Vita Chiesa

Il vescovo Savio e la Toscana un legame mai interrotto

di Renato BuriganaE’ morto mons. Vincenzo Savio, Vescovo di Belluno. Il suo cuore, stremato dalla lunga malattia, ha cessato di battere mercoledì 31 marzo all’alba. Mons. Savio aveva vissuto a lungo in Toscana, prima a Livorno e poi a Firenze. Nella città labronica aveva collaborato con mons. Ablondi al Sinodo diocesano, poi arrivato a Firenze andò nella parrocchia salesiana della Sacra Famiglia, e lì tutto avrebbe voluto fare fuorché guidare un nuovo Sinodo. I progetti di Dio erano diversi, e il cardinale Piovanelli lo chiamò accanto a sé per guidare il 34° sinodo della Chiesa fiorentina, il primo dopo il Concilio. Salesiano, era nato a Osio di Sotto, in provincia di Bergamo il 6 aprile 1944. Avrebbe compiuto la prossima settimana sessant’anni. Nel ’61 aveva fatto la professione religiosa, e quella perpetua nel ’67. Ordinato sacerdote il 25 marzo del ’72. Svolse i primi anni il suo ministero sia in Liguria che in Toscana, sempre in mezzo ai giovani, la sua grande passione pastorale. Nel ’77 venne nominato parroco a Livorno, al S. Cuore, e vi rimase fino al 1985. Lì iniziò a collaborare con mons. Ablondi e a Livorno visse, da protagonista, l’esperienza sinodale. Alla città rimase sempre legato: a Livorno venne ordinato vescovo, il 30 maggio del 1993, nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, e nominato ausiliare e vicario generale della diocesi. Nacque, in quegli anni, l’idea di dare all’impegno ecumenico di Ablondi e dell’intera Chiesa livornese un futuro stabile e una metodologia di studio e di ricerca. I due vescovi fondarono il Cedomei, il primo centro ecumenico italiano, che in pochi anni è diventato punto di riferimento per l’intera Chiesa italiana. Da Livorno, l’ultimo salto, a Belluno, dove arrivò il 18 febbraio del 2001. Ma i legami con la Toscana non li abbandonò mai, erano troppo forti ed erano cresciuti negli anni. Nel periodo fiorentino, dal 1985 al 1990, aveva avuto da Piovanelli il compito di guidare il Sinodo. Fu un impegno che lo assorbì totalmente. Iniziò a girare la diocesi, a incontrare tutti, a conoscere e scoprire la ricchezza della città e del suo tessuto. Si spostava con la sua vespa, incurante della targa ancora livornese, che non cambiò mai. Savio prese la patente solo dopo la sua nomina a Vescovo.Fu una stagione intensa, fatta di incontri e riunioni, che spesso andavano avanti fino a tardi. Era meticoloso e preciso, attento all’ascolto di ogni persona e di ogni situazione. Riuscì a coinvolgere tutti nel cammino sinodale. Anche se il suo grande amore erano i giovani, e i laici. Dava fiducia e responsabilità. Non alzava mai la voce, non perdeva la pazienza. Era infaticabile e non conosceva la stanchezza. Ma certamente l’insegnamento più grande che ha lasciato è stato il suo amore per la Chiesa, madre e maestra. Amava la vita nella Chiesa più di ogni altra cosa. Nonostante la distanza, ogni volta che poteva si fermava a Firenze, per salutare gli amici, per chiedere notizie. Pochi minuti, magari guadagnati correndo in autostrada. Aveva voluto essere nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore anche per l’ordinazione episcopale di monsignor Claudio Maniago. Era fisicamente provato e molti stentarono a riconoscerlo. Ma il suo animo, il suo amore per la verità, per la Chiesa, per i compagni di viaggio era inalterato. È restato fedele fino alla fine al suo motto: «Veritas in caritate».

Anche il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha voluto ricordare in un messaggio alla famiglia «le non comuni doti di umanità e impegno pastorale» di monsignor Savio.

La testimonianza di mons. ColettiPensando all’ultimo incontro avuto con il Vescovo Vincenzo, l’antivigilia della sua morte, sono due le cose che mi sembra bello sottolineare.

Innanzitutto che non mi è mai successo di incontrare una persona ammalata, così lucidamente consapevole dell’avvicinarsi della sua fine (appena entrato mi disse che i medici non prevedevano un prolungamento della sua vita oltre qualche giorno) e così lucidamente motivata ad affrontare questo momento drammatico, con una fede molto forte, con una decisione sofferta e sempre sottoposta agli assalti dell’angoscia e della paura, ma capace di superarli e di orientare tutta la vita all’incontro con il Signore.

È stato anche per me un momento di grande esperienza di vita cristiana e di questo rimarrò grato per sempre al Vescovo Vincenzo.

Devo ricordare anche la commovente richiesta di perdono che lui ha rivolto tramite me alla Chiesa di Livorno, per quello in cui può avere mancato, quello in cui può essere stato meno attento e generoso.

Mi piace poi ricordare il suo legame ancora così stretto e vivo con la gente di Livorno, con la diocesi, che per tanti anni ha servito. Ha ricordato nomi e cognomi, situazioni e circostanze, dandomi la testimonianza di una memoria così viva e affettuosa nei confronti della realtà di Chiesa che aveva servito! Nonostante la difficoltà del nostro colloquio, dovuta alla respirazione artificiale, sii è intrattenuto volentieri con me a parlare per ricordare i tanti legami personali e le esperienze che aveva vissuto a Livorno in questo periodo non breve della sua vita e del suo ministero sacerdotale e episcopale.

Rimane quindi solo da dire “grazie!”. Grazie Vincenzo per quello che sei stato, grazie a Dio perché ti ha donato a noi. Oggi a noi spetta l’impegno a mantenere viva la testimonianza che tu ci hai offerto, onorando così il tuo passaggio tra di noi, con un sincero desiderio di rispondere sempre più generosamente agli inviti del Vangelo.Diego ColettiVescovo di Livorno

«Don» Vincenzo Savio, il vescovo che non ha perso il sorriso

MORTO A BELLUNO MONSIGNOR VINCENZO SAVIO, GIA’ AUSILIARE DI LIVORNO