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«Il presbitero, pastore e guida…». Istruzione (18-10-2002)
ISTRUZIONE
PREMESSA
2. La presenza di Cristo, che in tal modo si attua in maniera ordinaria e quotidiana, fa della parrocchia un’autentica comunità di fedeli. Per la parrocchia avere un sacerdote quale proprio pastore è pertanto di fondamentale importanza. E quello di pastore è un titolo specificamente riservato al sacerdote. Il sacro Ordine del presbiterato rappresenta in effetti per lui la condizione indispensabile ed imprescindibile per essere nominato parroco validamente (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 521, § 1). Altri fedeli possono certo collaborare con lui attivamente, perfino a tempo pieno, ma poiché non hanno ricevuto il sacerdozio ministeriale, non possono sostituirlo come pastore.
A determinare questa peculiare fisionomia ecclesiale del sacerdote è la relazione fondamentale che egli ha con Cristo Capo e Pastore, quale sua ripresentazione sacramentale. Notavo nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, che “il riferimento alla Chiesa è inscritto nell’unico e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel senso che è la “rappresentanza sacramentale” di Cristo a fondare e ad animare il riferimento del sacerdote alla Chiesa” (n. 16). La dimensione ecclesiale appartiene alla sostanza del sacerdozio ordinato. Esso è totalmente al servizio della Chiesa, tanto che la comunità ecclesiale ha assoluto bisogno del sacerdozio ministeriale per avere Cristo Capo e Pastore presente in essa. Se il sacerdozio comune è conseguenza del fatto che il Popolo cristiano è scelto da Dio come ponte con l’umanità e riguarda ogni credente in quanto inserito in questo popolo, il sacerdozio ministeriale invece è frutto di una elezione, di una vocazione specifica: “Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici” (Lc 6, 13-16). Grazie al sacerdozio ministeriale i fedeli sono resi consapevoli del loro sacerdozio comune e lo attualizzano (cfr. Ef 4, 11-12); il sacerdote infatti ricorda loro che sono Popolo di Dio e li abilita all'”offerta di quei sacrifici spirituali” (cfr 1 Pt 2, 5), mediante i quali Cristo stesso fa di noi un eterno dono al Padre (cfr 1 Pt 3, 18). Senza la presenza di Cristo rappresentato dal presbitero, guida sacramentale della comunità, questa non sarebbe in pienezza una comunità ecclesiale.
3. Dicevo prima che Cristo è presente nella Chiesa in maniera eminente nell’Eucarestia, fonte e culmine della vita ecclesiale. E’ presente realmente nella celebrazione del santo Sacrificio, come pure quando il pane consacrato viene custodito nel tabernacolo “come il cuore spirituale della comunità religiosa e parrocchiale” (Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium fidei, AAS 57 [1965], 772).
Per questa ragione, il Concilio Vaticano II raccomanda che “i parroci abbiano cura che la celebrazione del Sacrificio Eucaristico sia il centro e il culmine di tutta la vita della comunità cristiana” (Decr. Christus Dominus, n. 30). Senza il culto eucaristico, come proprio cuore pulsante, la parrocchia inaridisce. Giova a tal proposito ricordare quanto scrivevo nella Lettera apostolica Dies Domini: “Tra le numerose attività che una parrocchia svolge, nessuna è tanto vitale o formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucarestia” (n. 35). Nulla sarà mai in grado di supplirla. La stessa liturgia della sola Parola, quando sia effettivamente impossibile assicurare la presenza domenicale del sacerdote, è lodevole per mantenere viva la fede, ma deve sempre conservare, come meta verso cui tendere, la regolare celebrazione eucaristica. Dove manca il sacerdote si deve, con fede ed insistenza, supplicare Iddio perché susciti numerosi e santi operai per la sua vigna. Nella citata Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ribadivo che “oggi l’attesa orante di nuove vocazioni deve diventare sempre più un’abitudine costante e largamente condivisa nell’intera comunità cristiana e in ogni realtà ecclesiale” (n. 38). Lo splendore dell’identità sacerdotale, l’esercizio integrale del conseguente ministero pastorale unitamente all’impegno dell’intera comunità nella preghiera e nella penitenza personale, costituiscono gli elementi imprenscindibili per un’urgente e indilazionabile pastorale vocazionale. Sarebbe errore fatale rassegnarsi alle attuali difficoltà, e comportarsi di fatto come se ci si dovesse preparare ad un Chiesa del domani, immaginata quasi priva di presbiteri. In questo modo, le misure adottate per rimediare a carenze attuali risulterebbero per la Comunità ecclesiale, nonostante ogni buona volontà, di fatto seriamente pregiudizievoli.
