Opinioni & Commenti
Il troppo parlare di tasse fa dimenticare la spesa pubblica
D’altra parte, la dimensione prevedibile del cambiamento non sembra dover essere tale da modificare radicalmente l’impianto del nostro «stato sociale», e questo sia per la difficoltà oggettiva di realizzare modifiche rilevanti, sia per le resistenze messe in atto all’interno della maggioranza di governo, da Cdu e An. Nel dibattito, ci si è però concentrati troppo sulla reperibilità di risorse adeguate a realizzare una riduzione del carico fiscale: «trovare le risorse» significa non solo decidere di quanto ridurre il prelievo (questo, caso mai, è l’obiettivo), ma anche quali spese tagliare, dal momento che il patto di stabilità di Eurolandia non ci consente di aumentare il deficit del bilancio pubblico. La situazione ideale consiste certamente nel finanziare il minor prelievo riducendo gli «sprechi», ma questa non sembra un’operazione tanto facile da realizzare. Allo stesso tempo, la discussione sui problemi di equità distributiva si è concentrata sulle aliquote, forse non tenendo abbastanza presente che la disponibilità di servizi favorisce soprattutto le famiglie a più basso reddito e costituisce quindi uno strumento almeno altrettanto importante al riguardo.
L’interpretazione del provvedimento di riduzione della pressione fiscale si è però sempre più orientata verso gli effetti che esso può avere nel far uscire il sistema economico italiano dalla situazione critica in cui si trova.
Rispetto a questa situazione, le opinioni si diversificano quasi soltanto sul considerarla una crisi congiunturale legata soprattutto agli eventi internazionali oppure una crisi di lungo periodo, legata alla scarsa competitività del sistema Italia e all’incapacità di adeguarsi alla globalizzazione e alle sfide dei Paesi emergenti attraverso significativi cambiamenti delle produzioni prevalenti. In questa logica del ridurre la pressione fiscale per dare una scossa salutare al sistema produttivo, sono stati poi considerati i diversi effetti che si ottengono agendo sulla domanda (ridurre le tasse ai consumatori perché possano spendere di più, incentivando così produzione e occupazione) o agendo sull’offerta (ridurre le tasse alle imprese perché possano, anche per questa via, recuperare competitività).
Nella stessa linea si colloca la discussione tra ridurre le tasse soprattutto sui redditi bassi (e quindi dei soggetti con maggiore propensione al consumo) o soprattutto sui redditi alti (e quindi dei soggetti potenzialmente delegati all’investimento e alla creazione di nuove imprese). Anche in questo caso, non si è data abbastanza attenzione al lato della spesa pubblica e delle sue modifiche: se la crisi non è solo congiunturale, e quindi se il nostro sistema produttivo deve essere incentivato a realizzare cambiamenti di struttura (in particolare, spostarsi verso produzioni con maggior contenuto tecnologico), ci si può chiedere se, più che una riduzione delle tasse, non potrebbe avere effetti positivi un riorientamento della spesa, dedicando una maggiore spesa pubblica alla ricerca e alla formazione e favorendo anche fiscalmente le imprese che si dimostrino maggiormente capaci di realizzare innovazioni.