Lettere in redazione
Il tetto agli stipendi dei manager pubblici
A proposito della lettera di Francesco Lena pubblicata su Toscana Oggi del 17 marzo, nella risposta, per completezza di informazione e anche per non attribuire al parlamento colpe che non ha, era necessario citare che il provvedimento di legge sul tetto ai compensi dei grandi manager pubblici era già stata varato da non so quale governo, forse il penultimo; comunque le forze politiche mi ricordo erano tutte d’accordo. Fu il tempo in cui dati sorprendenti furono pubblicati come il compenso del nostro capo della polizia, largamente superiore a quello di Scotland Yard, il manager dell’Inps che ha una ventina di incarichi fino a più di un milione al mese (come fa a trovare il tempo?) e per quale motivo gli è consentito ciò che è severamente vietato a qualsiasi altro più o meno modesto funzionario dello stato? Befera, capo della Agenzia delle entrate è anche presidente di Equitalia, con relativo stipendione ecc… E chi più ne ha più ne metta. Al confronto i politici paiono mammolette: il loro guadagno, se lavorassero davvero, sarebbe plausibilissimo: il problema non è lo stipendio dei politici, ma i privilegi (elencateli, qualche volta, facendo informazione vera).
Una volta fatta la legge sul tetto di mi pare 290 mila euro, intervenne la Corte Costituzionale: parere vincolante negativo e la legge fu abolita. Motivazione della sentenza: i manager pubblici avrebbero avuto un trattamento impari rispetto ai privati che possono contrattare e pretendere compensi più alti. Ma lo sanno i lettori che il tetto di 290mila euro l’anno avrebbe riguardato i supremi giudici nominati nella Corte Costituzionale? Io penso che non sia democratico che la Consulta decida in una materia in cui si evidenzia un così evidente conflitto di interessi!
Scusatemi, ma un tema di questo genere trattato così, sono convinto, e so che non è una osservazione garbata, corrisponde una informazione generica se non approssimativa. Lo so che può essere interpretata come una offesa, ma in democrazia la buona educazione non può travalicare l’ evidenza.
Tra l’altro, sempre nella stessa pagina, l’intervento intelligente e chiaro (che bellezza!) di Emanuela Vinai, mi trova d’accordo ed è in tema: l’informazione non deve contrabbandare per opinione pubblica il proprio pensiero, spessissimo conformista e di comodo, ma dare informazione e la informazione sul tema toccato dal signor Lena senza l’aggiunta dell’intervento della Corte Costituzionale – rapido quanto mai – è incompleta e falsa perché attribuisce le colpe a chi non ce le ha. Ho la netta impressione che l’informazione un po’ tutta tenda a darci degli scemi (popolo ignorante e ciuco).
Caro Sabatini, non me la prendo certo per la sua franchezza. Questo spazio è principalmente dei lettori (e questo spiega anche la nostra ritrosia a dare risposte troppo ampie). La lettera di Lena verteva sugli stipendi e i benefit di cui godono i grandi manager del settore privato ed è su questo che, molto brevemente, mi sono soffermato nella risposta, citando il recente referendum approvato in Svizzera.
Per quanto riguarda invece il settore pubblico mi sembra che ci sia un po’ di confusione. La manovra per il 2011-2012, firmata Tremonti, aveva previsto un taglio agli stipendi dei dirigenti pubblici (del 5% tra i 90 e 150mila euro e del 10% per la parte eccedente ai 150mila). Il provvedimento, che riguardava – secondo la relazione tecnica allegata – 13.544 persone, per un gettito complessivo di 30 milioni l’anno, è stato in effetti bocciato dalla Corte Costituzionale l’11 ottobre 2012. I giudici hanno censurato l’idea che un «prelievo di solidarietà» del genere venga applicato solo ad una categoria di lavoratori (i dipendenti pubblici) e non a tutti.
Altra cosa è invece il tetto agli stipendi dei manager pubblici, previsto dall’articolo 23ter del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, e determinato dal decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2012 («Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali»). Recita quel decreto (art. 3), che lo stipendio «non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di Cassazione, pari nell’anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora superiore – stabilisce ancora il decreto –, si riduce al predetto limite».
E secondo quanto dichiarato in Parlamento dal ministro Patroni Griffi, erano 18 i casi di stipendi superiori a quel tetto, a partire da quello del capo della Polizia, che era più del doppio.
Di recente, mentre le pensioni, anche quelle minime, rimanevano bloccate, si è pensato bene di ritoccare lo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, portandolo a 302.937 euro. E di conseguenza si è alzato anche il «tetto» dai manager pubblici. Il commento lo lascio ai lettori.
Claudio Turrini