5. Anche la funzione di guidare come pastore la comunità, funzione propria del parroco, deriva dal suo peculiare rapporto con Cristo Capo e Pastore. E’ funzione che riveste carattere sacramentale. Non è affidata al sacerdote dalla comunità, ma, per il tramite del Vescovo, proviene a lui dal Signore. Riaffermare ciò con chiarezza ed esercitare tale funzione con umile autorevolezza costituisce un’indispensabile servizio alla verità e alla comunione ecclesiale. La collaborazione di altri, che non hanno ricevuto questa configurazione sacramentale a Cristo, è auspicabile e spesso necessaria. Questi, tuttavia, non possono surrogare in alcun modo il compito di pastore proprio del parroco. I casi estremi di penuria di sacerdoti, che consigliano una collaborazione più intensa ed estesa di fedeli non insigniti del sacerdozio ministeriale, nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, non costituiscono affatto eccezione a questo criterio essenziale per la cura delle anime, come in modo inequivocabile risulta stabilito dalla normativa canonica (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 517, § 2). In questo campo, oggi molto attuale, l’Esortazione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, che ho approvato in modo specifico, costituisce la sicura traccia da seguire. Nell’adempimento del proprio dovere di guida, con responsabilità personale, il parroco trarrà sicuro giovamento dagli organismi di consultazione previsti dal Diritto (cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 536-537); ma questi ultimi dovranno mantenersi fedeli alla propria finalità consultiva. Sarà pertanto necessario guardarsi da qualsiasi forma che, di fatto, tenda ad esautorare la guida del presbitero parroco, perché verrebbe ad essere snaturata la fisionomia stessa della comunità parrocchiale.
6. Rivolgo ora il mio pensiero pieno di affetto e di riconoscenza ai parroci sparsi nel mondo, specialmente a coloro che operano negli avamposti dell’evangelizzazione. Li incoraggio a proseguire nel loro compito faticoso, ma veramente prezioso per l’intera Chiesa. Raccomando a ciascuno di ricorrere, nell’esercizio del quotidiano “munus” pastorale, all’aiuto materno della Beata Vergine Maria, cercando di vivere in profonda comunione con Lei. Nel sacerdozio ministeriale, come scrivevo nella Lettera ai sacerdoti, in occasione del Giovedì Santo del 1979, “c’è la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza alla Madre di Cristo” (n. 11). Quando celebriamo la santa Messa, cari Fratelli sacerdoti, accanto a noi sta la Madre del Redentore, che ci introduce nel mistero dell’offerta redentrice del suo divin Figlio. “Ad Jesum per Mariam”: sia questo il nostro quotidiano programma di vita spirituale e pastorale! Con tali sentimenti, mentre assicuro la mia preghiera, imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti i sacerdoti del mondo.
(Giovanni Paolo II, Udienza ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 23 novembre 2001)
PARTE I
Sacerdozio comune e Sacerdozio ordinato
1. Levate i vostri occhi (Gv 4,35)
1. “Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35). Queste parole del Signore hanno la virtù di mostrare l’immenso orizzonte della missione d’amore del Verbo incarnato. “Il Figlio eterno di Dio è stato inviato perché “il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17) e tutta la sua esistenza terrena, di piena identificazione con la volontà salvifica del Padre, è una costante manifestazione di quella volontà divina che tutti si salvino, tutti siano raggiunti dalla salvezza voluta eternamente dal Padre. Questo progetto storico lo lascia in consegna ed eredità a tutta la Chiesa e, in maniera particolare, all’interno di essa, ai ministri ordinati. Davvero grande è il mistero di cui siamo stati fatti ministri. Mistero di un amore senza limiti, giacché “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1)” .
