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Il vescovo di Bruxelles: «La paura c’è. È dentro di noi. Ma dobbiamo resistere»
Intervista con monsignor Jozef de Kesel, presidente dei vescovi belgi e arcivescovo di Malines-Bruxelles dopo gli attentati che hanno seminato morte e terrore nel cuore dell'Europa. Alle 12 la città si è fermata per un minuto di silenzio in memoria delle vittime e le campane delle chiese e delle cappelle di tutto il Paese hanno suonato a morte. Un segno della profonda tristezza che attraversa oggi il Paese ma anche un messaggio di speranza. La città non può morire così.
Bruxelles il giorno dopo. La città si è risvegliata ancora avvolta nello choc per l’orrore vissuto oltre ogni immaginazione. A rendere più difficile il «risveglio» sono le immagini delle vittime che hanno perso la vita sotto i colpi dei kamikaze. Volti giovani, vite spezzate. Alle 12 la città si è fermata per un minuto di silenzio in memoria delle vittime e le campane delle chiese e delle cappelle di tutto il Paese hanno suonato a morto. Un segno della profonda tristezza che attraversa oggi il Paese ma anche un messaggio di speranza. La città non può morire così. Deve reagire, deve continuare a vivere. Sono queste le prime parole che pronuncia al telefono monsignor Jozef de Kesel, presidente dei vescovi belgi e arcivescovo di Malines-Bruxelles.
Eccellenza, qual è il clima che si respira a Bruxelles, il giorno dopo gli attentati?
«Siamo ancora sotto choc per quello che è successo. Ieri, siamo stati tutto il giorno in attesa di notizie. Non sapevamo esattamente che cosa stava succedendo, quante vittime c’erano. Oggi sappiamo che i morti sono 31. Gli attentati hanno colpito l’aeroporto internazionale e il cuore della città con la metro. Il sentimento più diffuso è una domanda: come è stato possibile? Come è possibile compiere atti simili, atti che superano ogni immaginazione. Davvero si tratta di una violenza cieca che colpisce in maniera arbitraria. Molti oggi dicono: «Avrei potuto essere là», «qualche giorno fa ero esattamente in quel posto all’aeroporto». C’è un dolore forte. Ieri per le misure di sicurezza abbiamo dovuto annullare la Messa Crismale. E questo dimostra quanto è forte lo choc».
Il Papa all’udienza del mercoledì ha parlato di «crudeli abomini» e ha chiesto di pregare per «convertire i cuori di queste persone accecate dal fondamentalismo crudele». Che impressione le fanno queste parole?
«Trovo che siano forti. Anch’io ieri mi sono ricordato la citazione del profeta Ezechiele: ‘Toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne». È una citazione del profeta Ezechiele che chiede di essere animati da uno spirito non di pietra. E lo chiediamo oggi soprattutto per le persone che compiono atti simili. Papa Francesco è rimasto particolarmente scosso da questi attentati. Ieri, tramite il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha inviato un messaggio alla Chiesa del Belgio».
Come convivere oggi con la paura?
«La paura c’è, è dentro di noi. C’è poco da fare. La paura c’è. Ma dobbiamo resistere a questa paura. Si capisce perché nella giornata di ieri sono state prese delle misure di sicurezza che hanno imposto di annullare la Messa Crismale. Era per evitare che potesse succedere qualcosa. Quindi, sì: abbiamo paura. Ma d’altra parte non dobbiamo permettere che questa paura ci fermi. Bisogna resistere. La vita continua. Sono impegnato proprio in queste ore a preparare la mia omelia per Pasqua. Noi stiamo per celebrare la festa di Pasqua e questa festa è una speranza per tutti. Cristo è risuscitato. Ha vinto la morte e ha vinto su tutto quello che porta alla morte. Ha vinto l’odio. La festa di Pasqua non è una festa immaginaria. Viene celebrata da noi oggi nel nostro contesto reale e sarà una festa della Speranza. Questo è il messaggio che vorrei dare alla popolazione».
I terroristi che hanno compiuto questi attentati erano tutti di origine araba e il terrore è stato compiuto utilizzando la lingua araba. Non teme che questi fatti possano dividere la popolazione?
«Bisogna evitare assolutamente che ciò che è successo si ritorca ora contro la comunità musulmana. Sarebbe terribilmente ingiusto. Qui, in Belgio, l’esecutivo dei musulmani ha preso le distanze in modo chiaro e fermo da questi atti. D’altra parte sono azioni di una tale crudeltà che non possono avere nulla a che fare né con la religione né con l’Islam».
Quale appello vuole lanciare oggi alla popolazione di Bruxelles e del Belgio?
«Dobbiamo assolutamente continuare a lottare e a lavorare per un mondo più giusto e fraterno, un mondo fondato sul rispetto dell’altro. Credo che sia il valore fondamentale per le nostre società che sono diventate sempre più pluraliste e in cui non c’è più una comunità o una religione maggioritaria. In queste condizioni le società devono fondarsi sulla pace e soprattutto sul rispetto dell’altro. Siamo stati invitati dal Parlamento di Bruxelles come capi dei culti della città – ebrei, musulmani, cattolici, ortodossi e protestanti – per manifestare la nostra unità come leader religiosi, l’unità del nostro Paese e la nostra responsabilità come cittadini a lottare contro la paura e vivere pacificamente gli uni accanto agli altri».