Toscana

Il riscatto dell’Africa passa dall’interdipendenza

di Leonardo Chiarelli

Interdipendenza, è questa la parola da cui si è partiti per discutere di Conosciuta, sconosciutissima Africa, giovedì 13 e venerdì 14 novembre a Firenze, in Palazzo Vecchio, su iniziativa di Acli, Comunità di Sant’Egidio, Legambiente, Focsiv, Movimento politico per l’unità (Focolari), con il sostegno di Regione Toscana e Fondazione Monte dei Paschi di Siena, e il patrocinio della Provincia e del Comune di Firenze. Molti i relatori ed i temi discussi: la povertà, i media, e la cooperazione tra nazioni per arrivare a immaginare un mondo più unito.

Un’Africa al singolare che ci parla di povertà, di guerre e di milioni di profughi. È questa l’unica e sola Africa che in Occidente riusciamo ad immaginare. Si è scoperta invece, grazie all’intervento di coloro che in quel continente ci sono nati o vissuti, che esistono molte afriche, migliaia di culture, di lingue, e di storie. Una ricchezza culturale a molti sconosciuta.

Martin Nkafu Nkemnkia, docente di Cultura, religione e pensiero africani presso le Pontificie università Lateranense, Gregoriana ed Urbaniana, ha insistito su come si debba investire nelle persone, in ogni singolo africano, «facendo sì che vedano l’Africa come la loro casa, e non come qualcosa di diverso da cui scappare». Per questo, ha continuato Nkemnkia, «occorre una cultura nuova, che passi attraverso la formazione degli individui su cui è necessario investire».

Quella dell’Occidente è sempre più una visione paternalistica e caritatevole dell’Africa. Come ha spiegato padre Giulio Albanese, editorialista di Avvenire, per molti anni in Africa, come giornalista e missionario, perché «guardiamo l’Africa dall’alto verso il basso». Vedere l’Africa come un pozzo dove riversare gli aiuti e la beneficenza del mondo occidentale è sbagliato. Perché, ha sottolineato ancora padre Giulio Albanese, «se noi diamo un euro con un sms per i poveri dell’Africa, lei ce ne rende cento, attraverso il saccheggio delle sue materie prime a cui anche noi stiamo partecipando» al punto che possiamo dire che «l’Africa non è povera ma impoverita»

Nelle due giornate si è parlato della responsabilità dei mass media, di come si racconta l’Africa in Occidente. Per Massimo Ghirelli (media consultant- Dg cooperazione allo sviluppo MEA) «spesso l’informazione ci aiuta a trovare quello che noi vogliamo trovare» e «la colpa è spesso dei media, che anche in un contesto favorevole stereotipizzano l’immagine dell’Africa, perché ci rassicurano che c’è sempre qualcuno più a sud di noi, più povero di noi».

Una testimonianza sulla disinformazione, e scarso interesse nel parlare di questo continente è arrivata anche da Riccardo Barlaam, redattore online del Sole 24 Ore, che si occupa per passione con il suo blog di riportare tutte le notizie che parlano o giungono direttamente dall’Africa. «Quando lavoravo sulla carta stampata – ha spiegato Barlaam – gli spazi che mi erano concessi per parlare di Africa erano minimi, è per questo che ho scelto di occuparmi della parte online. Molti dei miei colleghi considerano la rete, un luogo marginale su cui scrivere, ma rappresenta per me una grande opportunità per scrivere molto su questo continente».

L’interdipendenza è stato il tema principale delle due giornate di incontri. Vista quasi come una profezia, è l’obiettivo a cui si vuole arrivare, il mezzo necessario per costruire una nuova Africa. Si deve pensare ad uno scambio di risorse alla pari, ma al tempo stesso diverso da quello che avviene oggi tra i paesi ricchi. È quanto è emerso su come porre la politica economica africana in un contesto di mercato mondiale. Estendere all’Africa la politica economica europea – ha osservato padre Albanese – è sbagliato. Impensabile creare un rapporto economico con l’Africa senza legittimare i pari diritti di scambio tra occidente e terzo mondo.

Di interdipendenza ha parlato anche Mario Primicerio, presidente della Fondazione La Pira, ricordando che l’ex sindaco di Firenze Giorgio La Pira vedeva l’Africa come «un estensione del Mediterraneo», e che nel suo slogan – «unire le città per unire le nazioni» – è possibile ritrovare l’essenza dell’interdipendenza. Partire quindi da noi stessi, dalla nostra città, assumendoci le nostre responsabilità, per avvicinarsi ad un continente che ha bisogno non solo di carità ma soprattutto di pace, perché seguendo il pensiero di La Pira «non si è persone di pace, non si è una città di pace se non si è in grado di produrre pace».

Come si vive con un dollaro al giorno

In Africa si vive con meno di un dollaro al giorno. Cosa si può comprare con un dollaro rimane però un mistero. Ce lo spiega Giulio Cederna, con il progetto «Different perspective» di Amref, attraverso una serie di filmati presentati durante le due giornate dell’interdipendenza e che approderanno in gennaio sulle reti Rai. I filmati vedono come protagonisti ragazzi africani. Giovani telecronisti, che spiegano la vita quotidiana nelle diverse zone del loro continente. Con un dollaro al giorno è possibile fare un solo pasto durante la giornata. Una colazione o scegliere di comprare una sola porzione di preparato di riso per il pranzo piuttosto che qualche verdura. Con un dollaro al giorno o si fa colazione, o si decide di comprare una penna e andare a scuola. Impensabile continuare gli studi magari nel paese vicino dove si abita. L’idea di pagare un affitto quando non ci si può permettere di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare rende l’istruzione un diritto impossibile da rivendicare. Spesso si pensa agli abitanti del terzo mondo come persone abituate alla loro condizione, rassegnate nella loro povertà. Incapaci di immaginare una vita migliore. Non è così. La coscienza della rivendicazione dei diritti primari che sono loro negati è fortissima (L.C.).