Le doti che apprezza di più nei pratesi sono la creatività e la volontà, ma se dovesse trovare un difetto alla città non ha dubbi: «C’è uno scoramento diffuso, anche tra i giovani, che va superato».Sono passati due anni da quel 25 novembre del 2012, quando mons. Agostinelli ricevette, dalle mani di mons. Simoni, il pastorale, come segno del passaggio di testimone alla guida della Diocesi. Oggi, ventiquattro mesi dopo, il Vescovo rilascia un’intervista a Toscana Oggi per tracciare un breve bilancio della propria presenza a Prato.«Per me è difficile dare una valutazione, dovrebbero essere gli altri a dare un giudizio – dice mons. Agostinelli – posso dire che sono stati due anni di lavoro intensi, i primi tempi sono stato impegnato a capire la realtà, ora siamo nel tempo delle scelte».E cosa ha capito di Prato?«Da un punto di vista sociale, questa è una realtà formata da persone di buona volontà, da grandi lavoratori, ma è anche una realtà umiliata dalla crisi. Mi pare che qui la recessione sia arrivata prima e abbia colpito più che altrove. Sul versante ecclesiale posso dire che questa è una comunità partecipativa, dove c’è un laicato attivo. Mi ha colpito molto anche la forte devozione che ho trovato in molte parrocchie».Il primo dei Forum di idee per Prato, l’iniziativa nata su sua ispirazione, era intitolato «Essere per fare». Secondo lei, come deve essere la città per tornare a fare?«Occorre riscoprire e rifondare un dato essenziale: la fede. Che va vissuta come una esperienza. Il primo input che dobbiamo avere è quello di rievangelizzare la Chiesa. Se non c’è questa convinzione, ovvero quella di impegnare la propria vita per la fede, che senso ha il nostro agire?».In un’altra intervista al nostro settimanale e parlando ai quotidiani locali, lei non ha nascosto che la Diocesi sta vivendo alcune difficoltà economiche. Qual è la situazione oggi?«Non è cambiata molto, ma posso dire che è sotto controllo. Abbiamo solo iniziato un percorso volto a fare chiarezza sulla situazione nella quale ci troviamo, in modo che la stessa possa essere compresa da tutti».Il messaggio è arrivato?«Mi auguro di sì, ma temo di no. I numeri non sono opinioni. Abbiamo chiesto l’aiuto ai tecnici della Cei per tracciare un quadro della situazione e grazie a loro è stato deciso che serve reimpostare molti aspetti».La nostra Diocesi, come poche altre, è ricca di opere. Per riuscire a portarle avanti sono state prese alcune decisioni, penso alla nuova gestione di alcune scuole cattoliche. Ci sono in ponte altri interventi del genere?«Quello della scuola è un ottimo esempio per capire come stiamo procedendo. Noi riteniamo che le nostre scuole, che non sono private, ricordiamolo, abbiano un importante ruolo pubblico, crediamo fermamente nella loro presenza sul territorio diocesano. Ma purtroppo nessuno ci aiuta a sostenerle e oggi è diventato sempre più difficile farlo. Sono molte quelle dove i conti non tornano. Ma la scelta non è stata quella di chiudere bensì di trovare dei soggetti, delle cooperative che condividono la nostra fede, alle quali affidare la gestione di alcuni istituti».Questa è la strada da seguire anche per altre opere?«Lo abbiamo fatto anche per Carbonin. Ho parlato con l’economo della Cei, mi ha detto che tutte le Diocesi proprietarie di beni comprati in anni passati, come colonie e case per ferie, adesso sono in difficoltà. Ma noi non vogliamo vendere, farlo oggi significherebbe svendere. E poi ci vuole rispetto per i tanti pratesi che si sono autotassati per comprarle. Penso a Villa del Palco, che appartiene non solo alla Chiesa, ma ai pratesi. Aggiungo però che dobbiamo capire come riconvertire alcune strutture, è inevitabile».Lei è stato vicario generale di Arezzo e vescovo di Grosseto. Quali affinità ci sono tra queste due città e Prato?«Con Arezzo non trovo grandi differenze, con Prato c’è in comune la stessa laboriosità e l’importanza data al lavoro. Simili sono anche le tradizioni religiose, che hanno come riferimento valori antichi. I grossetani hanno una visione più poetica della vita, per via della loro tradizione contadina. Sono diffidenti, prima ti studiano e poi, dopo averti compreso, ti fanno sentire uno di loro. Con me è successo così».E i pratesi la fanno sentire uno di loro?«Sì, sento di poter dire questa cosa. Grazie alla Visita pastorale sto incontrando tantissime persone. Mi trasmettono tanto calore, anche coloro che non condividono la nostra fede, c’è una cordialità bella. Anche se molto impegnativa, la Visita pastorale è davvero una grazia».