Opinioni & Commenti
Il terrorismo non vincerà, ma può non perdere
In simmetria, è cresciuta in Occidente la preoccupazione per la fragilità delle proprie difese di fronte ad un terrorismo che pareggia i conti con la tecnologia militare avanzata facendo uso del sacrificio dei fanatici suicidi. L’11 settembre americano e il seguito tragico che ha avuto, e che ha, giustifica la preoccupazione ma è dubbio possa giustificare, sotto il profilo della legittimità internazionale, la guerra preventiva. Sotto il profilo della razionalità, poi, è ampliamente dimostrato che è stato un errore da dilettanti cadere nella trappola, preparata dalla presunzione, di aver risolto il problema Iraq con una fulminea avanzata che ha conquistato le città ma ha lasciato poi scoperto il paese. Ma quali possono essere gli sbocchi immaginabili di una situazione che non può prolungarsi all’infinito? Si possono solo elencare, per ora, più problemi che soluzioni: la questione palestinese, a risolvere la quale si era già impegnato Bush padre; come inserire le Nazioni Unite nella gestione di un Iraq distrutto e politicamente allo sbando.
Alle viste non c’è molto di cui poterci confortare. Di fatto, il terrorismo non può vincere, nel senso di poter ribaltare gli equilibri politici che attacca, ma anche non perdere, e per due ragioni: la prima, è stato dimostrato cinicamente, che con poca spesa in mezzi e uomini disposti a tutto si può ottenere il massimo dei risultati; la seconda è che il terrorismo oltre a rivolgersi contro l’Occidente costituisce una spina nel fianco dei governi moderati dei paesi arabi e questi non possono e talora forse non vogliono estrarla per motivi di politica interna.
Se l’Europa ci fosse, se fosse cioè legata con legami unitari solidi, questo sarebbe il suo momento. Ma ha già compromesso le sue carte dividendosi fra chi ha partecipato, o comunque sostenuto, l’intervento americano in Iraq e chi aveva consigliato di non farlo, e comunque non senza l’Onu. La divisione l’ha resa di voce flebile negli assetti internazionali. Così non aiuta nessuno, né gli americani impegnati in una guerra in cui sembra aleggiare il fantasma del Vietnam, né gli israeliani e i palestinesi a concludere la pace, né i paesi arabi moderati a sostenersi, e in definitiva non aiuta neppure se stessa. Non è tuttavia escluso e la storia anche quella recente ce ne offre più di un esempio che i fatti costringano ai ripensamenti. Chi l’avrebbe detto nel 1975, quando si tenne la conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione europea che del relativo trattato sarebbe stato onorato, nello spazio di qualche tempo, l’impegno a discutere di diritti umani quando firmataria era anche l’Urss di Breznev? Allora Europa ed America furono capaci di guardare lontano. Capita così questa è al momento la conclusione che anche i valori possano camminar meglio se aiutati dalla politica in sostituzione delle armi.