Abilitati, dunque, dal carattere e dalla grazia del sacramento dell’Ordine e diventati testimoni e ministri della misericordia divina, i sacerdoti ministri di Gesù Cristo si sono volontariamente impegnati a servire tutti nella Chiesa. In qualsiasi contesto sociale e culturale, in tutte le circostanze storiche, anche nelle odierne in cui si avverte il clima pesante del secolarismo e del consumismo che appiattisce il senso cristiano nelle coscienze di molti fedeli, i ministri del Signore sono consapevoli che “questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4). Le odierne circostanze sociali costituiscono, infatti, una occasione opportuna per richiamare l’attenzione sulla forza vincente della fede e dell’amore in Cristo e per ricordare che, nonostante le difficoltà e le “freddezze”, i fedeli cristiani – nonché, in un altro modo, anche tanti non credenti – contano molto sull’attiva disponibilità pastorale dei sacerdoti. Gli uomini desiderano trovare nel sacerdote l’uomo di Dio, che con Sant’Agostino dica: “La nostra scienza è Cristo e la nostra sapienza è ancora Cristo. E’ lui che infonde in noi la fede riguardo alle realtà temporali ed è lui che ci rivela quelle verità che riguardano le realtà eterne” . Siamo in un tempo di nuova evangelizzazione: dobbiamo saper andare a cercare le persone che attendono anch’esse di poter incontrare Cristo.
2. Nel sacramento dell’Ordine Cristo ha trasmesso, in diversi gradi, la propria qualità di Pastore delle anime ai Vescovi e ai presbiteri, rendendoli capaci di agire nel suo nome e di rappresentare la sua potestà capitale nella Chiesa. “L’unità profonda di questo nuovo popolo non esclude la presenza, al suo interno, di compiti diversi e complementari. Così, a quei primi apostoli sono legati, a titolo speciale, coloro che sono stati posti a rinnovare in persona Christi il gesto che Gesù compì nell’Ultima Cena, istituendo il sacrificio eucaristico, ‘fonte e apice di tutta la vita cristiana’ (Lumen gentium, 11). Il carattere sacramentale che li distingue, in virtù dell’Ordine ricevuto, fa sì che la loro presenza e il loro ministero siano unici, necessari e insostituibili” . La presenza del ministro ordinato è condizione essenziale della vita della Chiesa e non solo di una sua buona organizzazione.
3. Duc in altum! Ogni cristiano che sente nel cuore la luce della fede e vuole camminare al ritmo impresso dal Sommo Pontefice, deve cercare di tradurre in fatti questo urgente invito decisamente missionario. Dovrebbero saperlo captare e porlo in pratica con premurosa prontezza specialmente i pastori della Chiesa, dalla cui sensibilità soprannaturale dipende la possibilità di capire le vie lungo le quali Iddio vuole guidare il suo popolo. “Duc in altum! Il Signore ci invita a riprendere il largo, fidandoci della sua parola. Facciamo tesoro dell’esperienza giubilare e proseguiamo nell’impegno di testimonianza del Vangelo con l’entusiasmo che suscita in noi la contemplazione del volto di Cristo!” .
4. Appare importante ricordare come le prospettive di fondo stabilite dal Santo Padre al termine del Grande Giubileo dell’anno 2000, sono state da lui intese e presentate per essere realizzate dalle Chiese particolari, chiamate dal Papa a tradurre in “fervore di propositi e concrete linee operative” la grazia ricevuta durante l’anno giubilare. Questa grazia chiama in causa la missione evangelizzatrice della Chiesa, per la quale urge la santità personale di pastori e fedeli ed un fervido senso apostolico da parte di tutti, nello specifico delle proprie vocazioni, al servizio delle proprie responsabilità e dei propri doveri, nella consapevolezza che la salvezza eterna di molti uomini dipende dalla fedeltà nel manifestare Cristo con la parola e con la vita. Emerge l’urgenza di dare maggior slancio al ministero sacerdotale nella Chiesa particolare e in specie nella parrocchia, sulla base dell’autentica comprensione del ministero e della vita del presbitero.
