Vita Chiesa
Il vescovo Stefano Manetti da Montepulciano a Fiesole “col desiderio di servire”
«Fiesole avrà di nuovo un vescovo, diciamo grazie al Signore e grazie al Santo Padre: la catena della successione apostolica continua. Questo ci conforta, ci incoraggia e ci fa guardare al futuro». Così, a mezzogiorno di giovedì 21 aprile, il vescovo Mario Meini ha annunciato alla diocesi fiesolana il nome del successore. È monsignor Stefano Manetti, 63 anni compiuti il giorno precedente all’annuncio. Manetti nelle sue prime parole ha detto di essere cresciuto ai «piedi del colle fiesolano»: è infatti nato a Firenze, dove ha svolto il suo ministero sacerdotale ed è stato rettore del Seminario fiorentino. Poi nel 2014 la nomina a vescovo della diocesi di Montepulciano, Chiusi, Pienza dove giovedì è stato lo stesso Manetti ad annunciare il suo prossimo passaggio alla chiesa fiesolana. Il vescovo Mario rimarrà a Fiesole nella veste di amministratore apostolico fino al momento dell’ingresso che avverrà il 6 luglio, festa di San Romolo, patrono della diocesi fiesolana. Lo abbiamo intervistato all’indomani dell’annuncio. La notizia l’ha appresa dal Nunzio a Roma: lo aveva chiamato per comunicagli la nomina che ha accolto «come volontà di Dio e come parte costitutiva del ministero apostolico che è per sua natura “dinamico”: andate e predicate in tutto il mondo».
In questi anni di ministero a Montepulciano Chiusi Pienza e prima in diocesi di Firenze a chi si è rivolta in modo particolare la sua attenzione?
«Alla Chiesa come Popolo di Dio nel suo insieme. È questo l’oggetto della cura pastorale del vescovo che deve accogliere la Chiesa e custodirla in sé stesso, presentandola al Signore con la preghiera. Poi il discernimento pastorale indica le necessità che esigono particolare cura nel presente e queste per me sono state i giovani e le famiglie».
Cosa lascia a Montepulciano?
«Il cuore sicuramente, com’è ovvio che sia poiché non siamo funzionari ma pastori che amano il popolo affidato. Se però intende qualche realizzazione pastorale lascio la parola ai fedeli, sono i più obiettivi per indicare questo».
Uno sguardo ora alla nuova realtà che le è stata affidata «una Chiesa che ho sentito vicina fin dalla mia giovinezza», ha scritto nel suo primo saluto. E ha aggiunto di avere «ricevuto da essa maestri e padri» che l’hanno accompagnato nella formazione cristiana. Senza dimenticare le «occasioni in cui ha potuto conoscere il laicato». Ci può raccontare qualcosa di più sulla Chiesa fiesolana, sui sacerdoti che ha conosciuto, sui laici?
«Da adolescente partecipavo agli esercizi spirituali annuali organizzati dalla parrocchia per i giovani e a volte li predicava mons. Gastone Simoni. Don Franco Manetti tenne nella mia parrocchia i corsi per catechisti. Entrato in Seminario ho avuto come docenti mons. Beni, mons. Manfulli e mons. Cirignano, inoltre ho conosciuto altri sacerdoti. I laici l’ho conosciuti soprattutto nell’ Azione cattolica e nell’Opera per la gioventù Giorgio La Pira. Poi negli anni che ero seminarista c’è stata una bella amicizia con i seminaristi di Fiesole, miei compagni di classe, che sento come fratelli».
Dall’esperienza che la attende a Fiesole che cosa si aspetta?
«Aspettarsi qualcosa sembra quasi di mettere delle condizioni allo Spirito Santo, mentre vorrei riconoscergli la libertà di fare quello che vuole, e di accogliere tutto come Suo dono. Da parte mia ho solo il desiderio di servire il meglio che posso. Sono onorato di servire una Chiesa come questa, per di più succedendo a un vescovo bravo come mons. Meini, e sento tutta la responsabilità. È chiaro che la Chiesa fiesolana è del Signore e il primo mio obiettivo è di non essere di intralcio a Lui e alla Sua cura. Allo stesso tempo so che Egli vuole che dia tutto me stesso per la Sua santa Chiesa e che governi, assumendomi le mie responsabilità. Mi colpiva il Vangelo della Messa di stamani: prima che Pietro giunga a riva con la rete che si è riempita di pesci per l’intervento del Signore, questi ha già cucinato del pesce per loro. Il Signore precede sempre ogni nostra pesca».
Come si preparerà all’incontro con la sua nuova diocesi?
«Con la preghiera».
Quali sono gli ambiti ai quali vorrà dedicare da subito il suo impegno?
«Il Papa ci ha chiesto di fare il cammino sinodale e lo faremo, ho potuto rendermi conto in questi mesi quanto sia davvero importante per assimilare lo stile di essere Chiesa nel terzo millennio. Per il resto, come ho detto, voglio dedicarmi al Popolo di Dio in quanto tale. Poi il Signore ci farà capire le priorità».
Com’è nata la sua vocazione religiosa?
«In un ritiro a La Verna quando avevo 15 anni».
L’impegno sui seminari, prima da Rettore di quello fiorentino poi come Delegato Cei, sono stati per lei sempre in primo piano. Cosa pensa della crisi di vocazioni che stiamo vivendo? Cosa fare per dare nuovo forza a una proposta vocazionale per i nostri giovani?
«Poiché è estesa a livello nazionale, mi pare che la crisi delle vocazioni si possa definire un fenomeno epocale. È importante perciò chiederci cosa il Signore ci vuol dire, cosa dobbiamo capire. Ci sono diocesi che hanno una pastorale vocazionale assolutamente eccellente ma con il seminario semi vuoto. La causa viene per lo più individuata nella mancanza di cultura vocazionale tipica del nostro tempo che interessa un po’ anche la comunità cristiana. Questo ci spinge a incentivare maggiormente la pastorale vocazionale, lasciandoci però interrogare: cosa ci manca? Quale conversione ci sta chiedendo il Signore? Forse una maggiore fede».
Nel suo messaggio di saluto ha accennato anche alla situazione in Ucraina. Qual è il contributo che possiamo dare da cristiani a questa vera «catastrofe umanitaria»?
«Questa tragedia aumenta la nostra consapevolezza della urgenza della missione: dopo due guerre mondiali l’Europa vede ancora questi orrori! È assolutamente inaccettabile, tutti i miti del progresso si dileguano come la neve al sole. Anche se siamo stati sulla luna, sembra di essere rimasti fermi al 1940-45. L’umanità non evolve spiritualmente! Troppe guerre persistono nel mondo. Questo fatto innegabile diventa, per così dire, la prova scientifica che l’umanità da sola non ce la fa a essere giusta, non c’è alcun dubbio, ormai bisogna se ne faccia una ragione. Essa ha estremamente bisogno di un Redentore, che grazie a Dio le è già stato dato. Tocca a noi annunciarlo e farlo conoscere, con la parola e la testimonianza di una vita coerente al vangelo, con molta umiltà. Questa è la grande responsabilità dei cristiani, non c’è opera più urgente e necessaria in questo nostro tempo».