Vita Chiesa
Il Vaticano rivaluta «Esperienze pastorali»
Ci fu soltanto una comunicazione data dalla Congregazione all’Arcivescovo di Firenze nella quale si suggeriva di ritirare dal commercio il libro e di non ristamparlo o tradurlo. Questa comunicazione, che poi fu resa nota anche attraverso un articolo dell’Osservatore Romano, è il tutto della vicenda Esperienze pastorali. Quindi – spiega Betori – non c’è stato mai un decreto che in qualche modo dava un giudizio di condanna dell’opera e dell’autore. L’intervento aveva un chiaro carattere prudenziale ed era motivato da situazioni contingenti. Oggi la Congregazione mi dice che ormai le circostanze sono mutate e pertanto quell’intervento non ha più ragione di sussistere. Da ora in poi la ristampa di Esperienze pastorali non ha nessuna proibizione da parte della Chiesa e torna a diventare un patrimonio del cattolicesimo italiano e in particolare della Chiesa fiorentina, un contributo alla riflessione ecclesiale da riprendere in mano e su cui confrontarsi».
Di seguito il testo integrale dell’intervista rilasciata dal cardinale Betori al direttore di «Toscana Oggi», Andrea Fagioli, e che sarà pubblicata sul numero del settimanale in uscita domani.
Eminenza, ci avviciniamo alla canonizzazione di due Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Il primo è stato il Papa della sua giovinezza, della sua adolescenza. Il secondo è il Papa che lo ha voluto vescovo e segretario generale della Conferenza episcopale italiana…
«Prima di tutto vorrei sottolineare l’importanza delle canonizzazioni nella vita della Chiesa perché il Vangelo vive nella testimonianza; è quindi bene mettere in risalto le testimonianze compiute della sua presenza tra noi, nel mondo. È molto bello che la Chiesa continui a prospettare alle varie generazioni la presenza nella storia di persone che hanno incarnato con fedeltà e in modo significativo il Vangelo di Cristo. Questo lo è in modo particolare per questi due pontefici».
Che ricordo personale ha di Giovanni XXIII?
«Come diceva lei nella domanda precedente, Giovanni XXIII è legato alla mia adolescenza e prima giovinezza e rappresenta per me il Papa che mi ha introdotto attraverso il Concilio Vaticano II a un volto rinnovato della Chiesa in risposta ai tempi nuovi che si andavano aprendo con la metà del secolo scorso. In lui ho avvertito aria di novità, capacità della Chiesa di rinnovarsi sempre pur restando fedele a se stessa. In questo senso è per me esemplare il discorso d’apertura del Concilio dove Giovanni XXIII lega indissolubilmente la fedeltà alla tradizione con la capacità di dirla nelle forme adeguate ai tempi: il Vangelo come un patrimonio di sempre della verità, ma un patrimonio che deve vivere nella storia. Questa idea della connessione tra il Vangelo e la storia, tra la Chiesa e il mondo, credo che sia la cosa che maggiormente colpì noi giovani. Io ebbi la fortuna di iniziare la mia formazione teologica proprio all’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II e quindi ho una formazione tutta post conciliare».
Da adolescente qual era all’inizio degli anni Sessanta, si rese conto della portata del Concilio?
«Sì, seguivo con attenzione. Ero abbonato al Regno che pubblicava ogni mese gli atti del Concilio. Alla fine feci anche una raccolta rilegata di quei fascicoli. Poi c’era L’Avvenire d’Italia che puntualmente informava sul Concilio. Insomma, ero molto attento».