Noi sacerdoti “siamo stati consacrati nella Chiesa per questo specifico ministero. Siamo chiamati, in vari modi, a contribuire, laddove la Provvidenza ci colloca, alla formazione della comunità del popolo di Dio. Il nostro compito ( ) è pascere il gregge di Dio che ci è affidato, non per forza ma di buon animo, non atteggiandoci a padroni, ma offrendo una testimonianza esemplare (cfr 1 Pt 5,2-3) ( ). È questa per noi la via della santità ( ). È questa la nostra missione di servizio al popolo cristiano” .
2. Elementi centrali del ministero e della vita dei presbiteri
a) L’identità del presbitero
5. L’identità del sacerdote deve essere meditata nell’ambito della divina volontà di salvezza, perché frutto dell’azione sacramentale dello Spirito Santo, partecipazione dell’azione salvifica di Cristo e perché orientata pienamente al servizio di tale azione nella Chiesa, nel suo continuo sviluppo lungo la storia. Si tratta di una identità tridimensionale, pneumatologica, cristologica ed ecclesiologica. Non bisogna perdere di vista questa architettura teologica primordiale del mistero del sacerdote, chiamato ad essere ministro della salvezza, per poter chiarire poi, in modo adeguato, il significato del suo ministero pastorale concreto in parrocchia . Egli è il servo di Cristo per essere, a partire da lui, per lui e con lui, servo degli uomini. Il suo essere ontologicamente assimilato a Cristo costituisce il fondamento dell’essere ordinato per il servizio della comunità. La totale appartenenza a Cristo, così convenientemente potenziata ed evidenziata dal sacro celibato, fa sì che il sacerdote sia al servizio di tutti. Il dono mirabile del celibato , infatti, riceve luce e motivazione dall’assimilazione alla donazione nuziale del Figlio di Dio crocifisso e risorto all’umanità redenta e rinnovata.
L’essere e l’agire del sacerdote – la sua persona consacrata e il suo ministero – sono realtà teologicamente inseparabili ed hanno come finalità il servizio allo sviluppo della missione della Chiesa : la salvezza eterna di tutti gli uomini. Nel mistero della Chiesa – rivelata come Corpo Mistico di Cristo e Popolo di Dio che cammina nella storia, stabilita come sacramento universale di salvezza -, si trova e si scopre la ragione profonda del sacerdozio ministeriale. “Tanto che la comunità ecclesiale ha assoluto bisogno del sacerdozio ministeriale per avere Cristo Capo e Pastore presente in essa” .
6. Il sacerdozio comune o battesimale dei cristiani, come reale partecipazione al sacerdozio di Cristo, costituisce una proprietà essenziale del Nuovo Popolo di Dio . “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato ” (1 P 2, 9); “Ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1, 6); “Li ha costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti (Ap 5, 10) saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui” (Ap 20, 6). Questi passi richiamano ciò che è detto nell’Esodo, trasferendo al Nuovo Israele quanto lì era affermato dell’antico Israele: “Tra tutti i popoli voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 5-6); e più ancora richiamano quanto è detto nel Deuteronomio: “Tu sei un Popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo Popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra” (Dt 7, 6).
“Se il sacerdozio comune è conseguenza del fatto che il popolo cristiano è scelto da Dio come ponte con l’umanità e riguarda ogni credente in quanto inserito in questo popolo, il sacerdozio ministeriale invece è frutto di una elezione, di una vocazione specifica: ‘Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici’ (Lc 6, 13-16). Grazie al sacerdozio ministeriale i fedeli sono resi consapevoli del loro sacerdozio comune e lo attualizzano (cfr. Ef 4, 11-12); il sacerdote infatti ricorda loro che sono popolo di Dio e li abilita all’ ‘offerta di quei sacrifici spirituali’ (cfr. 1Pt 2, 5), mediante i quali Cristo stesso fa di noi un eterno dono al Padre (cfr. 1Pt 3, 18). Senza la presenza di Cristo rappresentato dal presbitero, guida sacramentale della comunità, questa non sarebbe in pienezza una comunità ecclesiale” .
