Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Il Risorgimento in riva al Tevere.

Nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dall’Unità d’Italia, il 17 Marzo, sono stati ricordati dovunque i combattenti e i martiri del nostro Risorgimento. Ma, dove possiamo, perché non ricordare i loro nomi? Ricordarli nel loro essere stati uomini con i loro ideali, nelle loro scelte, nel luogo della loro esistenza dove vivono ancora famiglie che portano il loro cognome, contribuisce a eliminare quel che di generico e retorico c’è in ogni celebrazione; rende l’anniversario più concreto e incarnato. Eccoli i nomi (certamente non tutti) che il Municipio di Sansepolcro ha provveduto a conservare con una lapide sul muro della chiesa del Cimitero, seminando la possibilità del ricordo: Barni Giuseppe, Camaiani Michele, Della Torre Leopoldo, morti «pugnando per l’indipendenza d’Italia», rispettivamente nel 1849, nel 1859 e, gli ultimi due, nel 1867. In mancanza di una corona e compensando la dimenticanza delle autorità, il professor Luigi Andreini ha proposto un minuto di silenzio all’inizio di una delle conferenze sulla storia di Sansepolcro, tenuta proprio il 17 marzo. Una coincidenza sicuramente significativa.A L.Della Torre e a L.Poggini «alcuni loro amici» posero una lapide sotto le arcate del nostro cimitero il 2 novembre 1868, ricordando a tutti che le loro ossa giacciono ignorate nell’agro romano ma «il cuore è pieno di voi che insegnaste come cadendo con l’arme in pugno, non cade la patria e né la libertà». Vicino a questa lapide, a chi cerca con attenzione i personaggi della nostra storia, c’è il marmo che ricorda Giglio Gigli, volontario nel 1859: era un matematico e un umanista ma anche un «duro italiano». Troviamo poi altre tre persone che hanno combattuto insieme per l’unità d’Italia: don Carlo Fantoni, canonico; Antonio Gigli, farmacista; Ferdinando Zanchi, medico. Il primo, «tetragono nella fede della libertà e della patria», scrisse anche nelle sue prose e poesie di questo suo amore di italiano. Quanto ad Antonio Gigli, si ricorda in un’altra lapide che fondò qui un’officina farmaceutica nella quale, oltre ai medicamenti, si preparavano gli animi per la riscossa. Nel 1849, a 61 anni, fu sul Granicolo con Garibaldi a difendere Roma «contro l’oltraggio gallico». Fu punito con il carcere e non giunse a vedere issato sulla torre il tricolore. Morì infatti nel 1858. Il ricordo di lui si conclude così: Se i principi avessero fatto una lega per l’indipendenza italiana io non avrei abbandonato le loro bandiere ma ci hanno voluti stranieri in casa nostra ed io vado a difendere la repubblica.Veramente una commovente pagina di storia, anche da approfondire, che, fortunatamente, per l’attenzione dei nostri maggiori, non si è cancellata.Giuliana Maggini