Vita Chiesa
Il vero miracolo di don Facibeni
Toscanaoggi aveva anticipato la settimana scorsa, nelle pagine fiorentine, la notizia che la Madonnina del Grappa ha consegnato a Roma la documentazione di una «guarigione prodigiosa» attribuita all’intercessione di don Giulio Facibeni. Un fatto che – se venisse riconosciuto – potrebbe essere il miracolo che costituisce l’atto finale del processo di beatificazione, aperto nel 1989. Riprendendo questa notizia, alcuni giornali hanno anche rivelato alcuni particolari di questa guarigione, che avrebbero invece dovuto restare riservati. Prendendo spunto da questa vicenda don Carlo Zaccaro (uno dei primi collaboratori di don Facibeni, ed ancora oggi uno dei sacerdoti più attivi della Madonnina del Grappa, di cui segue le missioni in Albania) propone alcune riflessioni sui «miracoli» di don Facibeni.
di Carlo Zaccaro
L’intempestiva incursione del giornalista nell’ignara casa di riposo dell’Opera Madonnina del Grappa per venire a conoscere, con astuzia alquanto rozza, il nome secretato del destinatario di un fatto che la Chiesa deve ancora dichiarare miracoloso, sottoposto com’è ai periti del processo canonico sul Servo di Dio don Giulio Facibeni, è senza dubbio una scorrettezza da deplorare.
Ma non tutto il male viene per nuocere, se questo episodio servisse a smitizzare l’enfasi che la nostra debole fede dimostra quando si accalca intorno all’argomento «miracoli», quasi volesse così sfuggire all’impegno di una vita eroica spesa tutta per gli altri, come quella dei santi che illuminano il cielo della Chiesa fiorentina.
Perché la loro grandezza non sta nei miracoli che compie Dio solo, ma in quello che della loro esistenza terrena hanno lasciato compiere a Dio. Dio ha trovato nella loro risposta quel tal buon lino che Gli ha consentito di tessere loro addosso una splendida veste nuziale. Una veste, aggiungiamo, che alla fine della loro vita si è ridotta ad un cencio per essere stata strappata dalle incessanti richieste dei poveri, i veri padroni di quella veste gemmata.
Allora il miracolo è un altro e noi tutti siamo dei miracolati e questo avrebbe dovuto tener presente il nostro temerario giornalista. Il miracolo è dato dal percorso che Dio fa compiere, quasi sgomitolandola, alla fase terrena dell’esistenza umana per portarla ascensionalmente alla vetta di quella perfezione prevista dal progetto di Dio. Ma la vetta è la croce.
La verità è che il destinatario di un miracolo facibeniano non è tizio o caio o sempronio, ma è un’intera città e Firenze è particolarmente fortunata, perché nella sua storia secolare abbondano gli artisti, i teologi come Dante e i santi che le conferiscono quella singolare «vis» attrattiva, unica al mondo, e ne fanno una città posta sul monte.
Dio si è compiaciuto di dotarla nel secolo scorso di una straordinaria duplice paternità: quella religiosa rappresentata dal cardinale Elia Dalla Costa e da don Facibeni, e quella civile rappresentata dal sindaco santo Giorgio La Pira, in una stupenda circolarità, nella distinzione di ruoli e di intenti. Ma mentre il cardinale Dalla Costa nella sua eminente ieratica figura ci aiutava ad inginocchiarsi (videte vocationem vestram) dinanzi all’ineffabile trascendenza di Dio donandoci la gioia, trasmessa dal suo sguardo «teandrico», di servire la Chiesa con uno stile profetico vetero-testamentario – la sua inarrivabile difesa dei fratelli ebrei a cui chiamò tutta la Chiesa fiorentina affonda le sue radici spirituali in questa stupenda continuità, da lui incarnata, di un Nuovo Testamento che agostinianamente latet sub antiquo – altro è il miracolo facibeniano. Lui che da giovane assistente degli Scolopi aveva agitato in alto il tricolore per la riconciliazione tra Stato italiano e Chiesa cattolica e su quella bandiera aveva idealmente adagiato i corpi straziati dei suoi fanti caduti sul Monte Grappa, si è trovato alla fine dei suoi giorni a tenere nell’incerta mano tremante per il parkinson un bianco fazzoletto quasi ostensorio della resa completa del suo corpo e della sua anima a Gesù crocifisso. Non è questo il vero miracolo di don Facibeni che con la sua palese sofferenza ha portato l’immagine sacramentaria di un Dio Padre a casa di ciascuno di noi?
Noi fiorentini siamo tutti dei miracolati. Don Facibeni ci ha insegnato con la sua vita che l’onnipotenza di Dio e un’onnipotenza d’amore, non di potere. Un’onnipotenza vulnerabile, fra l’altro, dalla nostra libertà a tal punto che abbiamo nelle nostre mani il potere di far sperare Dio, che si confonde e investe nella nostra vita in una lotta analoga a quella con Giacobbe, divenuto Israele, e somigliante tanto alle ansie e alle aspettative, alle speranze tipiche di ogni autentica paternità.
E se siamo figli – ci dice San Paolo – siamo anche eredi. E se è così, non siamo forse dei miracolati?