Lettere in redazione

Il Vangelo e le accuse ai cattolici di «buonismo»

Sono un giovane cattolico, impegnato in politica e nel sociale, ma ultimamente trovo sempre minore convergenza con molti miei fratelli nella fede, che sbandierano il vessillo cattolico dimenticandosi spesso il messaggio, scomodo e rivoluzionario, del Cristo e del Suo Vangelo. Pierferdinando Casini fa parte di questa schiera e la sua uscita di questi giorni, secondo cui «parte del mondo cattolico, in nome di un buonismo e di un malinteso concetto di accoglienza, rischia di aumentare i problemi anziché di risolverli», ne è una tristissima conferma.

Purtroppo, Casini rappresenta un vasto e comune sentire di ampia parte del mondo cattolico. Che, ahimè, pare essersi dimenticato non solo del Cristo, ma anche dei grandi Papi del XX secolo: la «Populorum progressio» di Paolo VI, di cui ricorre il 40esimo anniversario, conteneva parole profetiche: «i ricchi, ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili».

Tutti si sciacquano la bocca con il parolone attualmente di moda, la sicurezza, ma dimenticano che la solidarietà e la dignità di ogni persona vengono prima. Se queste mancano, viene meno anche la sicurezza. Cosa altro non sono gli sbarchi di migliaia di disperati, le efferatezze delle periferie, i lavavetri ai semafori, le baracche di cartone, se non la collera dei poveri? Giuliano Amato, riferendosi al fenomeno dell’immigrazione, ha dichiarato che «nessuno di noi poteva prevedere che la slavina diventasse valanga». Beh, Paolo VI lo aveva scritto ed aveva anche aggiunto che la «Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello».

Oggi, purtroppo, c’è una buona fetta di cattolici, ma anche di benpensanti radical chic, che non trasale più, che non si scandalizza più, che pretende di avere le proprie città pulite, come un bel salotto a cinque stelle, a costo di buttare la povertà, il grido dei poveri sotto il tappeto, come fosse un fastidioso sudicio da cui liberare la vista. E le parole di La Pira «quando Cristo mi giudicherà, io so di certo che Egli mi farà questa domanda: Come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?» sembrano sempre più una «vox clamantis in deserto».

Riccardo ClementiPontassieve (Fi)

Le accuse alla Chiesa di eccessivo «buonismo» per il suo impegno nel sociale, accanto a poveri ed emarginati, sono francamente ingenerose. E dispiace, in particolare, che arrivino anche da politici cattolici e addirittura facciano breccia nell’opinione di tanti cattolici. Se la Chiesa apre una mensa per i poveri, o un Centro di ascolto per immigrati, è perché la politica non è stata in grado di dare risposte, risolvendo alla radice quei problemi. Non è la Chiesa che fa arrivare ogni anno nel nostro paese centinaia di migliaia di disperati in cerca di un futuro migliore. Anzi, quello che poteva fare per promuovere lo sviluppo dei paesi più poveri, lei lo fa costantemente, e da tempo, attraverso l’opera di missionari e volontari. Casomai è lo Stato che non fa niente, tagliando ogni anno le risorse alla cooperazione (nonostante gli impegni presi in sede internazionale) e spesso spendendo male anche quelle poche che elargisce.

Detto questo, mentre come cristiani abbiamo il dovere evangelico di piegarci su chiunque soffra, per lenirne le ferite, dobbiamo con più coraggio invocare anche politiche efficaci. Nessuno di noi, ad esempio, può responsabilmente accettare che chiunque vive nella miseria o nel sottosviluppo, arrivi nel nostro paese. Non riuscire a «governare» questi flussi crea solo nuove miserie. E a quanti siamo in grado di accogliere, dobbiamo offrire possibilità di una vita dignitosa (lavoro, casa, assistenza) e percorsi di integrazione, che evitino la nascita di «ghetti» o di «zone franche». La Pira, di fronte all’emergenza casa, ad esempio, non si limitò alle tanto contestate «requisizioni», necessarie per affrontare nell’immediato il problema, ma progettò e realizzò in tempi brevi nuovi quartieri (Isolotto, Sorgane…) dove i senza casa potessero trovare non solo un alloggio ma la possibilità di una vita dignitosa.

Claudio Turrini