Cultura & Società

Il prof con gli scheletri dei Medici nell’armadio

di Andrea BernardiniIl Granduca Cosimo I era alto un metro e 78 centimetri ed aveva un corpo molto vigoroso, muscolatura da far paura: insomma, un gigante del suo tempo. Da ragazzo si era sovraccaricato la colonna con pesanti armature, causa delle sue ernie di Schmorl. Presenta ancor oggi i segni di deformazioni ossee tipiche dei cavalieri. Persino tracce dell’intervento del chirurgo in fase di autopsia. Cosimo I è il primo grande personaggio della dinastia dei Medici su cui si è concentrata l’attenzione del professor Gino Fornaciari, 59 anni, di Viareggio, professore straordinario di storia della medicina a Pisa. 49 individui, di cui 20 mummie, 2 mummie scheletrizzate, 22 scheletri in connessione e 5 con ossa non in connessione: così si presenta il materiale reperibile nelle Cappelle Medicee di Firenze. Ci vorranno due anni per farne la ricognizione; un cofinanziamento del ministero dell’Università e della Ricercae denaro fresco proveniente dagli Stati Uniti hanno permesso, intanto, di avviare le ricerche. Obiettivo dichiarato: «ottenere buoni reperti paleopatologici da studiare e informazioni sicure sullo stile di vita e sulle cause di morte di tutti gli esponenti della casata sepolti nelle Cappelle Medicee di Firenze».Il progetto prevede il coinvolgimento di numerosi partners: la Soprintendenza al Polo museale fiorentino si occuperà della parte storico-artistica. L’Università di Firenze darà il proprio contributo su storia della medicina e studi radiologici. Il professor Bob Brier dell’Università di Long Island a New York contribuirà alle indagini archeologiche e allo studio delle mummie, il professor Arthur Afderheide dell’Università di Duluth nel Minnesota si occuperà infine della paleonutrizione e della ricerca di agenti patogeni antichi. Al professor Gino Fornaciari il compito di dirigere i lavori. Una troupe televisiva statunitense seguirà il lavoro certosino dei ricercatori e ne realizzerà un film scientifico.

«Abbiamo riesumato i primi quattro individui – ci dice Gino Fornaciari –: con Cosimo I, c’erano anche i figli Giovanni e Garcia e la moglie Eleonora di Toledo. Giovanni fu cardinale ed arcivescovo di Pisa dal 1560 al 1562: l’età antropologica della morte da noi riscontrata sarebbe intorno ai 19 anni. Alto 175 centimetri, aveva una muscolatura assai sviluppata. Qualche problema dentario ed ernie di Schmorl anche per lui. Don Garcia, che sarebbe morto tra i 15 ed i 16 anni, era alto 166 centimetri. Infine, Eleonora di Toledo, 158 centimetri di altezza, età antropologica intorno ai 40 anni, presenta i segni della pratica dell’equitazione e il riscontro di artrosi».

Ma a cosa servirà l’indagine paleopatologica?L’indagine riveste un duplice interesse: antropologico e medico. Antropologico perché, spiega Fornaciari, «dall’aspetto e dall’incidenza delle diverse patologie è possibile risalire, in via indiretta, alle abitudini e allo stile di vita delle popolazioni del passato. La situazione patologica di una società riflette, in altri termini, le sue condizioni generali ed il suo sviluppo». Medico «perché la ricerca dell’epoca d’insorgenza di alcune malattie attuali e la ricostruzione, almeno ipotetica, delle prime vie di diffusione delle malattie infettive non possono che suscitare un altissimo interesse nel campo della medicina».

Del resto il laboratorio di paleopatologia dell’Università di Pisa è particolarmente attrezzato per lo studio di questo tipo di materiale. Entrando nel merito della ricerca sui Medici, gli strumenti particolarmente utilizzati per questa saranno, come spiega il paleopatologo, «l’osservazione diretta delle lesioni, gli esami radiologico e della Tac, al microscopio ottico e a quello elettronico, esami immunologici e la ricostruzione del Dna antico».

Quella diretta dal professor Gino Fornaciari è la terza ricognizione dei corpi conservati nelle cappelle dei Medici. Nel 1791, poiché all’interno delle sacrestie delle Cappelle medicee non c’era più spazio, le casse contenenti le deposizioni funebri dei Medici furono rimosse, mentre furono lasciate al loro posto quelle conservate nei sepolcri di marmo. Negli anni successivi molte di quelle casse furono violate e depredate: così il granduca Leopoldo II decise di provvedere a dare loro una tumulazione adeguata, procedendo alla identificazione delle salme e alla loro sepoltura definitiva.

La prima esumazione e ricognizione delle ceneri dei Medici ebbe quindi luogo nel 1857, ma i risultati videro la luce solo dopo 30 anni, in un articolo apparso nell’Archivio storico italiano, in cui si proponeva la pubblicazione del processo verbale della ricognizione, ricostruita sulla base degli scarni documenti disponibili, prevalentemente manoscritti.

Nel secondo dopoguerra, la seconda ricognizione: le deposizioni, infatti, furono nuovamente sistemate, dopo esser state sottoposte a lavori di tutela architettonica. Ma i risultati della nuova indagine non vennero mai pubblicati integralmente.Il giallo di GiangastoneGiallo di un giorno per Giangastone dei Medici. Dov’era finito il corpo del granduca (1671-1737), figlio di Cosimo III ed ultimo erede maschio in linea diretta del casato mediceo che con lui si estinse? I paleopatologi dello staff che in questi mesi stanno studiando i cadaveri della dinastia fiorentina, infatti, hanno dovuto interrompere le ricerche dopo che, alzando le lastre del pavimento dietro l’altare della cripta delle Cappelle Medicee, nel punto dove appare l’epitaffio di Giangastone, si erano imbattuti in un muro di pietra ma non nella bara dell’ultimo dei Medici, come invece si sarebbero aspettati. E così è cominciata una sorta di caccia al tesoro finché la salma di Giangastone è stata scoperta in una piccola cripta delle Cappelle. La bara del granduca è stata trovata insieme a quelle di sette minori morti prematuramente, e di un anonimo, appartenenti alla casata medicea, ma di cui non si conoscono le identità. Notevole interesse sta suscitando la scoperta del vano sotterraneo dove, almeno dal 1857, sono custodite queste salme: è la prima volta che questa stanza viene esplorata. Per accedervi i paleopatologi hanno dovuto aprire un tombino posto sul pavimento dietro l’altare maggiore dal quale si accede ad una scaletta che scende nel sottosuolo, fino a una profondità di due metri e mezzo.

Le immagini della mostra I volti del potere