Nel seno di questo popolo sacerdotale il Signore ha istituito dunque un sacerdozio ministeriale, a cui sono chiamati alcuni fedeli perché servano tutti gli altri con carità pastorale e per mezzo della sacra potestà. Il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, si differenziano per essenza e non solo per grado : non si tratta soltanto di una maggiore o minore intensità di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo ma di partecipazioni essenzialmente diverse. Il sacerdozio comune si fonda sul carattere battesimale, che è il sigillo spirituale dell’appartenenza a Cristo che “abilita ed impegna i cristiani a servire Dio mediante una viva partecipazione alla sacra Liturgia della Chiesa e ad esercitare il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita santa e con una operosa carità” .
Il sacerdozio ministeriale, invece, si fonda sul carattere impresso dal sacramento dell’Ordine, che configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in persona di Cristo Capo con la sacra potestà, per offrire il Sacrificio e per rimettere i peccati . Ai battezzati, che hanno ricevuto in seguito il dono del sacerdozio ministeriale, è stata conferita sacramentalmente una nuova e specifica missione: quella di impersonare nel seno del popolo di Dio il triplice ufficio – profetico, cultuale e regale – dello stesso Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa . Pertanto, nell’esercizio delle loro specifiche funzioni agiscono in persona Christi Capitis e, allo stesso modo, di conseguenza, in nomine Ecclesiae .
7. “Il nostro sacerdozio sacramentale, quindi, è sacerdozio ‘gerarchico’ ed insieme ‘ministeriale’. Costituisce un particolare ‘ministerium’, cioè è ‘servizio’ nei riguardi della comunità dei credenti. Non trae, però, origine da questa comunità, come se fosse essa a ‘chiamare’ o a ‘delegare’. Esso è, invero, dono per questa comunità e proviene da Cristo stesso, dalla pienezza del suo sacerdozio ( ) Consapevoli di questa realtà, comprendiamo in che modo il nostro sacerdozio sia ‘gerarchico’, cioè connesso con la potestà di formare e reggere il popolo sacerdotale (cf. Lumen Gentium, n. 10), e proprio per questo ‘ministeriale’. Compiamo questo ufficio, mediante il quale Cristo stesso ‘serve’ incessantemente il Padre nell’opera della nostra salvezza. Tutta la nostra esistenza sacerdotale è e deve essere profondamente pervasa da questo servizio, se vogliamo compiere adeguatamente il sacrificio eucaristico ‘in persona Christi'” .
Negli ultimi decenni la Chiesa ha fatto esperienza di problemi di “identità sacerdotale”, derivati, talvolta, da una visione teologica meno chiara tra i due modi di partecipazione al sacerdozio di Cristo. In alcuni ambienti si è venuto a rompere quel profondo equilibrio ecclesiologico, così proprio del Magistero autentico e perenne.
Oggi si danno tutte le condizioni per superare tanto il pericolo della “clericalizzazione” dei laici quanto quello della “secolarizzazione” dei ministri sacri.
Il generoso impegno dei laici negli ambiti del culto, della trasmissione della fede e della pastorale, in un momento anche di scarsità di presbiteri, ha indotto talvolta alcuni ministri sacri e laici nella tentazione di andare più al di là di quello che consente la Chiesa ed anche di quello che supera la loro capacità ontologica sacramentale. Ne è conseguita anche una sottovalutazione teorica e pratica della specifica missione dei laici di santificare dall’interno le strutture della società.
D’altra parte, in questa crisi d’identità, si ingenera pure la “secolarizzazione” di alcuni ministri sacri, per un offuscamento del loro specifico ruolo, assolutamente insostituibile, nella comunione ecclesiale.
8. Il sacerdote, alter Christus, è nella Chiesa il ministro delle azioni salvifiche essenziali . Per il suo potere sacrificale sul Corpo e sul Sangue del Redentore, per la sua potestà di annunciare autorevolmente il Vangelo, di vincere il male del peccato mediante il perdono sacramentale, egli – in persona Christi Capitis – è fonte di vita e vitalità nella Chiesa e nella sua parrocchia. Il sacerdote non è la sorgente di questa vita spirituale, ma colui che la distribuisce a tutto il popolo di Dio. E’ il servo che, nell’unzione dello Spirito, accede al santuario sacramentale: Cristo Crocifisso (Cfr. Gv 19, 31-37) e Risorto (Cfr. Gv 20, 20-23), dal quale sgorga la salvezza.
