel Signore. Già stai sperimentando la risurrezione, quasi anticipando l’incontro definitivo col Cristo glorioso.

5. Chiesa che vivi in Azerbaijan, vorrei oggi lasciarti come consegna quanto abbiamo invocato nella Colletta dell’odierna Eucaristia. Sentiti “popolo radunato da tutte le nazioni della terra nell’unità di un solo spirito”.

La vostra comunità, cari Fratelli e Sorelle, esprime simbolicamente questa universalità, costituita com’è da persone di varia provenienza, alcune con un passato e una prospettiva di stabilità, altre di passaggio verso altre terre. Tutti formiamo un solo popolo, animato da un solo Spirito. Dove si celebra l’Eucaristia, lì é presente la Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”.

Mi pare in questo momento che il colonnato del Bernini, quelle braccia che dalla Basilica di San Pietro si slanciano ad abbracciare il mondo, giungano idealmente fino a noi per stringere al petto di Cristo e della sua Chiesa anche te, piccola comunità cattolica dell’Azerbaijan. In questo abbraccio il cuore di tutta la Chiesa batte di commozione e di amore per te. Con essa e in essa batte il cuore del Papa, che è venuto fin qui per dirti che ti ama e non ti ha mai dimenticato.

6. Sii fedele alla tua missione! Lo sei stata nella prova, quando portavi nel pianto la semente da gettare. Siilo ora nella gioia, mentre ti accingi a raccogliere i covoni (cfr Sal 125, 6). La tua missione é quella di conservare la fede e di testimoniarla con una vita che sia profezia, perché il mondo creda. Guardando te, i tuoi fratelli e le tue sorelle di questo Paese possano vedere quanto credi, quanto speri, quanto ami. Sarà questo il tuo modo di mostrare la presenza del Risorto. La tua testimonianza, che non può contare sulla dovizia dei mezzi, s’imponga per la forza della grazia di Cristo, lievito invisibile, ma capace di fermentare tutta la pasta.

Condividi le gioie e le speranze dell’umanità che vive accanto a te e con te: tu ne sei parte, e con essa devi sperare e lavorare per un domani che sia migliore per tutti. Pur nella prudenza, abbi il coraggio della novità. C’è bisogno di novità anche qui, in questa terra! Non la novità che porta solo incertezza e precarietà, no! Una novità che ridia a tutti, in particolare ai giovani, la voglia di vivere e di lottare per un mondo più giusto e solidale.

7. Guardali, questi giovani! Sono esposti a cadere nel miraggio dell’ozio demotivato, della ricchezza facile e disonesta. Ma sono in grado anche di vibrare per un ideale e di rischiare l’eroismo del sacrificio per far trionfare la giustizia e favorire l’affermarsi della libertà e della pace. Occorre insegnar loro a non aver paura di osare. Occorre dischiudere loro la luminosa prospettiva della fede, dell’amicizia di Cristo. Non c’è ardimento nel bene che non trovi comprensione nel Cristo, l’eternamente giovane!

Chiesa che preghi, speri ed ami in questa terra dell’Azerbaijan, il Papa invoca su di te la benedizione del Signore. Portala ai tuoi poveri, ai tuoi malati, ai tuoi sofferenti. Portala a tutti, come un contagio di grazia e di amore. Non dimenticare mai che sei chiamata ad essere lievito e anima, perché il Signore è con te e ti precede nel cammino. Amen! torna su All’arrivo all’aeroporto internazionale di Sofia, giovedì 23 maggio, il Papa è accolto dal Nunzio Apostolico in Bulgaria, mons. Antonio Mennini, dall’Esarca Apostolico di Sofia e Presidente della Conferenza Episcopale Bulgara, mons. Christo Proykov, dal Vescovo di Sofia e Plovdiv, mons. Gheorghi Ivanov Jovčev, dal Vescovo di Nicopoli, mons. Petko Jordanov Christov, e dal Consigliere della Nunziatura Apostolica, mons. José Leite Nogueira. Il Papa si trasferisce, poi, nella Piazza S. Alexander Nevski a Sofia. Qui ha luogo, alla presenza del Presidente della Repubblica della Bulgaria, Georgi Parvanov, di Sua Santità il Patriarca Maxim e di altri esponenti del Patriarcato Ortodosso, delle Autorità politiche, civili e religiose, dei 3 Vescovi cattolici del Paese, e del Corpo Diplomatico, la cerimonia di benvenuto. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica della Bulgaria, Giovanni Paolo II ha rivolto ai presenti il discorso che riportiamo di seguito: Signor Presidente, Santità, Illustri Membri del Corpo Diplomatico, Distinte Autorità, Rappresentanti delle varie Confessioni religiose, Cari Fratelli e Sorelle!

1. È con commozione ed intima gioia che mi trovo oggi in Bulgaria e posso rivolgervi il mio saluto cordiale. Ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso di dare compimento ad un desiderio che da tempo portavo nel cuore.

Ogni anno, in occasione della festa dei Santi Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi, sono solito accogliere in Vaticano i rappresentanti del Governo e della Chiesa di Bulgaria. Vengo dunque oggi, in un qualche modo, a restituire la visita e ad incontrare nel suo bel Paese il diletto popolo bulgaro. Ripenso in questo momento al mio predecessore, Papa Adriano II, che andò personalmente incontro ai santi Fratelli di Tessalonica, quando vennero a Roma per portare le reliquie di san Clemente, Papa e martire (cfr Vita di Costantino, XVII, 1), e per testimoniare la comunione della Chiesa da essi fondata con la Chiesa di Roma. Oggi è il Vescovo di Roma che viene a voi, mosso dagli stessi sentimenti di comunione nella carità di Cristo.

Il pensiero va pure, in questa particolare circostanza, ad un altro mio predecessore, il Beato Papa Giovanni XXIII, che per una decina d’anni fu Delegato Apostolico in Bulgaria e restò sempre profondamente legato a questa terra e ai suoi abitanti. Nel suo ricordo, saluto tutti con affetto e a tutti dico che in nessuna circostanza ho cessato di amare il popolo bulgaro, presentandolo costantemente nella preghiera al Trono dell’Altissimo: la mia presenza oggi tra voi sia manifestazione eloquente dei sentimenti di stima e di affetto che nutro verso questa nobile Nazione e tutti i suoi figli.

2. Saluto cordialmente le Autorità della Repubblica, e le ringrazio per gli inviti rivoltimi e per l’impegno posto nel predisporre questa mia visita. A Lei, Signor Presidente, esprimo viva riconoscenza per le cortesi parole con le quali mi ha accolto su questa storica piazza. Attraverso gli onorevoli Membri del Corpo Diplomatico, il mio pensiero si volge anche ai popoli che essi degnamente qui rappresentano.

Saluto con deferenza Sua Santità il Patriarca Maxim ed i Metropoliti e Vescovi del Santo Sinodo, insieme ai fedeli tutti della Chiesa Ortodossa di Bulgaria: desidero ardentemente che questa mia visita serva a rafforzare la nostra reciproca conoscenza affinché, con l’aiuto di Dio e nel giorno e nel modo che a Lui piacerà, si possa giungere a vivere “in perfetta unione di pensiero e di intenti” (cfr 1 Cor 1,10), memori della parola dell’unico nostro Signore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

3. Abbraccio con particolare affetto i miei fratelli Vescovi Christo, Gheorghi, Petko e Metodi, insieme con tutti i figli e le figlie della Chiesa Cattolica, sacerdoti, religiosi e laici: vengo a voi con il saluto e l’augurio di pace che il Signore risorto offre ai suoi discepoli (cfr Gv 20,19), per confermarvi nella fede ed incoraggiarvi nel cammino della vita cristiana.

Saluto i cristiani delle altre Comunità ecclesiali, i membri della Comunità Ebraica con il loro Presidente e i fedeli dell’islam guidati dal Gran Mufti, e riaffermo qui, sulla scia dell’incontro di Assisi, la convinzione che ogni religione è chiamata a promuovere giustizia e pace tra i popoli, perdono, vita e amore.

