Prato

Il terremoto nel Partito democratico

di Gianni Rossi

«Questa volta ce la possiamo fare. La città ha davvero voglia di cambiare». Il coordinatore provinciale di Forza Italia Giovanni Luchetti non nasconde l’euforia, insieme a Maurizio Bettazzi di Alleanza Nazionale e a Emanuele Berselli della nuova Dc. Il terremoto politico nel Partito Democratico «certifica – sono le loro parole – il fallimento del governo di centrosinistra e apre finalmente le porte all’alternanza. Ora non è più una chimera».I sentimenti e le parole del centrodestra non sono di circostanza. La paura di arrivare al ballottaggio, perfino quella di perdere le elezioni fa «novanta» in casa Pd. «Hanno trovato i capri espiatori – chiosa Bettazzi – ma addossare la responsabilità soltanto a Romagnoli e Logli non ha senso. È l’intera classe dirigente del Pd a uscire sconfitta da questa vicenda».Tutto si è consumato in pochi giorni. Anzi, forse bisognerebbe dire in poche ore. Entro il 15 ottobre il sindaco e il presidente della Provincia dovevano decidere se ricandidarsi alle prossime elezioni amministrative. Ma conviene fare un passo indietro. Domenica 6 luglio, alla festa provinciale dell’Unità, il sindaco Romagnoli aveva rotto gli indugi: «Sono pronto a ripresentare la mia candidatura. Il partito me lo chieda». Molti, nel partito, non gradirono, e quella richiesta, a Romagnoli, non è mai arrivata. A fine settembre l’unica voce che si è levata per smuovere le acque è stata quella di Daniele Panerati, esponente di punta degli ex ds e numero due della provincia. Dal partito la stessa reazione: silenzio. Su Romagnoli il partito era fortemente diviso. La segretaria Benedetta Squittieri, per trovare una via d’uscita, ha deciso di consultare – con una procedura piuttosto singolare – uno per uno, tutti i membri dell’assemblea provinciale del partito. L’esito, secondo quanto da lei riferito, è stato sfavorevole alla ricandidatura del sindaco. Romagnoli, dal canto suo, stava meditando di presentarsi comunque alle primarie del partito. La mossa a sorpresa è stata dei vertici regionali, appoggiati dal governatore toscano Claudio Martini: hanno tirato fuori un sondaggio estremamente negativo nei confronti del sindaco e del presidente della Provincia. Insicurezza e cinesi le cause principali del malcontento.Innescato pericolosamente, il meccanismo ha finito per travolgere a sorpresa il presidente della Provincia Massimo Logli. Nessuno lo aveva fino ad allora messo in discussione, anche perché riceveva da tempo apprezzamenti trasversali per il suo operato. «Come facevamo a salvare Logli e mandare a casa Romagnoli, quando il sondaggio si presentava negativamente anche per la Provincia?», ci ha spiegato un esponente del Pd dell’area ex Margherita.Tutto questo avveniva tra domenica 12 e mercoledì 15 ottobre. Il sindaco e il presidente hanno deciso di non forzare la mano, pur potendo comunque presentarsi alle primarie. «Mi è stato chiesto di non proporre la mia candidatura, in modo che sia indiscutibile il cambiamento», ha affermato Romagnoli. «La mia è una scelta che vuole scuotere la politica e la classe dirigente del Pd», ha sostenuto Logli. Che nei giorni successivi, tutt’altro che abbattuto, ha rilanciato: «Con il gesto di non candidarmi ho voluto liberare il tavolo perché ci sia un salto al futuro della politica. Non possiamo permetterci di  tornare ai soliti giochini».Nella base del Pd montano intanto sconcerto e polemiche, mentre si cerca una difficile via d’uscita. Se il partito convergesse su un candidato, potrebbero non tenersi le primarie. In caso contrario, si dovrebbe aprire il confronto e la scelta tra diversi esponenti. Lo statuto del Pd fissa date certe per le candidature dal 15 di novembre al 15 di dicembre.Sull’altro fronte i sentimenti, come dicevamo, sono euforici. Il Popolo delle Libertà sta a guardare, in attesa di piazzare le sue mosse. In città, per l’assemblea programmatica, sono giunti i ministri Brunetta e Rotondi. «Noi, al momento, non abbiamo fretta», spiega Bettazzi.