Il sacerdote rende presente Cristo Capo della Chiesa mediante il ministero della Parola, partecipazione alla sua funzione profetica . In persona et in nomine Christi, il sacerdote è ministro della parola evangelizzatrice, che invita tutti alla conversione e alla santità; è ministro della parola cultuale, che magnifica la grandezza di Dio e rende grazie per la sua misericordia; è ministro della parola sacramentale, che è efficace fonte di grazia. In queste molteplici modalità il sacerdote, con la forza del Paraclito, prolunga l’insegnamento del divino Maestro in seno alla sua Chiesa.
b) L’unità di vita
10. La configurazione sacramentale a Gesù Cristo impone al sacerdote un nuovo motivo per raggiungere la santità , a causa del ministero che gli è stato affidato, che è santo in se stesso. Non significa che la santità, a cui sono chiamati i sacerdoti, sia soggettivamente maggiore della santità a cui sono chiamati tutti i fedeli cristiani a motivo del battesimo. La santità è sempre la stessa , seppur con diverse espressioni , ma il sacerdote deve tendere ad essa per un nuovo motivo: per corrispondere a quella nuova grazia che lo ha configurato per rappresentare la persona di Cristo, Capo e Pastore, come strumento vivo nell’opera della salvezza . Nel compimento del suo ministero, quindi, colui che è “sacerdos in aeternum”, deve sforzarsi di seguire in tutto l’esempio del Signore, unendosi a Lui “nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge” . Su tale fondamento di amore alla volontà divina e di carità pastorale si costruisce l’unità di vita , vale a dire, l’unità interiore tra vita spirituale e attività ministeriale. La crescita di questa unità di vita si fonda sulla carità pastorale nutrita da una solida vita di preghiera, sicché il presbitero sia inseparabilmente testimone di carità e maestro di vita interiore.
11. L’intera storia della Chiesa è illuminata da splendidi modelli di donazione pastorale veramente radicale; si tratta di una numerosa schiera di santi sacerdoti, come il Curato d’Ars, patrono dei parroci, che sono giunti ad una riconosciuta santità attraverso la generosa ed instancabile dedizione alla cura delle anime, accompagnata da una profonda ascesi e vita interiore. Questi pastori, divorati dall’amore di Cristo e dalla conseguente carità pastorale, costituiscono un Vangelo vissuto.
Qualche corrente della cultura contemporanea fraintende la virtù interiore, la mortificazione e la spiritualità come forme di intimismo, di alienazione e, quindi, di egoismo incapace di comprendere i problemi del mondo e della gente. Si è pure verificata, in taluni luoghi, una tipologia multiforme di presbiteri: dal sociologo al terapeuta, dall’operaio al politico, al manager fino al prete “pensionato”. Al proposito si deve ricordare che il presbitero è portatore di una consacrazione ontologica che si estende a tempo pieno. La sua identità di fondo va ricercata nel carattere conferitogli dal sacramento dell’Ordine, sul quale si sviluppa feconda la grazia pastorale. Perciò il presbitero dovrebbe saper fare tutto ciò che fa, sempre in quanto sacerdote. Egli, come diceva S. Giovanni Bosco, è sacerdote all’altare e al confessionale come a scuola, per strada e dovunque. Talvolta gli stessi sacerdoti, da alcune situazioni attuali, sono indotti quasi a pensare che il loro ministero si trovi alla periferia della vita, mentre, in realtà, esso si trova nel cuore stesso di essa, poiché ha la capacità di illuminare, riconciliare e di fare nuove tutte le cose.
Può capitare che alcuni sacerdoti, dopo essersi avviati nel proprio ministero con un entusiasmo carico di ideali, possano provare disaffezione, disillusione, fino ad arrivare al fallimento. Molteplici sono le cause: dalla deficiente formazione alla mancanza di fraternità nel presbiterio diocesano, dall’isolamento personale al mancato interesse e sostegno da parte del Vescovo stesso e della comunità, dai problemi personali, anche di salute, fino alla amarezza di non trovare risposta e soluzioni, dalla diffidenza per l’ascesi e l’abbandono della vita interiore alla mancanza di fede.