Ovviamente è diverso il rapporto che ha avuto con Giovanni Paolo II in quanto è il Papa della sua maturità, il Papa di cui sarebbe diventato un collaboratore diretto attraverso l’ordinazione episcopale e l’incarico di segretario della Cei…
«Di Giovanni Paolo II per prima cosa vorrei sottolineare l’impulso che ha dato per una presenza più forte della Chiesa nella società italiana nel momento in cui si rischiava di lasciarci dominare dai processi sociali e culturali. Giovanni Paolo II ci ha risvegliati sul tema dell’identità cristiana in maniera forte: ci ha dato il coraggio di accettare la sfida dei tempi nuovi. Io poi debbo a lui la scelta che ha voluto fare della mia persona come segretario generale della Cei in un momento molto delicato della vita della Chiesa in Italia. Questo incarico mi ha permesso di stare accanto a una figura fondamentale della storia del cattolicesimo italiano quale è il cardinale Camillo Ruini e attraverso di lui avere un contatto personale con Giovanni Paolo II negli incontri che facevamo almeno una volta l’anno quando oltre al presidente veniva invitato anche il segretario della Cei. Poi di Giovanni Paolo II ho un ricordo specifico per un’operazione, chiamiamola così, tra la Conferenza episcopale italiana e la Santa Sede che è stata l’organizzazione della Giornata mondiale della gioventù. In quel caso era necessario capire il Papa, le sue attese, cercare di interpretarle, di dare forma anche visiva nei gesti, nelle scenografie, nelle modalità di svolgimento degli eventi. Interpretare, insomma, il suo desiderio che i giovani incontrassero Cristo attraverso la Chiesa».
C’è qualcosa, a suo giudizio, che può accomunare queste due figure di pontefici?
«L’attenzione alla storia. In due momenti diversi della storia tutti e due hanno pensato che il Vangelo non poteva restare estraneo alla storia, ma doveva starci dentro fino in fondo».
A proposito di grandi figure, anche la Toscana, fortunatamente, ne annovera molte. Restando all’attualità, il 25 aprile, ad esempio, ricorre il centenario della nascita di don Divo Barsotti, uno dei grandi mistici del Novecento, originario di Palaia, in provincia di Pisa e diocesi di San Miniato, ma fiorentino d’adozione. Non a caso il convegno del centenario, una «tre giorni», si svolgerà tra Palaia e Firenze…
«Non mancano queste possibilità per noi di ritornare spesso su quelle che sono state le figure rappresentative del cattolicesimo toscano. Tra poco, appunto, avremo i cento anni dalla nascita di don Divo Barsotti e speriamo di poter fare i primi passi verso quel processo di beatificazione e canonizzazione che tutti ci auguriamo. Certo il cammino non sarà facile per la mole di scritti che ci ha lasciato e che andranno tutti esaminati: 160 libri, più di 600 saggi, non sappiamo quanti manoscritti….Un grandissimo patrimonio di idee. Ma un’altra figura da ricordare in questo momento è il cardinale Elia Dalla Costa alla cui memoria è stata consegnata di recente la medaglia di Giusto tra le nazioni. Una medaglia che il nipote del Cardinale, che porta il suo stesso nome, ha deciso di donare alla diocesi che ha avuto Elia Dalla Costa come suo arcivescovo. Anche questo mi sembra un gesto bello per continuare a mantenere viva tra noi la memoria di un grande pastore della Chiesa».
E l’anno scorso abbiamo ricordato i novant’anni della nascita di don Lorenzo Milani…
«Questo mi offre l’occasione di dare una notizia che ritengo riempia molti di gioia, come è stato per me: nel novembre scorso, dopo un accurato lavoro di ricerca, ho inviato al Santo Padre un’ampia documentazione su Esperienze pastorali. Nel dossier, composto da numerose pagine più gli allegati, attiravo l’attenzione sul fatto che uno dei libri fondamentali, l’unico libro direttamente scritto da don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, appunto, era ancora sotto la proibizione di stampa e di diffusione. Questo dossier il Papa lo ha passato alla Congregazione per la dottrina della fede che proprio in questi giorni mi ha risposto sottolineando innanzitutto una cosa che spesso sfugge, ovvero che non c’è stato mai nessun decreto di condanna contro Esperienze pastorali né tantomeno contro don Lorenzo Milani. Ci fu soltanto una comunicazione data dalla Congregazione all’Arcivescovo di Firenze nella quale si suggeriva di ritirare dal commercio il libro e di non ristamparlo o tradurlo. Questa comunicazione, che poi fu resa nota anche attraverso un articolo dell’Osservatore Romano, è il tutto della vicenda Esperienze pastorali. Quindi non c’è stato mai un decreto che in qualche modo dava un giudizio di condanna dell’opera e dell’autore. L’intervento aveva un chiaro carattere prudenziale ed era motivato da situazioni contingenti. Oggi la Congregazione mi dice che ormai le circostanze sono mutate e pertanto quell’intervento non ha più ragione di sussistere. Da ora in poi la ristampa di Esperienze pastorali non ha nessuna proibizione da parte della Chiesa e torna a diventare un patrimonio del cattolicesimo italiano e in particolare della Chiesa fiorentina, un contributo alla riflessione ecclesiale da riprendere in mano e su cui confrontarsi. Sono pertanto lieto di rispondere così a molti che in questi anni mi hanno posto domande al riguardo».