(dal numero 38 del 26 ottobre 2008)

IL COMMENTO:

Il «Berlus-comunismo» del Partito Democratico pratese

Da una parte le segrete stanze del potere, in cui poche persone decidono per tutti. Succedeva così nel comunismo dei tempi d’oro. Dall’altra il pacifico ricorso a stili e metodi (il riferimento è all’uso dei sondaggi) tanto cari a quel Berlusconi che poi a parole si continua a definire lontano e inconciliabile con il proprio modo di fare politica.La traumatica decisione del Partito Democratico di non ricandidare il sindaco Marco Romagnoli e il presidente della Provincia Massimo Logli alle prossime elezioni amministrative ha sorpreso fortemente l’intera città, aprendo una riflessione importante sul modo di fare politica della classe dirigente predominante. Una sorta di «berlus-comunismo», potremmo dire. Tanto più strano perché messo in pratica da una forza politica – il Partito democratico, appunto – che si vuol presentare come nuova nei contenuti e nelle forme di partecipazione. E in politica, il metodo, non è puro stile. È sostanza.La città vive una crisi epocale. Insicurezza e malcontento – come il centrodestra da tempo sostiene – si stanno sempre più diffondendo. Che anche all’interno della maggioranza di centrosinistra ci fossero giudizi contrastanti sull’operato di Romagnoli e della sua squadra non era un mistero. Le recenti elezioni politiche, peraltro, avevano mostrato come gli scenari politici stessero cambiando anche a Prato. Avvicinandosi il termine della legislatura comunale, il Pd avrebbe potuto aprire un largo dibattito, «senza reti», nella e con la città. Sarebbe stata un’occasione fondamentale di partecipazione e democrazia. Alla «provocazione» dell’auto-ricandidatura del sindaco a giugno (dal suo punto di vista improvvida), si è preferito invece rispondere con un lungo silenzio. Le diverse anime – particolarmente divise soprattutto nell’area ex ds – si sarebbero potute confrontare alla luce del sole, per poi giungere alle primarie, sindaco e presidente della Provincia uscenti compresi. E, probabilmente, per il Pd sarebbero stati tempi meno traumatici di quelli che ora lo aspettano. Invece no. Tutto è stato deciso in pochi giorni da pochi «eletti», finendo per travolgere anche il presidente Logli. I risultati negativi di un sondaggio segreto – finora rimasto tale – ha rappresentato l’unica motivazione addotta. C’è da preoccuparsi quando strumenti del genere – che possono essere utili come supporto alla politica – diventano essi stessi contenuto politico. Anche perché, come tutti gli esperti di statistica ricordano, i sondaggi si possono realizzare e far ragionare in tanti modi. Il risultato, come molti prevedevano, è un partito dilaniato, una base disorientata e polemica, un assist fenomenale al centrodestra, cui è stata offerta «una campagna elettorale già pronta, chiavi in mano», come efficacemente ha commentato Paolo Toccafondi su Il Tirreno.La sfida che il Pd si trova davanti non è tanto quella di trovare persone diverse, ma di sviluppare idee diverse. Lo sottolinea, molto lucidamente, in questi giorni proprio il presidente Logli: «Non possiamo permetterci – ha affermato – di tornare ai soliti giochini, è tempo di lavorare a progetti che interpretano e rispondono  alle esigenze e alle ansie delle persone».Si apre ora una fase cruciale per il futuro della città. «Una sfida – ha ben osservato Luigi Caroppo su La Nazione – che farà bene al destino della città: si sgretolano certezze di potere e gli elettori tornano determinanti». Il Popolo delle Libertà ha ora una responsabilità più grande, la più delicata mai capitata alle forze di opposizione in questa città. «Se si lascessero sfuggire questa occasione sbagliando cavalli – ci diceva in questi giorni un esponente di punta del Pd – sarebbero proprio (ci si perdoni il termine) dei coglioni».Gianni Rossi