Infatti il dinamismo ministeriale senza una solida spiritualità sacerdotale si tradurrebbe in un attivismo vuoto e privo di qualsiasi profetismo. Risulta chiaro che la rottura dell’unità interiore nel sacerdote è conseguenza, innanzi tutto, del raffreddamento della sua carità pastorale, ossia, del raffreddamento del “vigile amore del mistero che porta in sé per il bene della Chiesa e dell’umanità” .
Trattenersi in colloquio adorante e intimo davanti al buon Pastore presente nel Santissimo Sacramento dell’altare, costituisce una priorità pastorale di gran lunga superiore a qualsiasi altra. Il sacerdote, guida di una comunità, deve attuare tale priorità per non inaridirsi interiormente e non trasformarsi in un canale secco, che non potrebbe più dare nulla a nessuno.
L’opera pastorale di maggior rilievo risulta decisamente essere la spiritualità. Qualsiasi piano pastorale, qualsiasi progetto missionario, qualsiasi dinamismo nell’evangelizzazione, che prescindesse dal primato della spiritualità e del culto divino sarebbe destinato al fallimento.
c) Un cammino specifico verso la santità
12. Il sacerdozio ministeriale, nella misura in cui configura all’essere e all’operare sacerdotali di Cristo, introduce una novità nella vita spirituale di chi ha ricevuto questo dono. E’ una vita spirituale conformata attraverso la partecipazione alla capitalità di Cristo nella sua Chiesa e che matura nel servizio ministeriale alla Chiesa: una santità nel ministero e per il ministero.
Si tratta di una volontà personale permanente: “Un simile legame tende, per sua natura, a farsi il più ampio e il più profondo possibile, investendo la mente, i sentimenti, la vita, ossia una serie di disposizioni morali e spirituali corrispondenti ai gesti ministeriali che il sacerdote pone” .
La spiritualità sacerdotale esige di respirare un clima di vicinanza al Signore Gesù, di amicizia e di incontro personale, di missione ministeriale “condivisa”, di amore e servizio alla sua Persona nella “persona” della Chiesa, suo Corpo, sua Sposa. Amare la Chiesa e donarsi ad essa nel servizio ministeriale richiede di amare profondamente il Signore Gesù. “Questa carità pastorale scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, cosicché lo spirito sacerdotale si studia di rispecchiare ciò che viene realizzato sull’altare. Ma ciò non è possibile se i sacerdoti non penetrano sempre più a fondo nel mistero di Cristo con la preghiera”.
Nella penetrazione di tale mistero ci viene in aiuto la Vergine Santissima, associata al Redentore, poiché “quando celebriamo la Santa Messa, in mezzo a noi sta la Madre del Figlio di Dio che ci introduce nel mistero della sua offerta di redenzione. In questo modo Ella diventa mediatrice delle grazie che scaturiscono per la Chiesa e per tutti i fedeli da quest’offerta” . Infatti, “Maria è stata associata in modo unico al sacrificio sacerdotale di Cristo, condividendo la sua volontà di salvare il mondo mediante la Croce. Essa è stata la prima e più perfetta partecipe spirituale della sua oblazione di Sacerdos et Hostia. Come tale essa può ottenere e donare a coloro che partecipano sul piano ministeriale al sacerdozio di suo Figlio la grazia dell’impulso a rispondere sempre più alle esigenze dell’oblazione spirituale che il sacerdozio comporta: in modo particolare, la grazia della fede, della speranza e della perseveranza nelle prove, riconosciute come stimoli ad una partecipazione più generosa all’offerta redentrice” .
L’Eucarestia deve occupare per il sacerdote “il luogo veramente centrale del suo ministero” , perché in essa è contenuto tutto il bene spirituale della Chiesa ed è di per sé fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione . Di qui l’importanza quanto mai rilevante della preparazione alla Santa Messa, della sua celebrazione quotidiana , del ringraziamento e della visita a Gesù Sacramentato sull’arco della giornata!