4. La Bulgaria ha accolto il Vangelo grazie alla predicazione dei Santi Cirillo e Metodio, e quel seme deposto in terra fertile ha prodotto nell’arco dei secoli copiosi frutti di testimonianza cristiana e di santità. Anche durante il lungo e rigido inverno del sistema totalitario, che ha segnato nella sofferenza il vostro, insieme a tanti altri Paesi d’Europa, la fedeltà al Vangelo non è venuta meno, e numerosi figli di questo popolo hanno vissuto eroicamente l’adesione a Cristo, giungendo in non pochi casi fino al sacrificio della propria vita.

Voglio qui rendere omaggio a questi coraggiosi testimoni della fede, appartenenti alle diverse Confessioni cristiane. Il loro sacrificio non sia vano, ma serva di esempio e renda fecondo l’impegno ecumenico in vista della piena unità dei cristiani. Guardino ad essi anche quanti lavorano per l’edificazione di una società basata sulla verità, sulla giustizia e sulla libertà!

5. Occorre curare le ferite e progettare con ottimismo il futuro. Si tratta, certo, di un cammino non facile né privo di ostacoli, ma l’impegno concorde di tutti i componenti della Nazione renderà possibile il raggiungimento dei traguardi desiderati. Si dovrà tuttavia procedere con saggezza nella legalità e nella salvaguardia delle istituzioni democratiche, senza lesinare sacrifici, custodendo e promuovendo i valori che fondano la vera grandezza di una Nazione: l’onestà morale e intellettuale, la difesa della famiglia, l’accoglienza del bisognoso, il rispetto per la vita umana dal suo concepimento al suo termine naturale.

Formulo l’auspicio che lo sforzo di rinnovamento sociale intrapreso con coraggio dalla Bulgaria trovi l’accoglienza intelligente e il sostegno generoso dell’Unione Europea.

6. Forse proprio qui, vicino alle tombe dei martiri, si radunarono nel 342 o 343 i Vescovi dell’Oriente e dell’Occidente per la celebrazione dell’importante Concilio di Serdica, dove si discussero le sorti dell’Europa cristiana. Nei secoli successivi, qui è sorta la basilica della Sophia, la Divina Sapienza, che secondo il pensiero cristiano indica i fondamenti su cui deve essere edificata la città degli uomini. Il cammino che conduce all’autentico progresso di un popolo non può essere soltanto politico ed economico; esso deve necessariamente presupporre anche la dimensione spirituale e morale. Il cristianesimo è alle radici stesse della storia e della cultura di questo Paese: da esso non si potrà quindi prescindere in un serio processo di crescita proiettato verso il futuro.

La Chiesa Cattolica, con l’impegno quotidiano dei suoi figli e la disponibilità delle sue strutture, intende contribuire a conservare e sviluppare il patrimonio di valori spirituali e culturali di cui il Paese va fiero. Essa desidera congiungere i propri sforzi con quelli degli altri cristiani, per porre al servizio di tutti quei fermenti di civiltà che il Vangelo può offrire anche alle generazioni del nuovo millennio.

7. Per collocazione geografica, la Bulgaria si trova a fare da ponte tra l’Europa orientale e l’Europa del sud, quasi come crocevia spirituale, terra di incontro e di reciproca comprensione. Qui sono confluite le ricchezze umane e culturali delle diverse regioni del Continente, ed hanno trovato accoglienza e rispetto. Desidero rendere pubblicamente omaggio a questa tradizionale ospitalità del popolo bulgaro, ricordando in particolare i benemeriti sforzi compiuti per salvare migliaia di ebrei durante il secondo conflitto mondiale.

La Madre di Dio, qui particolarmente amata e venerata, custodisca la Bulgaria sotto il suo manto ed ottenga al suo popolo di crescere e prosperare nella fraternità e nella concordia! Dio Onnipotente colmi delle sue benedizioni questo vostro nobile Paese, assicurandone un futuro prospero e tranquillo!

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Alle 11.30, Giovanni Paolo II si reca in visita di cortesia a Sua Santità il Patriarca Maxim e al Santo Sinodo, nel Palazzo Patriarcale, a Sofia. Il Papa porta in dono al Patriarca una reliquia di San Dasio, martirizzato durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C. in Pannonia, i cui resti sono da secoli ad Ancona. Era stato lo stesso Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa di Bulgaria, che intende celebrare i 1700 anni del martirio, a chiedere il dono di una reliquia del santo. Nel Palazzo Patriarcale, dopo il discorso del Patriarca Maxim, il Santo Padre rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

Santità, Venerati Metropoliti e Vescovi, e voi tutti, cari fratelli nel Signore!

Cristo è risorto!

1. Sono lieto di potervi incontrare oggi, 24 maggio, perché questo è un giorno particolare, iscritto profondamente nel mio cuore e nella mia memoria. Le visite delle Delegazioni bulgare che, fin dall’inizio del mio servizio quale Vescovo di Roma, ho avuto la gioia di ricevere in Vaticano il 24 maggio di ogni anno, sono state per me gradite occasioni di incontro non solo con la nobile Nazione bulgara, ma anche con la Chiesa ortodossa di Bulgaria e con Vostra Santità, nelle persone dei Vescovi che La rappresentavano.

Oggi il Signore ci permette di incontrarci di persona e di scambiarci “il bacio di pace”. Sono grato per la disponibilità con cui Vostra Santità e il Santo Sinodo mi hanno consentito di realizzare un profondo desiderio, che nutrivo da tempo nel cuore. Vengo a voi con sentimenti di stima per la missione che la Chiesa ortodossa di Bulgaria sta svolgendo, e intendo testimoniare rispetto e apprezzamento per il suo impegno a vantaggio di queste popolazioni.

2. Lungo i secoli, nonostante vicende storiche complesse e a volte ostili, la Chiesa che Vostra Santità oggi guida ha saputo annunciare con perseveranza l’incarnazione dell’Unigenito Figlio di Dio e la sua risurrezione. Ad ogni generazione ha ripetuto la Buona Novella della salvezza. Anche oggi, all’inizio del terzo millennio, essa con forze rinnovate testimonia la salvezza che il Signore offre ad ogni uomo e propone a tutti la speranza che non delude e della quale il nostro mondo ha profondamente bisogno.

Santità, la visita, che per la prima volta nella storia un Vescovo di Roma compie in questo Paese, incontrandoLa assieme al Santo Sinodo, è giustamente un momento di gioia, perché è segno di una progressiva crescita nella comunione ecclesiale. Questo, tuttavia, non può distoglierci da una franca constatazione: Cristo Signore ha fondato la Chiesa una e unica, ma noi, oggi, ci presentiamo al mondo divisi come se Cristo stesso fosse diviso. “Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Decr. Unitatis redintegratio, 1).

3. La piena comunione fra le nostre Chiese ha conosciuto dolorose lacerazioni nel corso della storia, “talora non senza colpa di uomini di entrambe le parti” (ibid., 3). “Tali peccati del passato fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente. E’ necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo” (Lettera ap. Tertio millennio adveniente, 34).

Un dato, tuttavia, ci conforta: l’allontanamento avvenuto tra cattolici ed ortodossi non ha mai sopito in loro il desiderio di ristabilire la piena comunione ecclesiale, affinché fosse espressa con maggiore evidenza quell’unità per la quale il Signore ha pregato il Padre. Oggi possiamo rendere grazie a Dio perché i vincoli esistenti tra noi si sono fortemente rinsaldati.

Già il Concilio Vaticano Secondo sottolineava, in proposito, che le Chiese ortodosse “hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia” (Decr. Unitatis redintegratio, 15). Il Concilio, inoltre, ricordava e riconosceva che “una certa diversità di usi e consuetudini… non si oppone minimamente all’unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e non poco contribuisce al compimento della sua missione” (ibid., 16), e aggiungeva: “La perfetta osservanza di questo tradizionale principio, invero non sempre rispettata, appartiene a quelle cose che sono assolutamente richieste come previa condizione al ristabilimento dell’unità” (ibid.).

4. Nell’affrontare questo discorso, non possiamo non volgere il nostro sguardo all’esempio di unità che nel primo millennio hanno concretamente offerto i Santi Fratelli Cirillo e Metodio, dei quali una viva memoria e una profonda eredità sono custodite nel vostro Paese. Alla loro testimonianza possono guardare coloro stessi che, in ambito politico, si stanno impegnando nel processo di unificazione europea. Nella ricerca della propria identità, infatti, il Continente non può non tornare alle sue radici cristiane. L’intera Europa, quella Occidentale e quella Orientale, attende il comune impegno di cattolici e di ortodossi in difesa della pace e della giustizia, dei diritti dell’uomo e della cultura della vita.

