DI LINDA LOSIQuali prospettive per la pace in Medio Oriente? Quale futuro per la Chiesa e i cristiani di questi luoghi? Sono alcuni degli interrogativi affrontati da Giacinto-Boulos Marcuzzo, Vescovo di Nazareth, nel corso dell’incontro-dibattito tenuto sabato 16 ottobre presso la parrocchia di S. Andrea Corsini a Montevarchi. La conferenza organizzata dall’associazione Habibti Betlemme ha concluso una giornata ricca di iniziative legate alla Terra Santa: dall’apertura di una mostra fotografica sul muro costruito in Palestina all’inaugurazione dell’icona e del reliquiario che la parrocchia di S. Andrea Corsini ha dedicato alla beata Maria di Gesù Crocifisso, monaca carmelitana di Betlemme nota come la «Piccola Araba». Originario del Veneto ma da molti anni residente in Terra Santa, Mons. Marcuzzo è attualmente in Italia per partecipare al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente che si concluderà a Roma il 24 ottobre.Nel corso del dibattito stimolato dalle domande dei presenti il Vescovo ha testimoniato la complessa realtà mediorientale che vive quotidianamente, invitando a informarsi bene sulla reale situazione di quelle terre e a non lasciarsi andare a precoci ottimismi per la recente ripresa dei colloqui di pace. «Vivo in questa regione da 50 anni ha precisato e vi potrei riassumere la mia esperienza sul conflitto Israele-Palestina ricordando una lunga serie di visite, congressi, accordi e piani che si sono risolti in un nulla di fatto. La stessa popolazione locale non crede più nella possibilità di un accordo perché è stata troppe volte delusa».Oltre alla delusione nata dai molti piani disattesi, Mons. Marcuzzo ha evidenziato un altro aspetto che ostacola la fiducia nella pace. «Un individuo nato, cresciuto,educato nella guerra e nella violenza crede che questa sia la condizione normale della vita dell’uomo. Pensa che sia normale buttare via l’altro, evitarlo, ucciderlo. È proprio questa la psicologia diffusa tra le persone di entrambe le parti, palestinesi e israeliani: l’altro non può esistere, se esiste lui non esisto più io».Di fronte a questo atteggiamento la risposta del Vescovo di Nazareth è chiara e decisa: «Nonostante tutte le delusioni noi cristiani siamo obbligati a credere nella pace. E’ la nostra missione e non possiamo permetterci il lusso di non crederci. Siamo obbligati a sfruttare quel minimo di luce e di speranza che ci viene offerta. Insistiamo ostinatamente a dire che la pace è un dovere, è possibile e la vogliamo assolutamente costruire. Non è facile, ma noi ci crediamo».Dalla situazione politica l’attenzione si è poi spostata sulla condizione e sul futuro della Chiesa mediorientale, alla luce dei lavori del Sinodo. «La Chiesa del Medio Oriente soffre oggi il grande problema dell’emigrazione ha precisato . C’è un malessere generale. Tutti i nostri giovani sognano di partire da questi luoghi che sono stati la culla del cristianesimo, sedi di antiche comunità fiorenti nei primi secoli. Non è possibile che siamo arrivati a questo punto».Sottolineando la necessità che le chiese cattoliche in Medio Oriente lavorino in comunione tra loro e ritrovino un nuovo slancio missionario, ha indicato quelli che saranno i frutti del Sinodo nel lungo periodo: «Innanzitutto capiremo che la diversità non va contro l’unità e arriveremo a cogliere in pieno l’importanza della formazione. Infatti la grande questione è la formazione dei sacerdoti, dei laici, dei vescovi e anche della stessa comunità cristiana nel suo insieme».Inoltre, interrogato sul rapporto tra le religioni, ha sottolineato come i cristiani del Medio Oriente seppure in minoranza siano rimasti leali alla fede e alla Chiesa pur mantenendo legami di convivenza con i musulmani. Ha poi indicato alcuni principi fondamentali da tenere in considerazione anche in Italia, dove il rapporto numerico è rovesciato: «In primo luogo è necessaria l’accoglienza: una persona che arriva si accoglie. Naturalmente subito dopo viene la legalità, l’ordine, l’integrazione. Ma l’accoglienza non si discute: sia perché siamo uomini, sia perché siamo cristiani».Il Vescovo di Nazareth ha poi rivolto un pensiero finale alle comunità cristiane di Terra Santa: «A conclusione dell’incontro mi preme sottolineare che in Terra Santa ci sono ancora i discendenti diretti della prima comunità madre di Gerusalemme, fondata da Gesù Cristo stesso. Gli antenati dei cristiani che abitano in questi luoghi hanno visto Gesù, lo hanno ascoltato e hanno fatto l’esperienza di vivere con Lui. E voi, Chiesa universale, ricordate: che lo vogliate o no siete tutti nati spiritualmente a Gerusalemme. Questa è la comunità vostra madre, non dovete dimenticarla».