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Il sig. Rossi, da anonimo italiano a salvatore della Patria (e dell’Inter)
Quest’anno tal Guido, sconosciuto ai più prima della sua nomina a commissario della Federcalcio, si è guadagnato sul campo i galloni di portafortuna degli azzurri che a Berlino hanno cucito la quarta stella sulle loro maglie. Anche lui con uno scandalo alle spalle, ma altrui. Paracadutato al vertice in piena terza età e subito trionfatore: vuoi mettere? Non osannato ovunque, per carità, anzi almeno a Firenze duramente contestato, ma del resto non si può accontentare tutti. Finché il Salvatore del Pallone, mentre era ancora impegnato nel duro compito di riscrittura delle regole, non è stato nominato alla guida di Telecom dopo le dimissioni di Tronchetti Provera.
E se n’è andato, a sua volta, dalla Figc sbattendo la porta, dopo che gli era stato fatto chiaramente capire che non era proprio il caso di mantenere i due incarichi, come avrebbe voluto. Per questioni di interessi di Telecom e Tim nel mondo del calcio, certo, ma forse anche, più semplicemente, perché percepire due lauti stipendi anziché uno non era propriamente cosa da moralizzatore. Meglio, quindi, che l’uomo portato alla ribalta dalle telefonate di Moggi e compagnia bella abbia riposto le sue smanie di onnipotenza che il Coni gli avrebbe fatto comunque riporre e si sia accontentato di ritrovarsi al vertice della telefonia nazionale.
Che, certo, non dà la stessa visibilità popolare del pallone, ma non importa. Il rischio di ricadere nell’anonimato non esiste, perché Guido Rossi è già passato alla storia. Non per il quarto titolo mondiale dell’Italia, ma per aver consegnato alla sua Inter il 14° scudetto, nonostante Moratti e Mancini. Solo un grande come lui poteva riuscirci.