L’esempio dei Santi Cirillo e Metodio si propone come emblematico soprattutto per l’unità dei cristiani nell’unica Chiesa di Cristo. Inviati nell’Est europeo dal Patriarca di Costantinopoli per portare la vera fede ai popoli slavi nella loro lingua, di fronte agli ostacoli posti alla loro impresa dalle diocesi occidentali confinanti, che ritenevano loro responsabilità portare la Croce di Cristo ai Paesi slavi, vennero dal Papa per far autenticare la loro missione (cfr Epistola enc. Slavorum Apostoli, 5). Essi pertanto sono per noi “come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale tra la tradizione orientale e la tradizione occidentale, che confluiscono entrambe nell’unica grande tradizione della Chiesa universale. Essi sono per noi i campioni ed insieme i patroni nello sforzo ecumenico delle Chiese sorelle d’Oriente e d’Occidente, per ritrovare mediante il dialogo e la preghiera l’unità visibile nella comunione perfetta e totale, «l’unità che… non è assorbimento e neppure fusione». L’unità è l’incontro nella verità e nell’amore, che ci sono donati dallo Spirito” (ibid., 27).

5. Mi è caro evocare, in questo nostro incontro, i molteplici contatti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa di Bulgaria, iniziati con il Concilio Vaticano Secondo al quale essa ha inviato i propri osservatori. Sono fiducioso che tali contatti diretti, felicemente incrementati negli anni scorsi, incideranno positivamente anche sul dialogo teologico, nel quale cattolici ed ortodossi sono impegnati per il tramite dell’apposita Commissione mista internazionale.

Proprio con l’intento di alimentare la conoscenza reciproca, la carità vicendevole e la fraterna collaborazione, sono lieto di offrire alla comunità ortodossa bulgara di Roma l’uso liturgico della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Fontana di Trevi, secondo le modalità che i nostri rispettivi delegati dovranno determinare.

Sono stato informato poi che il 5° Concilio della Chiesa Ortodossa Bulgara ha ripristinato nello scorso dicembre la Metropolia di Silistra, l’antica Dorostol. Da quella regione proveniva il giovane soldato Dasio, del cui martirio ricorre quest’anno il 1700.mo anniversario. Accogliendo volentieri il desiderio manifestatomi, è con gioia che ho portato con me, grazie alla generosa disponibilità dell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo, un’insigne reliquia del santo per farne dono a questa Chiesa.

6. Vorrei infine, Santità, esprimere a Lei e a tutti i Vescovi della Sua Chiesa il mio vivo ringraziamento per l’accoglienza che mi è stata riservata. Ne sono profondamente toccato.

Con sentimenti fraterni, assicuro la mia costante preghiera, affinché il Signore conceda alla Chiesa ortodossa di Bulgaria di realizzare con coraggio, insieme alla Chiesa cattolica, la missione di evangelizzazione che Egli le ha affidato in questo Paese.

Voglia Iddio benedire gli sforzi di Vostra Santità, dei Metropoliti e Vescovi, del Clero, dei Monaci e delle Monache, accordando un’abbondante messe spirituale alle fatiche apostoliche di ciascuno.

La Vergine Santissima, teneramente venerata dai fedeli della Chiesa ortodossa di Bulgaria, vegli su di essa e la protegga oggi e sempre!

Cristo è risorto!

5. (24 maggio 2002) torna su

A conclusione dell’incontro con i membri della Comunità Ebraica bulgara, alle ore 18 Giovanni Paolo II si è trasferito nel Palazzo Nazionale della Cultura ove lo attendevano i Rappresentanti del mondo della Cultura, della Scienza e dell’Arte ai quali ha rivolto questo discorso:

Illustri Signori, Gentili Signore!

1. Sono lieto di incontrarmi con voi, esponenti delle diverse espressioni della cultura e dell’arte. Con le vostre rispettive competenze, voi rendete qui presente, in qualche modo, tutto il diletto popolo bulgaro. Mi rivolgo a voi con rispetto ed ammirazione, consapevole qual sono di quanto delicato ed importante sia il contributo che voi offrite alla nobile impresa della costruzione di una società in cui possa attuarsi “la mutua comprensione e la prontezza nella cooperazione mediante lo scambio generoso dei beni culturali e spirituali” (Slavorum Apostoli, 27).

Ringrazio vivamente chi ha interpretato con nobili parole i sentimenti dei presenti, come pure quanti, in modi diversi, si sono fatti promotori della mia visita al vostro bel Paese. Saluto inoltre cordialmente i promotori dell’iniziativa “campane per la pace” e a loro affido volentieri questa “campana del Papa”, con l’auspicio che i suoi rintocchi richiamino ai bambini e ai giovani di Bulgaria il dovere e l’impegno di sviluppare l’amicizia e la comprensione tra le varie Nazioni della terra.

2. Questo incontro si svolge in un giorno particolarmente significativo: la Bulgaria celebra infatti oggi la festa dei santi Fratelli Cirillo e Metodio, intrepidi annunciatori del Vangelo di Cristo e fondatori della lingua e della cultura dei popoli slavi. La loro memoria liturgica riveste un carattere particolare, essendo in pari tempo la “festa delle lettere bulgare”. Ciò non solo coinvolge i credenti ortodossi e cattolici, ma fa sì che tutti possano riflettere su quel patrimonio culturale il cui inizio si ebbe grazie all’azione dei due santi Fratelli di Tessalonica.

Il Chan protobulgaro Omurtag ha scritto sulla colonna conservata a Veliko Tarnovo nella chiesa dei Santi Quaranta Martiri: “L’uomo, anche se vive bene, muore, e un altro nasce. Colui che nascerà più tardi, quando vedrà questa scritta, si ricordi di chi l’ha composta” (AA.VV., Le fonti della storia bulgara, ed. Otechestwo, Sofia 1994, pag. 24). Vorrei dunque che questo nostro incontro assumesse la caratteristica di un solenne atto comune di venerazione e di gratitudine verso i santi Cirillo e Metodio, che nel 1980 ho proclamato Patroni d’Europa insieme a San Benedetto da Norcia, e che ancora oggi tanto hanno da insegnare a tutti noi, in Oriente e in Occidente.

3. Introducendo il Vangelo nella peculiare cultura dei popoli che evangelizzavano, i santi Fratelli – con la creazione geniale e originale di un alfabeto – hanno acquisito speciali meriti. Per corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico, essi tradussero nella lingua locale i libri sacri a scopo liturgico e catechetico, gettando con ciò le basi della letteratura nelle lingue di quei popoli. Giustamente perciò sono considerati non solo gli apostoli degli slavi, ma anche i padri della loro cultura. La cultura è l’espressione incarnata nella storia dell’identità di un popolo

Per il tramite dei loro discepoli, la missione di Cirillo e Metodio si affermò meravigliosamente in Bulgaria. Qui, grazie a san Clemente da Ocrida, sorsero dinamici centri di vita monastica, e qui trovò sviluppo particolare l’alfabeto cirillico. Da qui pure il cristianesimo passò in altri territori, fino a raggiungere, attraverso la vicina Romania, l’antica Rus’ di Kiev ed estendendosi quindi verso Mosca ed altre regioni orientali.

L’opera di Cirillo e Metodio costituisce un contributo eminente al formarsi delle comuni radici cristiane dell’Europa, quelle radici che per la loro profondità e vitalità configurano uno dei più solidi punti di riferimento culturale, da cui non può prescindere ogni serio tentativo di ricomporre in modo nuovo ed attuale l’unità del Continente.

4. Il criterio ispiratore dell’ingente opera compiuta da Cirillo e Metodio fu la fede cristiana. Cultura e fede, infatti, non solo non sono in contrasto, ma intrattengono tra loro rapporti simili a quelli che corrono tra il frutto e l’albero. E’ un fatto storico innegabile che le Chiese cristiane, d’Oriente e d’Occidente, hanno favorito e propagato tra i popoli, nel corso dei secoli, l’amore alla propria cultura e il rispetto per quella altrui. Fu così che si edificarono magnifiche chiese e luoghi di culto colmi di ricchezze architettoniche e d’immagini sacre, come le icone, frutto ad un tempo di preghiera e penitenza, come di gusto e raffinata tecnica artistica. E fu ancora per questo motivo che furono redatti tanti documenti e scritti di carattere religioso e culturale, nei quali si espresse e si affinò il genio di popoli in crescita verso una sempre più matura identità nazionale.

