Pisa

IL PRIMATO DELLA CATTEDRALE

di Caterina Guidi

Chi oggi mette mano alla costruzione di una chiesa parte da un progetto preciso e definito, è ovvio. Probabilmente userà tanto cemento o tanti mattoni tutti uguali, «in serie», perchè l’insieme risulti omogeneo e armonioso. Anche gli accostamenti di materiali diversi dovranno essere attentamenti studiati, per rispettare le simmetrie, creare un edificio di buon gusto e funzionale. Guardando la Cattedrale di Pisa – vecchia di quasi mille anni – si ha l’impressione di trovarsi davanti a una costruzione ordinata e precisa; non occorre però un occhio molto allenato per accorgersi che le cose non stanno proprio così: anche solo sulla facciata non c’è una pietra uguale all’altra; i colonnini sono tutti diversi per forme e colori; i mosaici di marmo non sono neanche lontanamente simmetrici. Sui lati, poi, la situazione «peggiora»: pietra locale, marmi e epigrafi medievali si mescolano senza «pudore» con resti di edifici romani, inseriti qua e là con una disinvoltura che sembra incomprensibile: una vera miniera per gli studiosi di arte e storia, la Cattedrale pisana. Le ragioni ci sono e gli studiosi le sanno: nella scelta dei costruttori ha influito, in parte, la necessità di riutilizzare il più possibile materiali già esistenti.Ma anche la storia travagliata di un monumento costruito in un lungo lasso di tempo e interessato da diversi restauri. Di più: la ricchezza degli stili, la varietà dei marmi, dei fregi, della decorazioni, erano un vanto, la testimonianza viva di una città «di mondo», ricca e aperta ad ogni conoscenza e contatto nuovo. Nella piazza dei Miracoli non c’è un monumento «freddo», residuo di un’epoca che non c’è più: c’è il segno di una Chiesa universale che, pur fatta di tanti mattoni diversi, trova la sua armonia in Cristo «pietra angolare». Con questa intenzione ha pregato la Chiesa pisana, quando lo scorso sabato ha ricordato con una solenne concelebrazione la dedicazione della Cattedrale. Chi quella sera si è recato nelle varie chiese cittadine per la Messa, ha trovato i battenti chiusi: l’arcivescovo ha voluto riunire tutti, parroci e fedeli, nel «cuore» della diocesi, per ricordare quel 26 settembre del 1118, quando papa Gelasio II consacrò il nostro Duomo, e ancor più per sottolineare che c’è una Chiesa unica, universale, chiamata a radicarsi in Cristo, che è uno solo. «Ogni edificio in onore di Dio – ha sottolineato nell’omelia l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto – è segno della sua presenza effettiva fra le case degli uomini. Dio entra nella nostra storia attraverso segni». È un segno l’Eucaristia; sono un segno tutti gli altri sacramenti della fede; è un segno la persona, dietro la quale traspare il volto di Dio. È un segno la chiesa-edificio, come lo è l’assemblea dei credenti in Cristo. «E come una chiesa ha il suo centro nell’altare – ha spiegato monsignor Benotto – la Chiesa ha il centro nella persona di Gesù: radicati in lui viviamo in pienezza l’unità, non per annullare le nostre differenze, ma per vivere la comunione vera». E poi la vocazione universale: non avrebbe senso – ieri come oggi – una Chiesa «ripiegata su se stessa, muta, infeconda, incapace di generare figli nuovi. Solo sotto l’azione dello Spirito possiamo essere tutti pietre “vive”». L’arcivescovo ha concluso ricordando Santa Teresa di Gesù Bambino: «voleva capire il suo ruolo nella Chiesa. Era affascinata da tutto, dall’apostolato, dalla missione… poi capì che la Chiesa aveva un cuore animato dall’Amore, che racchiude ogni vocazione; così decise: “nel cuore della Chiesa sarò l’Amore”».

Quella cintola che «non veste bene»

In tanti l’hanno vista, esposta nella sala 11 del Museo dell’Opera del Duomo: è la cosiddetta cintola della Cattedrale, quella che secondo la tradizione veniva stesa attorno al perimetro della chiesa nelle solennità. Qualcuno avrà anche provato a immaginarsela: una striscia in damasco rosso che – nei tempi d’oro della Repubblica pisana – risaltava sul marmo bianco della Cattedrale dell’Assunta. In realtà, mai immagine fu meno corrispondente alla verità storica. «L’originale cintola della Cattedrale – spiega a Toscana Oggi Mario Noferi, autore di «La cintola del Duomo di Pisa» (Pierucci Editore, 2008) – era tutta un’altra cosa». Una storia che ricorda per certi versi la lampada cosiddetta di Galileo, ma con risvolti ancor più misteriosi. La cintola autentica, quella medievale, «era costituita da placchette in argento dorato, liscie, che dovevano riflettere la luce solare – specialmente al tramonto nel mese di agosto, quando la cintura restava distesa per un mese in onore dell’Assunta – creando un effetto scenografico che doveva essere davvero suggestivo». E poi? Gli arredi sacri più preziosi – ieri come oggi – correvano il rischio di essere rubati. Fu tale Gano, sicario del capitano Giovanni Gambacorti, nel 1406, a sottrarre la cintola con la forza, malmenando il sacrestano e rivendendo poi il bottino per una somma da capogiro. I canonici del capitolo cercarono di correre al riparo per quanto possibile, organizzando subito le ricerche e avviando il progetto per una nuova cintola. Ma la cosa non dovette andare a buon fine. Problemi tecnici, politici, non ultimo il Concilio di Trento con l’eliminazione degli arredi ritenuti un po’ troppo vistosi: questi i fattori che segnarono la battuta d’arresto nella realizzazione di una nuova cintola. Ma la devozione popolare non si poteva fermarla, specialmente dopo le epidemie che avevano colpito la città fra il Cinque e il Seicento: «il popolo correva da santi e reliquie, per scongiurare le pestilenze e le carestie. Fu proprio allora che si fabbricò un nuovo arredo – da porre attorno alla porta di San Ranieri – costituito da due pezzi residui del vecchio supporto di stoffa, impreziosito da formelle. Ma formelle che nulla avevano a che fare col primo esemplare, e che provenivano forse da altre cinture». Dei due pezzi ne restò uno solo, illustrato nell’Appendix del «Theatrum basilicae pisanae» di Giuseppe Martini, del 1704. Si tratta finalmente della striscia che ammiriamo oggi al Museo? No: «Quella che vediamo ora è un riadattamento estetico allestito per una mostra internazionale di arte sacra del 1906». Una vicenda complessa, sulla quale Noferi tornerà nel suo nuovo lavoro, «Di alcune disiecta membra di oreficeria sacra pisana del Tesoro della Cattedrale del secolo XIII». La storia è ancora tutta da scrivere.