Vita Chiesa

Il saluto al Sindaco di Firenze

Ecco il saluto al Sindaco di Firenze, in piazza San Giovanni, nel pomeriggio di domenica 26 ottobre.

Signor Sindaco,Le sono molto grato per questo gesto di accoglienza e per le parole che lo suggellano. Grazie anche ai Sindaci degli altri comuni, del cui pensiero Lei si è fatto interprete. Ringrazio anche per la loro presenza, che mi onora, le altre autorità civili e militari, come pure tutta la gente di Firenze qui radunata per darmi il suo festoso benvenuto.Sono consapevole che a suggerire queste presenze e questo scambio di saluti e i loro contenuti c’è assai più della cortesia istituzionale, per quanto avvalorata da una felice e antica consuetudine e da un quadro di riferimenti giuridici, circa i rapporti tra la comunità civile e quella ecclesiale, efficacemente scolpito nell’Accordo Concordatario del 1984, dove si afferma che «lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» e, insieme, impegnati «alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». C’è di più, ossia l’intera storia della gloriosa città di Firenze che, nella sua migliore tradizione, mai ha inteso il vescovo come un intruso, un estraneo, un forestiero, ma un fiorentino tra i fiorentini, un fratello nella carità di Cristo, un padre spirituale, un promotore dell’unità morale, un difensore dei deboli, il successore degli apostoli, dunque l’araldo del Vangelo, che lega Firenze di oggi alla genuina predicazione apostolica.Vorrei tuttavia, Signor Sindaco, dare un’intonazione personale a questo primo incontro con la città che da oggi è anche, e profondamente, mia. Non posso infatti dimenticare il mio primo impatto con la Firenze di quasi quarantadue anni fa quando, in giornate gravide di pioggia e di sventura, la furia dell’Arno ne sfigurava il volto, sconvolgendo la vita operosa dei suoi abitanti. Come ricordavo già nel primo saluto all’Arcidiocesi, ero allora un giovane seminarista, appena giunto a Roma per avviare gli studi teologici, e insieme a un gruppo di amici non frapposi indugi correndo anch’io a dare il mio minuscolo apporto al fiero riscatto della città. Ci assegnarono allora una pala e un secchio, e ci inviarono non nei luoghi rinomati dell’arte, dove altri giovani erano impegnati per portare in salvo quadri, sculture, libri e pergamene, ma in un quartiere popolare, se ben ricordo nei pressi di Badia a Ripoli, a liberare dal fango le cantine delle case della gente semplice del popolo.Mi piace porre sotto questa immagine l’inizio e l’intenzione del servizio che, dopo più di quarant’anni, torna a essermi chiesto per questa città. Non vengo questa volta di mia iniziativa, ma inviato dalla volontà del Santo Padre, un mandato che ho accolto con trepidazione e fiducia. Tra le mani mi viene posto stavolta non un badile, ma il baculo del pastore. Vorrei che esso fosse interpretato – come è giusto, perché è nella sua natura – non come figura di un potere, bensì emblema di un servizio alla comunione, segno che va dato alla direzione di un cammino spirituale, indizio di una missione mistica posta a garanzia di tutti, credenti e non credenti, presagio in difesa della povera gente, in particolare di quella negletta e meno garantita. Con ciò non intendo certo minimizzare la vocazione specifica di questa città unica al mondo per sedimentazione e concentrazione d’arte e di cultura, che da sempre la Chiesa locale contribuisce per la sua parte a promuovere, custodire e garantire anche per le generazioni future. Su questo, se possibile, ci sarà da fare ancora di più, con la partecipazione di tutti.Vorrei piuttosto ribadire una vocazione prioritaria a stare con la gente, quella gente che è la componente viva di questa città, la prima erede della sua ricca storia e la fondamentale interprete del suo presente: a questo mi induce anzitutto il Vangelo, ma anche l’indole tipica della Chiesa italiana, e specificamente di quella fiorentina, sempre prossima al suo popolo e in profonda sintonia con le sue aspirazioni. Di questo popolo, Signor Sindaco, mi riprometto di essere solo servitore, offrendo alle istituzioni civili, nel rispetto dell’autonomia e degli ordini, ogni possibile collaborazione.Da oggi la città di Firenze e i suoi reggitori possono contare su un cittadino in più, che ne ha a cuore le sorti e lealmente si impegna a caratterizzarne il volto, perché sia sempre meglio conforme a quell’indole umanistica che il seme del Vangelo qui originalmente fecondò a beneficio e a consolazione della stirpe umana. Possa la nostra città rivivere, nelle forme che i nuovi tempi esigono, il carattere antico che Dante nella Firenze ideale del Cacciaguida descrive come un «viver di cittadini» «riposato», «bello», «fida cittadinanza» e «dolce ostello» (Divina Commedia, Paradiso XV, 130-132). Dal canto suo, la Chiesa non potrà farle mancare, oggi più di ieri, il proprio apporto di virtù, di preghiera e di santità di vita, passando per il crogiuolo di una conversione che – con la grazia divina – scuote le coscienze, toglie le incrostazioni, dà il gusto della trasparenza, risveglia alla vigilanza. E nessuno più – Dio lo voglia – sia scandalizzato.Perché le parole non suonino solo suggestive e alla fine formali, occorre che si leghino a una precisa consapevolezza del tempo presente, dei cambiamenti che esso sta innestando nella figura stessa dell’uomo e nella struttura della convivenza sociale. Oggi, come al tempo di Dante, dobbiamo affrontare una nuova stagione: questo non ci impedisce di essere consapevoli che le nostre radici non sono un peso che ci angustia, ma una risorsa per orientare il futuro secondo canoni di autentica umanità. Di queste radici, la Chiesa è parte significativa: offre a tutti una sapienza di vita e un’operosa testimonianza solidale, che ci indirizzano a una vita buona, fondata sulla verità e aderente alla realtà. È una sapienza che non riposa su un’ideologia ma sull’esperienza viva dell’incontro con la persona di Gesù, che ci cambia e ci rende nuovi. L’annuncio e la testimonianza di questo incontro è ciò che abbiamo di più proprio e ciò che dà fondamento al nostro impegno e servizio per la città. Con questi sentimenti e questi convincimenti, e soprattutto col sostegno che invoco dalla grazia divina, muovo i primi passi di pastore, sentendomi già accolto dalla Sua e Vostra benevolenza, a mia volta pronto ad accogliere tutti con un cuore che vuol essere quanto più trasparente il cuore stesso di Dio.