Il patrimonio culturale che i Santi di Tessalonica lasciarono ai popoli slavi era il frutto dell’albero della loro fede, profondamente radicata nei loro animi. Successivamente, nuovi rami si svilupparono in quell’albero e nuovi frutti furono da questi prodotti ad ulteriore arricchimento di quello straordinario retaggio di pensiero e di arte che il mondo riconosce alle nazioni slave.

5. L’esperienza storica dimostra che l’annuncio della fede cristiana non ha mortificato, ma anzi integrato ed esaltato gli autentici valori umani e culturali tipici del genio dei Paesi evangelizzati, ed ha altresì contribuito alla loro apertura reciproca, aiutandoli a superare gli antagonismi ed a creare un comune patrimonio spirituale e culturale, presupposto di stabili e costruttive relazioni di pace.

Chi voglia fattivamente lavorare all’edificazione di un’autentica unità europea, non può prescindere da questi dati storici, che hanno una loro inoppugnabile eloquenza. Come ho già avuto modo di affermare, “la marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera, mi sembra essere al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva” (Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 2002, n.2). Il Vangelo, infatti, non impoverisce né spegne quanto di autentico ogni uomo, popolo o Nazione riconosce ed attua come bene, verità e bellezza (cfr Slavorum Apostoli, 18).

6. Volgendo indietro lo sguardo, dobbiamo riconoscere che, accanto ad un’Europa della cultura con i grandi movimenti filosofici, artistici e religiosi che la contraddistinguono, accanto ad un’Europa del lavoro con le conquiste tecnologiche ed informatiche del secolo da poco concluso, vi è purtroppo un’Europa dei regimi dittatoriali e delle guerre, un’Europa del sangue, delle lacrime e delle crudeltà più spaventose. Forse anche per queste amare esperienze del passato, nell’Europa di oggi sembra farsi ancor più forte la tentazione dello scetticismo e dell’indifferenza davanti allo sfaldarsi di fondamentali capisaldi morali del vivere personale e sociale.

Occorre reagire. Nel preoccupante contesto contemporaneo è urgente affermare che, per ritrovare la propria identità profonda, l’Europa non può non fare ritorno alle sue radici cristiane, e in particolare all’opera di uomini quali Benedetto, Cirillo e Metodio, la cui testimonianza costituisce un contributo di primaria importanza per la ripresa spirituale e morale del Continente.

Ecco allora il messaggio dei Patroni d’Europa e di tutti i mistici e santi cristiani che hanno testimoniato il Vangelo tra le popolazioni europee: il “perché” ultimo della vita e della storia umana ci è stato offerto nel Verbo di Dio, che si è incarnato per redimere l’uomo dal male del peccato e dall’abisso dell’angoscia.

7. In questa prospettiva, saluto con vivo apprezzamento l’iniziativa dei Vescovi cattolici di provvedere alla traduzione in lingua bulgara del Catechismo della Chiesa Cattolica: esso “ha lo scopo di presentare una esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica sia sulla fede che sulla morale, alla luce del Concilio Vaticano II e dell’insieme della Tradizione della Chiesa. Le sue fonti principali sono la Sacra Scrittura, i Santi Padri, la Liturgia e il Magistero della Chiesa” (Prefazione, 11).

Vorrei simbolicamente consegnarlo anche a quelli tra voi che, pur non essendo cattolici, condividono con noi l’unico Battesimo, affinché possano conoscere da vicino ciò che la Chiesa Cattolica crede e annuncia.

8. Il monaco Paisij, del Monastero di Chilandar, notava giustamente che una Nazione con un passato glorioso ha diritto ad un futuro splendido (cfr Istoria slavianobolgarskaia, 1722-1773).

Illustri Signori, gentili Signore, il Papa di Roma guarda a voi con fiducia e ripete davanti a voi la sua convinzione circa il grande compito affidato agli uomini e alle donne di cultura nel custodire e tramandare la scienza e la sapienza che hanno ispirato nei tempi la vita dei rispettivi popoli.

Auguro alla Bulgaria, il bel Paese delle rose, un “futuro splendido” perché, continuando ad essere terra d’incontro tra Oriente e Occidente, con la benedizione del Dio Altissimo, possa prosperare nella libertà, nel progresso e nella pace!

6. (25 maggio 2002) torna su

Alle 9 di sabato 25, lasciata la Nunziatura Apostolica di Sofia dopo la Santa Messa celebrata in privato, il Papa si è trasferito all’aeroporto internazionale da dove è partito in elicottero per un pellegrinaggio alla volta del Monastero di S. Giovanni di Rila, considerato il cuore spirituale della Bulgaria. Al suo arrivo, il Santo Padre, dopo l’ingresso solenne e la Venerazione dell’Icona della Madre di Dio e delle reliquie di S. Giovanni di Rila, introdotto dall’indirizzo di saluto dell’Igumeno del Monastero, Vescovo Joan, ha rivolto ai presenti un discorso. Quindi si è raccolto in preghiera sulla tomba di Re Boris III di Bulgaria.

Venerabili Metropoliti e Vescovi, amatissimi Monaci e Monache della Bulgaria e di tutte le sante Chiese ortodosse!

1. La pace sia con voi! Vi saluto tutti con affetto nel Signore. In particolare, saluto l’Igumeno di questo Monastero, il Vescovo Joan, che, quale Osservatore inviato da Sua Santità il Patriarca Cirillo, partecipò con me alle sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Nel corso della mia visita in Bulgaria, ho desiderato venire in pellegrinaggio a Rila per venerare le reliquie del santo monaco Giovanni e poter testimoniare a tutti voi riconoscenza ed affetto: “Noi infatti ringraziamo incessantemente Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra laboriosa carità e della vostra perseverante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 1, 2-3).

Sì, cari Fratelli e Sorelle, il monachesimo orientale, insieme con quello occidentale, costituisce un grande dono per tutta la Chiesa.

2. Diverse volte ho messo in risalto il contributo prezioso che voi recate alla Comunità ecclesiale mediante l’esemplarità della vostra vita. Nella Lettera apostolica Orientale lumen ho scritto di voler “guardare il vasto paesaggio del cristianesimo d’Oriente” come “da un’altura particolare”, quella cioè del monachesimo, “che permette di scorgerne molti tratti” (n. 9). Sono infatti convinto che l’esperienza monastica costituisce il cuore della vita cristiana, così da potersi proporre come punto di riferimento per tutti i battezzati.

Un grande monaco e mistico occidentale, Guglielmo di Saint-Thierry, chiama la vostra esperienza, che alimentò e arricchì la vita monastica dell’Occidente cattolico, “luce che viene dall’Oriente” (cfr Epistula ad fratres de Monte Dei I, Sources chrétiennes 223, p. 145). Con lui numerosi altri uomini spirituali dell’Occidente tributarono riconoscimenti elogiativi alla ricchezza della spiritualità monastica orientale. Sono lieto di unire oggi la mia voce a questo coro di apprezzamento, riconoscendo la validità del cammino di santificazione tracciato negli scritti e nella vita di tanti vostri monaci, che hanno offerto esempi eloquenti di sequela radicale del Signore Gesù Cristo.

3. La vita monastica, in virtù della tradizione ininterrotta di santità su cui poggia, custodisce con amore e fedeltà alcuni elementi della vita cristiana, importanti anche per l’uomo di oggi: il monaco è memoria evangelica per i cristiani e per il mondo.

Come insegna san Basilio il Grande (cfr Regulae fusius tractatae VIII, PG 31, 933-941), la vita cristiana è anzitutto apotaghé, “rinuncia”: al peccato, alla mondanità, agli idoli, per aderire all’unico vero Dio e Signore, Gesù Cristo (cfr 1 Ts 1, 9-10). Nel monachesimo tale rinuncia si fa radicale: rinuncia alla casa, alla famiglia, alla professione (cfr Lc 18, 28-29); rinuncia, poi, ai beni terreni nell’incessante ricerca di quelli eterni (cfr Col 3, 1-2); rinuncia alla philautía, come la chiama san Massimo il Confessore (cfr Capita de charitate II, 8; III, 8; III, 57 e passim, PG 90, 960-1080), cioè all’amore egoistico, per conoscere l’infinito amore di Dio e divenire capaci di amare i fratelli. L’ascesi del monaco è anzitutto un cammino di rinuncia per poter aderire sempre di più al Signore Gesù ed essere trasfigurato dalle energie dello Spirito Santo.

