Vita Chiesa
Il silenzio lo crea l’uomo. L’esperienza di una carmelitana
La “tragedia della guerra” è “purtroppo tragicamente attuale in tante regioni del nostro pianeta”, ma “oltre alla spada e alla fame, c’è una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dall’agire dell’umanità”. Lo ha detto mercoledì 10 dicembre il Papa, nel corso dell’udienza generale, dedicata al commento delle “Lamentazioni” di Geremia. Abbiamo chiesto una riflessione a Cristiana Maria Dobner, carmelitana scalza.
La lamentazione solca il tempo dell’attesa del Messia stesso, annuncio di pace e di gioia, con una scansione di pianto. La spada tocca l’Adam, l’uomo, nella sua carne, rischia di troncare in lui il soffio della vita; spada che è simbolo di vita attentata o di morte, immediata e repentina, comunque violenta; fame che è simbolo di vita attentata o di morte, diluita nel tempo e contata, goccia a goccia, figlia della violenza sorda che non uccide alzando la mano ma rinchiudendola. Due forme di violenza che precludono l’uomo all’uomo, che possono costringerlo ad una verticalità che si apre nel gemito verso il Padre buono.
Giovanni Paolo II non ignora la violenza odierna, l’ingiustizia che non cede il passo alla Shalom, i drammi dell’uomo e dei piccoli dell’uomo gli sono presenti, giocano nella sua vita le ombre della matita grassa, fumosa.Eppure, peggiore della guerra, della calamità naturale, della fame che isteriliscono la mente toccando gravemente il corpo, vi è un’altra dimensione dell’esistere umano che è in gioco e che fonda tutto: la relazione con Dio. Se questo legame è inaridito, se patisce la violenza della spada del pensiero debole, del rivolgersi agli idoli vani del tempo corrente; se la fame di Dio è colmata da ogni bene terreno, satura di se stessa, grassa di edonismo, che cosa rimane dell’uomo? Il suo cuore non è più il cuore ascoltante della preghiera di Salomone, quel lev che rimane sempre teso e vibrante ad ascoltare la voce del Padre, che, in Lui fonda la propria giustizia e da cui attende lo Shalom. L’uomo non guarda più neppure l’uomo, suo compagno di strada. Guarda solo se stesso e la dinamica dell’attesa di Colui che sta venendo, gli suona assurda, incredibile o, almeno, lontana e fantastica. Toccando però il centro del suo dolore, scopre anche la sua area di forza. Le tracce di Dio nella storia le può cogliere e riconoscere solo questo cuore ascoltante, altrimenti gli si oppone il dramma peggiore che possa toccare la persona umana: il silenzio distante e costante.
Tutti, in misura diversa, abbiamo conosciuto il silenzio della persona amata, dell’amico, dei genitori. Un silenzio che grida indignazione, scontrosità, rabbia tacitata, rapporti rotti o, almeno, insidiati.Così è Dio con noi, quando come il popolo, dobbiamo asserire: siamo colpiti, non c’è più rimedio?Il silenzio di Dio è di altra acqua, conosce una sola valenza: il rispetto della libertà, l’assoluto amore per la tragedia che l’uomo colpito non sa leggere. Dio gli concede tempo e, saggiamente, tace. Avvolge l’uomo con una coltre che lo protegge mentre sembra respingerlo. E’ una spinta immobile, un moto che è statico, fermo. Un contromovimento che reca in sé la traccia della vita. Dio attende che l’uomo si ritrovi, che faccia luce in se stesso: colpito nella sua radice più profonda, fluttua nell’insicurezza, nell’instabilità.
Se Dio tace, cioè se non si esprime con la sua Parola che è fatto concreto, perché quando Egli parla opera; se tace, le sue mani non smettono di sorreggere l’uomo da Lui plasmato.La sua mano, nel silenzio e nel vuoto, tocca gli orecchi del cuore e li libera dal frastuono, dal vocio del sé al sé. E l’uomo grullo pensa: Dio tace. Invece Egli è all’opera e il canale dell’udito si libera, incomincia a percepire almeno il silenzio, il vuoto. Dio ci insegna che il disgusto esiste, Egli è debole per amore, ma ci insegna anche come trasfigurare il disgusto che lo fa ritrarre dal suo rapporto con l’uomo: non nel carapace di un ostinato rifiuto, nella ricerca del punto debole del carapace dell’uomo: nel grembo del silenzio dove Egli ricrea nell’uomo la capacità del cuore ascoltante.
Non è forse il messaggio di chi ha fatto esperienza di Dio, dei mistici, delle loro Notti? Il muro del silenzio diventa allora armoniosa attesa, si fa spasimo ardente, perché l’uomo solo conoscendo se stesso, può aprirsi a Dio. Il nodo dell’amicizia si stringe e le notti della persona e della storia fanno scaturire bellezza splendente. Non è il messaggio di ogni cristiano che accompagna il fratello, nel silenzio e nel vuoto della storia, perché Egli apprenda a percepire il passo di Colui che gli cammina accanto?Il radicarsi in quella Parola, l’ultima secondo Giovanni della Croce, pronunciata dal Padre donandoci il Verbo, Gesù Cristo. Silenzio di Dio che non getta l’uomo nella storia e lo dimentica, ma tesse la speranza, la verità dell’uomo sull’uomo. Giovanni Paolo II ci ha ricordato quanto vogliamo, inconsciamente, scordare: il silenzio lo crea l’uomo.