Arte & Mostre

Il restauro dell’«Assunzione» di Faeto in Pratomagno

L’accurata indagine diagnostica e il complesso intervento conservativo – finanziato da Provincia e Soprintendenza ai beni Apsae di Arezzo, Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Power One, Ferruccio Ferragamo e dalla parrocchia di San Giustino Valdarno – sono stati eseguiti dalle restauratrici del consorzio aretino R.i.c.e.r.c.a. (Isabella Droandi, Marzia Benini, Paola Baldetti), sotto la direzione scientifica di Paola Refice, direttrice del Museo nazionale d’arte medievale e moderna di Arezzo.

L’opera, concordemente attribuita a Neri di Bicci (1418-1492 o ’93) – titolare di una delle più prolifiche botteghe attive a Firenze nella seconda metà del Quattrocento – è databile al decennio 1475-1485 e riassume due motivi iconografici mariani: l’assunzione in anima e corpo della Vergine, assisa entro una luminosa mandorla, e la consegna al diffidente apostolo Tommaso della Sacra Cintola, quale testimonianza del celeste transito.

La composizione armonica, la competenza tecnica esibita nell’ampio ricorso alla foglia d’oro, la tavolozza smaltata e vivace, insieme alla ricerca di una certa profondità spaziale, rimandano inconfondibilmente ai modi seriali e rassicuranti di Neri, raffinato interprete di quella lunga transizione dalla cultura tardogotica alle istanze figurative del primo Rinascimento fiorentino.

Maestro di Francesco Botticini e Cosimo Rosselli, frequente collaboratore di Luca della Robbia e Giuliano da Maiano, che spesso gli affidavano  manufatti lignei o lapidei da decorare, apprezzato da una committenza ampia ed eterogenea, l’artista stabilisce un rapporto privilegiato con l’ordine monastico camaldolese, che lo introduce in quest’area – Valdambra e Valdarno superiore – nel 1471 assegnandogli l’esecuzione della fastosa Incoronazione della Vergine per l’abbazia di San Pietro a Ruoti (Bucine), seguita dopo il 1475 dalla tavola di soggetto analogo destinata al convento francescano di Montecarlo (San Giovanni Valdarno) e dall’Assunzione oggi a Faeto.

La presenza nella composizione di Fabiano, con le insegne papali, e Sebastiano, in elegante foggia cavalleresca, rende plausibile la provenienza del dipinto dalla chiesa della Traiana (Terranuova Bracciolini), eretta nell’ultimo trentennio del XV secolo e intitolata proprio ai due santi tradizionalmente invocati contro le epidemie di peste. Agli inizi del Settecento, in vista di una ristrutturazione dell’edificio sacro, l’opera, ritenuta stilisticamente superata, sarebbe stata inviata nella più marginale chiesa di Faeto, scelta forse per la perfetta corrispondenza tra l’intitolazione alla Vergine Assunta e il soggetto del dipinto.

A Faeto la tavola fu oggetto di una prima ridipintura nel 1786 e di una seconda, molto più estesa, nel 1899. In quell’occasione l’ignoto pittore sostituì la Sacra Cintola nella mano destra di Maria con un rosario – il cui culto si diffuse particolarmente in età post-tridentina intorno al massiccio del Pratomagno – e intervenne in prossimità delle congiunture centrali del supporto ligneo, talvolta sovrapponendosi alla pellicola pittorica originale, talvolta rimuovendola totalmente e sostituendola con un nuovo strato. Eliminate le pesanti ridipinture, dinanzi alle gravi lacune che investivano la metà destra del volto della Vergine e l’intera mano sinistra, si è scelto con responsabilità e coraggio di integrare le parti mancanti evitando di riconsegnare alla comunità dei fedeli un’icona fortemente mutilata quindi incompatibile con le ancor vive esigenze liturgiche e devozionali.

La ripetitività di modelli che caratterizza l’opera di Neri ha agevolato questa delicata operazione; per la ricostruzione del volto e della mano della Vergine le restauratrici si sono così ispirate a due dipinti dell’artista coevi o affini per iconografia a quello di Faeto, rispettivamente la pala con la Madonna in trono e santi oggi nella chiesa fiorentina di Santa Trinita, documentata al 1481, e l’Assunzione della Vergine custodita in San Leonardo ad Arcetri (1467). Le integrazioni effettuate si distinguono dunque per verosimiglianza e credibilità scientifica; per onestà, in quanto rese riconoscibili all’osservatore dalla colorazione sottotono; infine per rispetto dell’opera in quanto reversibili. L’intervento condotto, che ha riguardato anche il supporto in legno di pioppo fortemente provato da secolari infiltrazioni d’acqua e aggredito da insetti xilofagi, ha così ampiamente onorato lo spirito della Carta del restauro redatta nel 1972 da Cesare Brandi; il restauro inteso cioè come operazione critica, ragionata e al tempo stesso come impegno etico verso una responsabile, lungimirante conservazione.

Documenta l’evento un’elegante, snella pubblicazione (edizioni Edifir) arricchita da un vasto repertorio fotografico e interamente finanziata da Power One, azienda leader del fotovoltaico con sede a Terranuova, che – insieme agli altri contributori – potrà ben vantarsi di aver sostenuto un ulteriore progresso nel recupero di quel vasto patrimonio d’arte sacra diffuso presso i centri più piccoli e inattesi del nostro territorio.