Il beato Giovanni di Rila – che ho voluto raffigurato con altri santi orientali ed occidentali nel mosaico della Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico Vaticano e di cui questo Monastero è testimonianza duratura – udita la parola di Gesù, che gli diceva di rinunciare a tutti i suoi beni per darli ai poveri (cfr Mc 10, 21), lasciò ogni cosa per la perla preziosa del Vangelo, e si pose alla scuola di santi asceti per imparare l’arte della lotta spirituale.

4. La “lotta spirituale” è un altro elemento della vita monastica, che oggi è necessario reimparare e riproporre a tutti i cristiani. Si tratta di un’arte segreta e interiore, un combattimento invisibile che il monaco conduce ogni giorno contro le tentazioni, le suggestioni malvagie, che il demonio cerca di insinuare nel suo cuore; è una lotta che diventa crocifissione nell’arena della solitudine in vista della purezza del cuore che permette di vedere Dio (cfr Mt 5, 8) e della carità che consente di partecipare alla vita di Dio che è amore (cfr 1 Gv 4, 16).

Nell’esistenza dei cristiani oggi più che mai gli idoli sono seducenti, le tentazioni pressanti: l’arte della lotta spirituale, il discernimento degli spiriti, la manifestazione dei propri pensieri al maestro spirituale, l’invocazione del Nome santo di Gesù e della sua misericordia devono tornare a far parte della vita interiore del discepolo del Signore. Questa lotta è necessaria per essere “non distratti”, aperíspastoi, “non preoccupati”, amérimnoi (cfr 1 Cor 7, 32.35), e vivere in costante raccoglimento con il Signore (cfr S. Basilio Magno, Regulae fusius tractatae VIII, 3; XXXII, 1; XXXVIII).

5. Con la lotta spirituale, il beato Giovanni di Rila visse anche la “sottomissione” nell’obbedienza e nel servizio reciproco richiesti dalla vita comune. Il cenobio è il luogo della realizzazione quotidiana del “comandamento nuovo”, è la casa e la scuola della comunione, è lo spazio in cui ci si fa servi dei fratelli come ha voluto essere servo Gesù in mezzo ai suoi (cfr Lc 22, 27). Quale forte testimonianza cristiana offre una comunità monastica quando vive nella carità autentica! Di fronte ad essa, anche i non cristiani sono portati a riconoscere che il Signore è sempre vivo e operante nel suo popolo.

Il beato Giovanni conobbe, poi, la vita eremitica nella “compunzione” e nel pentimento, ma soprattutto nell’ascolto ininterrotto della Parola e nella preghiera incessante, fino a diventare – come dice san Nilo – un “teologo” (cfr De oratione LX, PG 79, 1180B), un uomo cioè dotato di una sapienza che non è di questo mondo, ma che viene dallo Spirito Santo. Il testamento, che Giovanni scrisse per amore dei suoi discepoli desiderosi di avere una sua ultima parola, è un insegnamento straordinario sulla ricerca e sull’esperienza di Dio per quanti desiderano condurre una autentica vita cristiana e monastica.

6. Il monaco, in obbedienza alla chiamata del Signore, intraprende l’itinerario che, partendo dalla rinuncia a se stesso, giunge fino alla carità perfetta, in virtù della quale egli prova gli stessi sentimenti di Cristo (cfr Fil 2, 5): diventa mite e umile di cuore (cfr Mt 11, 29), partecipa all’amore di Dio per tutte le creature ed ama – come dice Isacco il Siro – gli stessi nemici della verità (cfr Sermones ascetici, Collatio prima, LXXXI).

Reso capace di vedere il mondo con gli occhi di Dio, e sempre più assimilato al Cristo, il monaco tende al fine ultimo per cui l’uomo è stato creato: la divinizzazione, l’essere partecipe della vita trinitaria. Questo è possibile solo per grazia a colui che, attraverso la preghiera, le lacrime di compunzione e la carità, si apre ad accogliere lo Spirito Santo, come ricorda un altro grande monaco di queste amate terre slave, Serafim di Sarov (cfr Colloquio con Motovilov III, in P. Evdokimov, Serafim di Sarov uomo dello Spirito, Bose 1996, pp. 67-81).

7. Quanti testimoni del cammino di santità hanno brillato in questo Monastero di Rila durante la sua vicenda plurisecolare e in tanti altri Monasteri ortodossi! Com’è grande il debito di gratitudine della Chiesa universale verso tutti gli asceti che hanno saputo ricordare l'”unico necessario” (cfr Lc 10, 42), il destino ultimo dell’uomo!

Noi ammiriamo con gratitudine la preziosa tradizione che i monaci orientali vivono fedelmente e che continuano a trasmettere di generazione in generazione quale segno autentico dell’éschaton, di quel futuro a cui Dio continua a chiamare ogni uomo per mezzo dell’intima forza dello Spirito. Essi sono segno attraverso la loro adorazione della santa Trinità nella liturgia, attraverso la comunione vissuta nell’agape, attraverso la speranza che nella loro intercessione si estende a ogni uomo e a ogni creatura, fino alle soglie dell’inferno, come ricorda san Silvano dell’Athos (cfr Ieromonach Sofronij, Starec Siluan, Stavropegic Monastery of St. John the Baptist, Tolleshunt Knights by Maldon 1952 [1990], pp. 91-93).

8. Carissimi Fratelli e Sorelle, tutte le Chiese ortodosse sanno quanto i Monasteri siano un patrimonio inestimabile della loro fede e della loro cultura. Che cosa sarebbe la Bulgaria senza il Monastero di Rila, che nei tempi più oscuri della storia nazionale ha mantenuto accesa la fiaccola della fede? Che cosa sarebbe la Grecia senza la Santa Montagna dell’Athos? O la Russia senza quella miriade di dimore dello Spirito Santo che le hanno permesso di superare l’inferno delle persecuzioni sovietiche? Ebbene, il Vescovo di Roma è oggi qui per dirvi che anche la Chiesa latina e i Monaci dell’Occidente vi sono grati per la vostra esistenza e la vostra testimonianza!

Amatissimi Monaci e Monache, Dio vi benedica! Egli vi confermi nella fede e nella vocazione e vi renda strumenti di comunione nella sua santa Chiesa e testimoni del suo amore nel mondo.

 

7. (25 maggio 2002) torna su

Dopo aver visitato la Concattedrale Cattolica di rito latino, il Papa si è recato alla Cattedrale Cattolica di rito bizantino-slavo, dedicata alla Dormizione della Beata Vergine Maria. All’esterno della Cattedrale Giovanni Paolo II ha benedetto una campana e alcune prime pietre destinate alla costruzione di nuove chiese.

Carissimi Fratelli e Sorelle!

La pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli” (Tb 12, 17). Sono lieto di incontrarmi con tutti voi in questa Cattedrale dedicata alla Dormizione della Beata Vergine Maria. Saluto con affetto il vostro Esarca Apostolico, Mons. Christo Proykov, e lo ringrazio per le amabili parole che mi ha rivolto. Abbraccio fraternamente l’Esarca emerito Mons. Metodi Stratiev, che ha vissuto la persecuzione e la prigionia insieme con i tre sacerdoti assunzionisti che domani a Plovdiv proclamerò Beati, e rivolgo il mio saluto cordiale a tutti i sacerdoti dell’Esarcato e ai fedeli affidati alle loro cure pastorali e qui rappresentati.

Con particolare affetto saluto le Monache Carmelitane e le Suore Eucaristine, ricordando specialmente quelle tra loro – vive sulla terra o vive nel cielo – che hanno vissuto durante il periodo della dominazione comunista la lunga reclusione nel coro della chiesa di San Francesco, mantenendo vivo l’ideale della loro consacrazione e sostenendo con la preghiera e la penitenza la fedeltà dei cristiani al loro Signore.

