Cultura & Società
Il ritorno degli Eroi
Così Omero mette in cima alla piramide dei valori umani l’arte di combattere e la nobiltà che ne deriva: due qualità che resteranno dominanti per secoli e che fonderanno una morale dura a morire.
L’esaltazione dell’eroe come il nobile combattente entrerà in crisi solo con la nascita degli eserciti moderni e con gli ideali di uguaglianza del secolo XVIII. Dirà Montesquieu: «Per fare delle grandi cose non è necessario essere al di sopra degli uomini comuni, basta solo star loro accanto». E Voltaire: «Io chiamo grandi uomini tutti quelli che sono stati utili agli uomini. I saccheggiatori di province sono solo degli eroi».
Con il nazionalismo dell’Ottocento ci sarà una nuova vampata del culto eroico.
Ma l’eroe non è più lo stesso. Si è in buona parte imborghesito anche se ancora viene messo a cavallo sulle piazze e nei giardini pubblici. Gli «eroi» di Carlyle sono spesso statisti. D’Annunzio nella «Canzone degli eroi» infila Verdi accanto a Garibaldi.
Del resto è la guerra che ormai è fatta dalle masse e non dai duelli dei singoli. La battaglia di Maratona durò un’ora e costò agli Ateniesi 192 morti. La battaglia di Waterloo durò un giorno e fece 60 mila morti. La battaglia di Stalingrado durò sei mesi e fece 900 mila morti.
A partire dalla seconda metà del Novecento si tende ad emarginare sempre di più la cultura della guerra. Semmai si comincia a parlare di cultura della pace. L’Iliade viene letta quasi integralmente nella scuola media almeno fino alla riforma del 1962 («Tre anni di brutte traduzioni di poemi antichi», dirà don Lorenzo Milani). Poi entra a bocconi in una antologia epica che finirà quasi nel dimenticatoio.