Opinioni & Commenti
Il semestre di Renzi di fronte al rigore che genera solo disoccupazione
L’alta disoccupazione non è solo un dramma per chi personalmente la vive, ma è anche un danno per tutto il resto dell’economia. Ciò che per il disoccupato è povertà, per il commercio, l’industria e i servizi è diminuzione del potere d’acquisto e quindi delle vendite e del volume di affari. Detto in altri termini la disoccupazione, come una brutta bestia incinta, crea altra disoccupazione.
Tuttavia nel mondo cosiddetto sviluppato l’Unione Europea è oggi quella che più privilegia il contenimento del proprio debito rispetto alla crescita della proprio economia. Quest’anno nella cosiddetta Eurozona il deficit di bilancio medio annuale dei vari paesi rispetto al prodotto interno lordo sarà del 2,5 % e il debito medio (quello cioè accumulato nel tempo) sarà pari al 96 % del Pil. Negli Stati Uniti il deficit sarà invece del 5,4 % e il debito del 105 %. In Giappone il deficit sarà del 7,4 % e il debito del 243 %. Eppure, anche se le economie cosiddette mature crescono ormai molto poco, è proprio chi sta più attento al contenimento del proprio debito che sembra crescere meno. Quest’anno il Giappone crescerà del 2,8 %, l’America dell’1,5 %, l’Eurozona solo dell’1, 2 %.
Sia ben chiaro che si deve cercare di contenere e di ridurre il debito. Tuttavia ci sono scelte di eccessivo rigore che alla fine producono più debito oltre che più disoccupazione. Facciamo due esempi che riguardano l’Italia e di cui si è discusso anche nel recente vertice di Ypres dei capi di governo europei…
Se, per rientrare nel famoso limite di deficit del 3 % del Pil che l’Europa impone, la pubblica amministrazione italiana non riesce a pagare le decine di miliardi che deve da anni alle imprese molte di queste imprese, soprattutto le edili già in difficoltà, falliranno e aumenteranno i disoccupati. Lo stato non riscuoterà più le tasse e i contributi sociali che provenivano da queste imprese e dai loro lavoratori e dovrà al contrario spendere per mantenere i nuovi disoccupati così creati con cassa integrazione, contributi di mobilità o altri sussidi. Le entrate saranno minori e le spese maggiori. In pratica, per il rispetto di una misura tesa a non aumentare il debito, si è aumentato il debito con l’obbligo magari di pagare una multa alla Unione per non avere pagato i debiti pubblici.
Oppure: se, sempre per restare dentro i limiti di quel 3 %, l’Italia non riesce a tirare fuori il contributo di tasca propria equivalente che è necessario per ottenere i fondi strutturali dell’Unione (e si tratta per i prossimi anni di decine di miliardi di euro) l’Italia non otterrà quei fondi comunitari che pure ha contribuito a pagare e, pagando senza ricevere nulla in cambio, aumenterà il suo debito e non potrà fare investimenti per ridurre la propria disoccupazione. In generale il problema degli investimenti è vitale soprattutto per ridurre la disoccupazione nel nostro paese.
Tutti sono d’accordo nel sostenere che in una economia avanzata si crea nuova occupazione solo attraverso la ricerca e l’innovazione, cioè, detto in parole povere, facendo delle cose che gli altri, compresi i paesi emergenti, non riescono a fare. Ma l’Italia ha la caratteristica di essere un paese dove l’economia è fatta per quasi il novanta per cento da piccole e medie imprese che sono incapaci di fare ricerca se non la fa lo stato che in teoria è l’unico che potrebbe caricarsi di grandi investimenti oggi per ottenere i risultati solo fra molti anni.
In realtà il rigore da solo è capace di aumentare oltre alla disoccupazione anche il debito come è accaduto durante il governo Monti quando, essendo diminuito il reddito nazionale di più del 2 %, il debito rispetto al Pil aumentò non perché era aumentato il debito ma solo perché era diminuito il prodotto interno lordo, cioè tutto quello che gli italiani avevano prodotto in meno con il calo del potere di acquisto, la chiusura delle imprese e la nuova disoccupazione dovute alla eccessiva austerità. Come dicono gli economisti, usando i termini della matematica, il rapporto fra debito e Pil aumentò perché, pur restando fermo il numeratore, diminuì il denominatore.
Al recente vertice dei capi di governo di Ypres Matteo Renzi ha recuperato un ruolo al nostro paese che non è più troppo marginale in Europa ed è riuscito a inserire la crescita fra gli obiettivi della Unione Europea facendosi forte della sua vittoria elettorale e di un certo sostegno anche da parte del francese Hollande, ma sul fatto di una maggiore flessibilità nella gestione del debito soprattutto per chi si impegna sulle riforme siamo rimasti ancora sul generico. Sarà compito del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, che è iniziato martedì scorso, cercare di ottenere qualcosa di più nel concreto e cercare di usare l’obiettivo riconosciuto della crescita per ottenere flessibilità e lo scorporo dal deficit delle spese per investimento. Per ora solo sulla non contabilizzazione nel debito dei cofinanziamenti ai fondi pubblici di cui abbiamo parlato sopra sembra che ci sia stato un assenso della Merkel. Ma per il resto nel concreto il governo italiano non è riuscito nemmeno a farsi confermare una concessione che dava già per acquisita e che era quella di far slittare al 2016, anziché al 2015, l’obbligo del pareggio del bilancio richiesto dall’Unione.
Per quanto riguarda gli altri vincoli quello del non superamento del deficit del tre per cento preoccupa meno di tutti visto che ormai si tratta quasi di una grida manzoniana che solo pochi, fra cui l’Italia, rispettano. C’è più da temere una messa sotto accusa del nostro paese per debito eccessivo con l’obbligo di ridurlo di un ventesimo ogni anno.
Durante la sua presidenza dell’Unione Europea Renzi dovrà cercare di allontanare questa eventualità appellandosi alla flessibilità che in linea di massima a Ypres si è strappata per chi fa le riforme. E anche per questo Renzi le riforme vuole farle. Ma la strada, se non più sbarrata, è ancora in salita. Tuttavia nei prossimi sei mesi la presidenza del Consiglio Europeo offre all’Italia alcune opportunità da sfruttare al meglio: l’Italia avrà il compito importante di mediare fra i vari componenti del consiglio e di scrivere l’agenda dei lavori in cui Renzi ha già messo come primo argomento da affrontare «un consolidamento fiscale amico della crescita» cioè in altre parole proprio il tema della famosa flessibilità.
Per quanto riguarda il dramma della emigrazione Renzi a Ypres è riuscito a strappare una maggiore partecipazione degli altri stati al controllo del mare e delle frontiere attraverso l’organizzazione Frontex, ma non è riuscito a far accettare il principio della solidarietà e della reciprocità nel concedere asilo ai migranti che, dopo avere attraversato il Mediterraneo, si aggrappano all’Italia come l’orlo d’Europa più vicino.
Eppure nel discorso in parlamento del 24 giugno scorso il nostro presidente del consiglio era stato duro. «Se – disse – di fronte alla tragedia dell’immigrazione dobbiamo sentirci dire “questo problema non ci riguarda” allora tenetevi la vostra moneta e ridateci i nostri valori». Vedremo se e come durante la presidenza italiana Matteo Renzi vorrà portare avanti questa grande battaglia etica promessa, ma ancora quasi tutta da combattere. Nell’agenda scritta per il semestre italiano da Renzi c’è ancora il tema della « europeizzazione delle politiche migratorie».