Insieme con voi, ricordo con ammirazione e gratitudine la figura e l’opera del Delegato Apostolico Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, il Beato Papa Giovanni XXIII, che ha pregato in questa Cattedrale e tanto si è prodigato per la vita della Chiesa Cattolica di rito bizantino-slavo in Bulgaria. La sua reliquia, che vi ho portato in dono da Roma, sia custodita e venerata nell’erigenda chiesa che avete voluto intitolare al suo nome.

La stessa fede coraggiosa di coloro che vi hanno preceduto in questa Chiesa cattolica che è in Bulgaria, vi esorta a rinnovare oggi in modo vivace la vostra testimonianza a Cristo Signore. Confortato dal mandato conferito a Pietro da Gesù stesso, desidero da parte mia sostenervi e confermarvi in questo vostro impegno. Il Signore vi assista e vi aiuti nel proposito generoso di vita cristiana e, per l’intercessione della sua Santissima Madre, venerata con il titolo di Patrona dell’unità dei Cristiani nel Santuario della Santissima Trinità a Malko Tyrnovo, vi doni l’abbondanza delle sue benedizioni.

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8. (26 maggio 2002)

La domenica della Santissima Trinità, il Santo Padre, lasciata la Nunziatura Apostolica di Sofia, si è trasferito a Plovdiv e nella piazza centrale della città, alle 10.15, ha concelebrato con i tre Vescovi e con i presbiteri della Bulgaria, con i Cardinali e i Vescovi ospiti e del Seguito Papale, la Santa Messa in rito latino. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, Giovanni Paolo II ha proclamato Beati i Servi di Dio Kamen Vitchev (1893-1952), Pavel Djidjov (1919-1952) e Josaphat Chichkov (1884-1952), sacerdoti professi della Congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione, martiri, uccisi dal regime comunista bulgaro. Il sacro Rito è stato introdotto dagli indirizzi di omaggio del Vescovo di Sofia e di Plovdiv, S.E. Mons. Gheorghi Jovčev, e del Metropolita Ortodosso di Plovdid, S. Em. Arsenij. Questa l’omelia del Papa:

1. “A Te la lode e la gloria nei secoli!”

Così abbiamo cantato poc’anzi nel Salmo responsoriale. La nostra assemblea, cari Fratelli e Sorelle, si raccoglie oggi, nel giorno del Signore, per celebrare la grandezza e la santità del nostro Dio e per professare la fede della Chiesa.

Con la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste è giunto al suo coronamento il ciclo degli avvenimenti con cui Dio, per tappe storiche successive, è venuto incontro agli uomini e ha offerto loro il dono della salvezza. La liturgia ci invita oggi a risalire alla Fonte suprema di questo dono: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, la Trinità Santissima.

2. L’Antico Testamento sottolinea l’unità di Dio. Nella prima Lettura abbiamo ascoltato Dio proclamare davanti a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34, 6). Mosè, per parte sua, ammonisce il suo popolo: “Ascolta, Israele; il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (Dt 6, 4).

Il Nuovo Testamento ci rivela che l’unico Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo: una sola natura divina in tre Persone, perfettamente uguali e realmente distinte. Gesù le nomina espressamente, ordinando agli Apostoli di battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19).

Tutto il Nuovo Testamento è un continuo ed esplicito annunzio di questo mistero, che la Chiesa, fedele custode della Parola di Dio, ha sempre proclamato, spiegato, difeso. Perciò al Dio Altissimo e Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, anche oggi diciamo: “A Te la lode e la gloria nei secoli!”.

3. Augurando a tutti con l’apostolo Paolo “la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo” (2 Cor 13, 13), saluto innanzitutto con affetto voi, cari Fratelli e Sorelle, figli della Chiesa Cattolica, qui convenuti insieme con i vostri Vescovi dalle diocesi di Sofia-Plovdiv e di Nicopoli e dall’Esarcato Apostolico per i fedeli di rito bizantino-slavo. Ringrazio il Pastore di questa Chiesa particolare, Mons. Gheorghi Jovcev, per le parole di benvenuto che mi ha rivolto, ed estendo il mio saluto cordiale ai miei Fratelli nell’Episcopato Mons. Christo Proykov, Esarca Apostolico e Presidente della Conferenza Episcopale, e Mons. Petko Christov, Vescovo di Nicopoli. Saluto, altresì, i Signori Cardinali e Vescovi venuti dai Paesi vicini per condividere con la Chiesa che è in Bulgaria questo giorno di festa.

Un saluto particolare desidero rivolgere a Sua Eminenza Arsenij, Metropolita ortodosso di Plovdiv, che con squisita sensibilità ha voluto prendere parte alla celebrazione di questa Santa Liturgia e lo ringrazio vivamente per le cordiali parole che mi ha indirizzato all’inizio della celebrazione. Insieme con lui saluto nel Signore tutti i fedeli della Chiesa Ortodossa di Bulgaria che si uniscono a noi. La loro presenza qui è gradita testimonianza di fraternità, che ci fa pregustare nella speranza la gioia della piena unità, quando ci sarà dato di celebrare insieme il Sacrificio Eucaristico, memoriale della morte e risurrezione del Signore.

Un pensiero rispettoso desidero poi rivolgere ai fedeli dell’Islam, adoratori anch’essi, pur se in modo diverso, del Dio Unico e Onnipotente.

Saluto infine le Autorità civili che ci onorano della loro presenza e le ringrazio per il contributo efficace dato alla realizzazione di questo mio viaggio in Bulgaria.

4. Iddio, Uno e Trino, è presente nel suo popolo, la Chiesa. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo riceviamo il Battesimo; in questo stesso nome sono conferiti gli altri Sacramenti. In particolare, la Messa, “centro di tutta la vita cristiana”, è segnata dal ricordo delle Persone divine: del Padre a cui si rivolge l’offerta; del Figlio, sacerdote e vittima del sacrificio; dello Spirito Santo, invocato per trasformare il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo e per fare dei partecipanti un solo corpo e un solo spirito.

La vita del cristiano è tutta orientata verso questo mistero. Dalla corrispondenza fedele all’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo dipende la riuscita del nostro cammino quaggiù.

Avevano ben presente questa verità i tre sacerdoti assunzionisti, che oggi ho avuto la gioia di ascrivere all’albo dei Beati: la causa per la quale i Padri Kamen Vitchev, Pavel Djidjov e Josaphat Chichkov non hanno esitato a dare la vita è stata la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, è stato l’amore per Cristo, Figlio di Dio incarnato, al quale si sono donati senza riserve nel servizio alla sua Chiesa.

Il Padre Josaphat Chichkov affermava: “Cerchiamo di fare nel miglior modo possibile tutto quanto si attende da noi per poterci santificare” e aggiungeva: “La cosa principale è giungere a Dio vivendo per lui, tutto il resto è accessorio”. Qualche mese prima dell’infame processo che li condannò a morte insieme al Vescovo Bossilkov, quasi prevedendo ciò che li attendeva, il Padre Kamen Vitchev scriveva al suo Superiore Provinciale: “Ci ottenga con la preghiera la grazia di essere fedeli a Cristo e alla Chiesa nella nostra vita quotidiana, per essere degni di testimoniarlo quando verrà il momento”. E il Padre Pavel Djidjov diceva: “Aspettiamo il nostro turno: sia fatta la volontà di Dio”.

5. Pensando ai tre nuovi Beati, sento il dovere di rendere omaggio alla memoria degli altri confessori della fede, figli della Chiesa Ortodossa, che sotto il medesimo regime comunista hanno subito il martirio. Questo tributo di fedeltà a Cristo ha accomunato le due comunità ecclesiali in Bulgaria fino alla testimonianza suprema. “Ciò non potrà non avere anche un respiro ed una eloquenza ecumenica. L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione” (Tertio millennio adveniente, 37).

Come potrebbe infatti non essere già perfetta la comunione che si realizza “in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte”? (Ut unum sint, 84). Non è forse questa “la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr Ef 2, 13)” (ibid.)?

6. La coraggiosa coerenza di fronte alla sofferenza e alla prigionia dei Padri Josaphat, Kamen e Pavel è stata riconosciuta dai loro ex-alunni – cattolici, ortodossi, ebrei, musulmani -, dai loro parrocchiani, dai confratelli religiosi e dai compagni di pena. Con il loro dinamismo, la loro fedeltà al Vangelo, il loro servizio disinteressato alla Nazione, essi si propongono come modelli per i cristiani di oggi, specialmente per i giovani di Bulgaria che cercano di dare un senso alla loro vita e vogliono seguire Cristo nel laicato, nella vita religiosa o nel sacerdozio.

