Opinioni & Commenti
Il terribile omicidio di Roma e la ricerca di emozioni forti
No, proprio no: sembra che non ci siano parole per esprimere l’effetto che questa notizia suscita. I commenti sui social oscillano tra la rabbia urlata e volgare e la disperazione dell’insensatezza: insulti, parolacce, voglia di vendetta, stupore, dolore, maledizioni, senso di resa, violenza.
«Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto fa». E’ quanto Manuel Foffo, ha raccontato al giudice in relazione all’omicidio di Luca Varani, avvenuto a Roma con modalità troppo crudeli nel corso di un festino a base di droga e alcol. «Eravamo usciti in macchina la sera prima – ha detto – sperando di incontrare qualcuno. Poi abbiamo pensato a Varani che il mio amico conosceva».
Sensation seeking: ricerca di emozioni forti. Questa potrebbe essere la risposta dello psichiatra. Sì, lo so, non basta al popolo vorace del social e all’impazzimento mediatico che la notizia suscita. Eppure la ricerca di emozioni forti è la stessa che ha prodotto vittime nelle cosiddette «sfide alla morte» che la società sembra voler ignorare. Ricordate quei ragazzi dei cavalcavia, che gettavano sassi assassini sulle macchine che sfrecciavano in autostrada? Oppure quei giovani che si stendevano sui binari sfidandosi a chi si sarebbe alzato per ultimo al passaggio del treno e a volte troppo tardi? O ancora le sfide alla morte delle corse contro mano che in alcune notti segnano le nostre città? Anche queste sono ricerche estreme di emozioni forti. Sì, poi c’è il popolo dei sensation seekers che si accontentano di sballi artificiali, di sesso estremo, di pugni a caso su passanti ignari, il famigerato knockout game, e anche in tutti questi casi ricordiamo vittime più o meno innocenti.
Ma siamo sicuri che Manuel e il suo amico, cercatori di emozioni, e i tanti altri sensation seekers non siano in qualche modo essi stessi vittime di una società che sta eleggendo l’emotivismo, la soddisfazione immediata di ogni bisogno, la tirannia del desiderio e il narcisismo esasperato come modo di essere privilegiato?
Sarebbe troppo chiedere di non sacrificare sull’altare della insaziabile spettacolarizzazione mediatica ciò che rimane di umano in questa vicenda, non cedendo ad un’altra forma di emotivismo che fa dell’orrido e delle sensazioni che l’orrido suscita un ulteriore stimolo alla ricerca di emozioni forti? Temo purtroppo che sia una richiesta eccessiva: assisteremo all’orrorificio mediatico e al circo delle interviste senza pietà e delle ricostruzioni suggestive.
Un invito: l’accaduto sembra disumano, e sicuramente lo è. Per uccidere così occorre spogliare la vittima della sua umanità, considerarla un oggetto disponibile a soddisfare impulsi e desideri inconfessabili. Tuttavia in ogni storia c’è quel briciolo di umano da cui ricominciare. L’invito è questo: ricominciare da quel briciolo. E c’è un solo modo: tacere. Il silenzio consentirà a quella briciola di umanità, deposta nelle mani di persone disponibili ad aiutarla, a crescere. Trasformare la vicenda in un ulteriore spettacolo significa completare l’opera di disumanizzazione. Ecco, non ci sono parole, ma solo il silenzio e l’operosità nascosta di chi vorrà aiutare Manuel, il suo amico e tanti altri come loro, sprofondati nell’abisso della ricerca di emozioni forti, per evitare che accada ancora.