Questa è una notizia importante perché può togliere definitivamente qualche dubbio che poteva essere rimasto sulla figura di don Milani…
«La valorizzazione della persona e dell’opera di don Milani è iniziata nella Chiesa da tempo, e un particolare ruolo lo ha svolto quella stessa Civiltà cattolica da cui era uscita la voce più critica subito dopo la pubblicazione di Esperienze pastorali. Infatti fu proprio un vicedirettore della stessa rivista dei gesuiti che in un convegno a Calenzano pronunciò a proposito di Esperienze pastorali l’elogio più alto che io abbia mai letto. Ugualmente, poco dopo, ci fu sempre su Civiltà cattolica un articolo da parte di uno dei suoi scrittori più importanti, il padre Piersandro Vanzan, oggi defunto, che nel 2007 riabilitava la figura e l’opera di don Milani. Altro segnale importante, qualche mese fa, sull’Osservatore Romano è apparso un articolo di grande evidenza nel quale si esaltava la figura di don Lorenzo Milani quasi a contraltare dell’articolo che invece nel 1958 metteva in guardia dalla lettura di Esperienze pastorali».
Questa «riabilitazione» avrà un significato anche per il prossimo Convegno ecclesiale nazionale in programma proprio a Firenze nel 2015?
«Direi di sì perché già abbiamo vissuto nell’esperienza del Convegno di Verona nel 2005 una ricerca di figure significative del cattolicesimo italiano nelle varie regioni del nostro Paese per riproporle all’attenzione della Chiesa. Nel caso della Toscana fu Giorgio La Pira ad essere proposto come figura esemplare di cattolico italiano del secolo scorso. Credo che questa ricerca di testimonianze in qualche modo continuerà. Certamente il Convegno che si va delineando non vuole essere un convegno di idee, ma di esperienze. In questo senso so che la presidenza del Comitato preparatorio intende valorizzare molto la storia fiorentina, anche quella recente e contemporanea. Peraltro l’attenzione all’esperienza viva della fede è una delle caratteristiche del magistero di Papa Francesco, la cui presenza al Convegno e a Firenze sarà senza dubbio il fattore ispiratore di tutto l’evento: la nostra città lo attende con affetto filiale».
Come presidente della Conferenza episcopale regionale qual è l’augurio di Pasqua che vuole rivolgere tramite Toscana Oggi?
«È un augurio molto consapevole. Consapevole che oramai sono diverse Pasque in cui è difficile nutrire speranza a causa delle difficoltà nelle quali le nostre famiglie e la nostra società in genere si trovano a vivere. Eppure dobbiamo riaffermare con fede che ogni croce ha una resurrezione. Quindi saper vivere il momento dell’umiliazione, dell’abbassamento, della fatica, della fragilità come qualcosa che ha davanti a sé la luce di una rinascita, di una vita nuova. Credo che questo sia il messaggio che da cristiani possiamo e dobbiamo dare alla nostra società: dopo la croce c’è la risurrezione. Buona Pasqua».