La speciale dedizione con cui i nuovi Beati hanno accompagnato i candidati al presbiterato sia stimolo per tutti: esorto la Chiesa locale che è in Bulgaria a considerare seriamente la possibilità di istituire nuovamente un Seminario, nel quale i giovani, attraverso una solida formazione umana, intellettuale e spirituale, possano prepararsi al sacerdozio ministeriale per il servizio di Dio e dei fratelli.

7. Il mistero della Trinità ci rivela l’amore che è in Dio, l’amore che è Dio stesso, l’amore con il quale Dio ama tutti gli uomini. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Il Figlio crocifisso e risorto, per parte sua, ha inviato nel nome del Padre lo Spirito Santo, perché alimenti nel cuore dei credenti il desiderio e l’attesa dell’eternità.

Questa attesa hanno vissuto attivamente i nuovi Beati, che ora godono della contemplazione appagante della Trinità Santissima. Ci affidiamo alla loro intercessione pregando con la Liturgia bizantina (Ora sesta, preghiera del congedo):

“Dio eterno, che vivi in una luce inaccessibile … proteggi noi che abbiamo riposto in te la nostra speranza, colmandoci con la tua grazia divina e adorabile. Perché tuo è il potere, tua è la maestà, la potenza e la gloria, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen”.

 

9.   (26 maggio 2002) torna su

Dopo aver pranzato nel Palazzo Vescovile con i Presuli cattolici della Bulgaria, ospiti illustri e membri del Seguito Papale, alle 17  il Santo Padre si è recato nella Cattedrale di Plovdiv, dedicata a San Luigi dei Francesi, per l’incontro con i giovani. Dopo il saluto al Papa di due giovani appartenenti rispettivamente ai riti latino e bizantino-slavo, Giovanni Paolo II ha rivolto  ai presenti il discorso che riportiamo qui di seguito:  

Cari giovani amici!

1. Con particolare gioia mi incontro con voi questa sera. Tutti saluto con affetto, mentre ringrazio quanti, a nome vostro, mi hanno appena rivolto cordiali parole di benvenuto. Al termine del mio soggiorno nel Paese delle rose, questo nostro appuntamento – proprio per la freschezza dei vostri anni e la vivacità della vostra accoglienza – è un annuncio di primavera che ci apre al futuro. La bellezza della comunione, che ci unisce nella carità di Cristo (cfr At 2,42), spinge tutti a prendere il largo con fiducia (cfr Lc 5,4), rinnovando l’impegno di corrispondere, giorno dopo giorno, ai doni e ai compiti ricevuti dal Signore.

Fin dall’inizio del mio servizio come Successore di Pietro ho guardato a voi, giovani, con attenzione e affetto, perché sono convinto che la giovinezza non è semplicemente un tempo di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, bensì un’epoca della vita che Dio concede come dono e come compito ad ogni persona. Un tempo durante il quale ricercare, come il giovane del Vangelo (cfr Mt 16, 20), la risposta agli interrogativi fondamentali e scoprire non solo il senso dell’esistenza, ma anche un progetto concreto per costruirla. Dalle scelte che voi, carissimi ragazzi e ragazze, farete in questi anni dipenderà il vostro avvenire personale, professionale e sociale: la giovinezza è il tempo in cui si mettono le fondamenta

2. In questo momento particolare della vostra vita, il Papa è lieto di esservi vicino per ascoltare con rispetto le vostre ansie e sollecitudini, le vostre attese e speranze. Egli è qui con voi per comunicarvi la certezza che è Cristo, la verità che è Cristo, l’amore che è Cristo. La Chiesa vi guarda con grande attenzione, perché intravede in voi il proprio futuro e in voi ripone la propria speranza.

Immagino che vi chiediate che cosa vuole dirvi il Papa questa sera, prima della sua partenza. Ecco: io vorrei affidarvi due messaggi, due “parole” pronunciate da Colui che è la Parola stessa del Padre, con l’augurio che le sappiate custodire come un tesoro per tutta la vostra esistenza (cfr Mt 6,21).

La prima parola è quel “Venite e vedrete”, detto da Gesù ai due discepoli che gli avevano chiesto dove abitava (cfr Gv 1, 38-39). E’ un invito che sostiene e motiva da secoli il cammino della Chiesa. Lo ripeto oggi a voi, cari amici. Avvicinatevi a Gesù e cercate di “vedere” ciò che Egli è in grado di offrirvi. Non abbiate paura di varcare la soglia della sua casa, di parlare con Lui faccia a faccia, come ci s’intrattiene con un amico (cfr Es 33,11). Non abbiate paura della “vita nuova” che Egli vi offre. Nelle vostre parrocchie, nei vostri gruppi e movimenti, ponetevi alla scuola del Maestro per fare della vostra vita un risposta alla “vocazione” che Egli da sempre, con pensiero di amore, ha progettato per voi.

E’ vero: Gesù è un amico esigente, che indica mete alte e chiede di uscire da se stessi per andargli incontro: “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8,35). Questa proposta può apparire difficile e in alcuni casi può anche fare paura. Ma – vi domando – è meglio rassegnarsi ad una vita senza ideali, ad una società segnata da sperequazioni, prepotenze ed egoismi, o piuttosto cercare generosamente la verità, il bene, la giustizia, lavorando per un mondo che rispecchi la bellezza di Dio, anche a costo di dover affrontare le prove che questo comporta?

3. Abbattete le barriere della superficialità e della paura! Conversate con Gesù nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola. Gustate la gioia della riconciliazione nel sacramento della Penitenza. Ricevete il suo Corpo e il suo Sangue nell’Eucaristia, per saperLo poi accogliere e servire nei fratelli. Non cedete alle lusinghe e alle facili illusioni del mondo, che si trasformano assai spesso in tragiche delusioni.

E’ nei momenti difficili, nei momenti della prova – lo sapete – che si misura la qualità delle scelte. Non esistono scorciatoie verso la felicità e la luce! Solo da Gesù si possono ricevere risposte che non illudono né deludono!

Camminate dunque con senso del dovere e del sacrificio lungo le strade della conversione, della maturazione interiore, dell’impegno professionale, del volontariato, del dialogo, del rispetto per tutti, senza arrendervi di fronte alle difficoltà o agli insuccessi, ben sapendo che la vostra forza è nel Signore, il quale guida con amore i vostri passi (cfr Ne 8, 10).

4. La seconda parola che vi voglio lasciare questa sera è la stessa indirizzata ai giovani del mondo intero, che si preparano a celebrare fra due mesi la loro Giornata Mondiale a Toronto, in Canada: “Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo” (cfr Mt 5, 13-14).

Nella Scrittura il sale è simbolo dell’alleanza tra l’uomo e Dio (cfr Lv 2,13). Ricevendo il Battesimo, il cristiano diventa partecipe di questo patto che dura per sempre. Il sale è poi segno di ospitalità: “Abbiate sale in voi stessi, dice Gesù, e siate in pace gli uni con gli altri” (Mc 9, 50). Essere sale della terra significa essere operatore di pace e testimone di amore. Il sale serve inoltre alla conservazione degli alimenti, a cui dona sapore, e diventa simbolo di perseveranza e di immortalità: essere sale della terra significa essere portatore di una promessa di eternità. Ancora: al sale è riconosciuto un potere curativo (cfr 2 Re 2, 20-22), che ne fa immagine della purificazione interiore e della conversione del cuore. Gesù stesso evoca il sale della sofferenza purificatrice e redentrice (cfr Mc 9, 49): il cristiano è sulla terra testimone della salvezza ottenuta mediante la Croce.

5. Altrettanto ricco è il simbolismo della luce: la lampada illumina, riscalda, rallegra. “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”, afferma nella preghiera la fede della Chiesa (Sal 119, 105). Gesù, Parola del Padre, è la luce interiore che scaccia la tenebra del peccato; è il fuoco che allontana ogni freddezza; è la fiamma che rallegra l’esistenza; è lo splendore della verità che, brillando davanti a noi, ci precede sulla strada. Chi lo segue, non cammina nelle tenebre, ma ha la luce della vita. Così, il discepolo di Gesù deve essere discepolo della luce (cfr Gv 8, 12; 3, 20-21).

“Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo”. Mai sono state dette all’uomo parole allo stesso tempo così semplici e così grandi! Certo, solo Cristo può essere definito pienamente sale della terra e luce del mondo, perché Lui solo può dare sapore, vigore e perennità alla nostra vita che, senza di Lui, sarebbe insipida, fragile e peritura. Lui solo è capace di illuminarci, riscaldarci, rallegrarci.

Ma è Lui che, volendo farvi partecipi della sua stessa missione, rivolge oggi a voi senza mezzi termini queste parole di fuoco: “Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo”. Nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, Cristo si unisce ad ogni cristiano e pone la luce della Vita e il sale della Saggezza nel più profondo del suo cuore, trasmettendo a chi lo accoglie il potere di diventare figlio di Dio (cfr Gv 1, 12) e il dovere di testimoniare questa presenza intima e questa luce nascosta.

Accettate dunque con umile coraggio la proposta che Dio vi rivolge. Nella sua onnipotenza e tenerezza, Egli vi chiama ad essere santi. Sarebbe da stolti gloriarsi di una simile chiamata, ma sarebbe da irresponsabili rifiutarla. Equivarrebbe a sottoscrivere il proprio fallimento esistenziale. Léon Bloy, uno scrittore cattolico francese del Novecento, ha scritto: “Non c’è che una sola tristezza, quella di non essere dei santi” (La femme pauvre, II, 27).

6. Ricordate, giovani amici: voi siete chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo! Gesù non vi domanda semplicemente di dire o di fare qualcosa; Gesù vi domanda di essere sale e luce! E non per un giorno soltanto, ma per tutta una vita. E’ un impegno che Egli vi ripropone ogni mattina e in ogni ambiente. Dovete essere sale e luce con le persone della vostra famiglia e con i vostri amici; dovete esserlo con gli altri giovani – ortodossi, ebrei e musulmani – con i quali entrate quotidianamente in contatto nei luoghi di studio, di lavoro e di svago. Dipende anche da voi l’edificazione di una società in cui ogni persona possa trovare il proprio posto e vedere riconosciuta e accettata la sua dignità e la sua libertà. Offrite il vostro contributo perché la Bulgaria sia ogni giorno di più una terra di accoglienza, di prosperità e di pace.

Ciascuno è responsabile delle proprie scelte. Non vi è nulla di scontato, voi lo sapete. Gesù stesso ipotizza l’eventuale infedeltà: “Se il sale perdesse il sapore – dice -, con che cosa lo si potrà render salato?” (Mt 5, 13). Non dimenticate mai, cari giovani, che quando una pasta non lievita, la colpa non è della pasta, ma del lievito. Quando una casa rimane al buio, significa che la lucerna si è spenta. Perciò, “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).

7. Rifulgono davanti a noi le figure dei Beati Martiri di Bulgaria: il Vescovo Eugenio Bossilkov, i Padri Assunzionisti Kamen Vitchev, Pavel Djidjov e Josaphat Chichkov. Essi hanno saputo essere sale e luce in momenti particolarmente duri e difficili per questo Paese. Essi non hanno esitato a dare anche la vita per custodire la fedeltà al Signore che li aveva chiamati. Il loro sangue feconda ancora oggi la vostra terra, la loro dedizione e il loro eroismo sono esempio e stimolo per tutti.

Vi affido alla loro intercessione, e vi ricordo al Beato Papa Giovanni XXIII, che li ha personalmente conosciuti e che tanto ha amato la Bulgaria. Sono certo di interpretare i sentimenti con cui egli guardava ai giovani bulgari del suo tempo dicendovi oggi: è nel seguire Gesù che la vostra giovinezza rivelerà tutta la ricchezza delle sue potenzialità ed acquisterà pienezza di significato. E’ nel seguire Gesù che scoprirete la bellezza di una vita vissuta come dono gratuito, motivato unicamente dall’amore. E’ nel seguire Gesù che sperimenterete fin d’ora qualcosa di quella gioia che sarà vostra senza fine nell’eternità.

Tutti vi stringo in un abbraccio e con affetto vi benedico!

10. (26 maggio 2002) torna su

Lasciata la Cattedrale dopo l’incontro con i giovani, alle 18 il Papa si è recato all’aeroporto di Plovdiv per il ritorno a Roma. Nel corso della cerimonia di congedo, dopo il saluto del Rappresentante del Governo bulgaro, Giovanni Paolo II ha detto:

Illustri Autorità, Cari Fratelli nell’Episcopato, Sorelle e Fratelli nel Signore!

1. La mia visita nell’amata terra di Bulgaria, sebbene di breve durata, ha ricolmato il mio cuore di commozione e di gioia. E’ stata data al Papa l’opportunità di incontrare il popolo bulgaro, di ammirarne le virtù e le qualità, di apprezzarne i grandi talenti e le generose energie. Rendo grazie a Dio che mi ha concesso di compiere questo pellegrinaggio proprio nei giorni in cui si celebra la memoria dei santi Fratelli Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi.

Vada l’espressione della mia riconoscenza a quanti hanno contribuito a rendere gradevole ed utile questo viaggio. Innanzitutto al Signor Presidente della Repubblica e alle Autorità del Governo che mi hanno invitato, hanno collaborato efficacemente alla realizzazione della visita e hanno onorato con la loro presenza i diversi incontri.

Un caloroso grazie va poi a Sua Santità il Patriarca Maxim, ai Metropoliti e Vescovi del Santo Sinodo e ai fedeli tutti della Chiesa Ortodossa di Bulgaria. Insieme con i cattolici, anche gli ortodossi hanno subito in anni ancora recenti una dura persecuzione a causa della loro fedeltà al Vangelo: che tanto sacrificio renda feconda la testimonianza dei cristiani in questo Paese e, con la grazia di Dio, affretti il giorno in cui potremo gioire della ritrovata piena unità tra noi!

Un saluto cordiale rivolgo anche ai fedeli dell’islam e alla comunità ebraica: l’adorazione all’unico Dio Altissimo ispiri a tutti propositi di pace, di comprensione e di mutuo rispetto nell’impegno per costruire una società giusta e solidale.

2. La mia parola di commiato si volge, infine, con accenti di particolare affetto ai cari Fratelli nell’Episcopato e ai figli tutti della Chiesa Cattolica: sono venuto in Bulgaria per celebrare insieme con voi i misteri della nostra fede e riconoscere il dono sublime del martirio con il quale i Beati Eugenio Bossilkov, Kamen Vitchev, Pavel Djidjov e Josaphat Chichkov hanno confermato la loro fedeltà al Signore. Il loro esempio sia per tutti voi un forte incitamento a generosa coerenza nella pratica della vita cristiana.

Alla luce della loro gloriosa testimonianza, vi esorto: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15). In questo modo servirete efficacemente la causa del Vangelo e contribuirete con originale creatività al vero progresso della Bulgaria.

3. Un’ultima parola a tutto il diletto popolo bulgaro, senza distinzioni. Una parola che riprende quella pronunciata dal mio venerato predecessore, il Beato Papa Giovanni XXIII, al momento di lasciare questo Paese nel dicembre del 1934. Egli fece allora riferimento ad una tradizione irlandese secondo cui, la vigilia di Natale, ogni casa deve avere una candela accesa sulla finestra, per indicare a Giuseppe e Maria che là una famiglia li attende intorno alla fiamma del focolare. Alla folla che era venuta a salutarlo, Mons. Roncalli disse così: “Se qualcuno di Bulgaria avrà a passare presso casa mia, durante la notte, fra le difficoltà della vita, troverà sempre alla mia finestra la lampada accesa. Batta, batta! Non gli sarà chiesto se è cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria, basta. Entri, due braccia fraterne, un cuore caldo di amico lo accoglieranno a festa” (Omelia di Natale, 25 dicembre 1934).

Queste parole ripete oggi il Papa di Roma che, partendo dal bel Paese delle rose, conserva negli occhi e nel cuore le immagini dei suoi incontri con tutti voi.

Dio benedica la Bulgaria, con l’abbondanza della sua grazia faccia sentire ai suoi abitanti il mio affetto e la mia riconoscenza e conceda alla Nazione giorni di progresso, di prosperità e di pace.

fonte: Sala Stampa Vaticana

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