14. Il sacerdote oltre il Sacrificio eucaristico, celebra quotidianamente la sacra Liturgia delle Ore, che egli ha liberamente abbracciato con obbligo grave. Dall’immolazione incruenta di Cristo sull’altare, alla celebrazione dell’Ufficio divino insieme con tutta la Chiesa, il cuore del sacerdote intensifica il suo amore al divino Pastore, rendendolo evidente dinanzi ai fedeli. Il sacerdote ha ricevuto il privilegio di “parlare a Dio a nome di tutti”, di diventare “quasi la bocca di tutta la Chiesa” ; adempie nell’ufficio divino ciò che manca alla lode di Cristo e, in quanto ambasciatore accreditato, la sua intercessione è tra le più efficaci per la salvezza del mondo .
d) La fedeltà del sacerdote alla disciplina ecclesiastica
15. La “coscienza di essere ministro” comporta anche la coscienza dell’agire organico del Corpo di Cristo. Infatti, la vita e la missione della Chiesa, per potersi sviluppare, esigono un ordinamento, delle regole, delle leggi di condotta, ovvero un ordine disciplinare. Occorre superare qualsiasi pregiudizio nei confronti della disciplina ecclesiastica, a cominciare dall’espressione stessa, e superare altresì qualsiasi timore e complesso nel citarla e nel richiederne opportunamente il compimento. Quando vige l’osservanza delle norme e dei criteri che costituiscono la disciplina ecclesiastica, sono evitate quelle tensioni che, diversamente, comprometterebbero lo sforzo pastorale unitario di cui la Chiesa ha bisogno per adempiere efficacemente la sua missione evangelizzatrice. La matura assunzione del proprio impegno ministeriale comprende la certezza che la Chiesa “ha bisogno di norme affinché la sua struttura gerarchica ed organica sia visibile e per l’esercizio delle funzioni divinamente affidatele, soprattutto quella della sacra potestà e dell’amministrazione dei Sacramenti” .
Inoltre, la coscienza di essere ministro di Cristo e del suo Corpo mistico, implica l’impegno del fedele compimento della volontà della Chiesa, che si esprime concretamente nelle norme. La legislazione della Chiesa ha come fine una maggiore perfezione della vita cristiana, per un migliore compimento della missione salvifica e va dunque vissuta con animo sincero e buona volontà.
Tra tutti gli aspetti merita particolare rilievo quello della docilità alle leggi e alle disposizioni liturgiche della Chiesa, vale a dire, l’amore fedele ad una normativa che ha lo scopo di ordinare il culto in accordo con la volontà del Sommo ed Eterno Sacerdote e del suo mistico Corpo. La sacra Liturgia è considerata come l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo , azione sacra per eccellenza, “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù” . Di conseguenza, è questo l’ambito in cui maggiore deve essere la coscienza di essere ministro e di agire in conformità agli impegni liberamente e solennemente assunti di fronte a Dio e alla comunità. “Regolare la sacra Liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo. (…) Nessun altro, assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” . Arbitrarietà, espressioni soggettivistiche, improvvisazioni, disobbedienza nella celebrazione eucaristica costituiscono altrettante patenti contraddizioni con l’essenza stessa della Santissima Eucarestia, che è il Sacrificio di Cristo. Lo stesso vale per la celebrazione degli altri sacramenti, soprattutto per il Sacramento della Penitenza mediante il quale – essendo contriti e avendo il proposito di emendarsi – vengono perdonati i peccati e si viene riconciliati con la Chiesa .
Analoga attenzione i presbiteri prestino alla partecipazione autentica e cosciente dei fedeli alla sacra Liturgia, che la Chiesa non manca di promuovere . Nella sacra Liturgia esistono funzioni che possono essere esercitate da quei fedeli che non hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine; altre invece sono proprie ed assolutamente esclusive dei ministri ordinati . Il rispetto per le diverse identità dello stato di vita, la loro complementarietà per la missione, esigono di evitare qualsiasi confusione in questa materia.
e) Il sacerdote nella comunione ecclesiale
16. Per servire la Chiesa – comunità organicamente strutturata di fedeli dotati della stessa dignità battesimale ma di diversi carismi e funzioni – occorre conoscerla ed amarla, non come la vorrebbero le transeunti mode di pensiero o le diverse ideologie, ma come è stata voluta da Gesù Cristo, che l’ha fondata. La funzione ministeriale di servizio alla comunione, a partire dalla configurazione a Cristo Capo, richiede di conoscere e rispettare la specificità del ruolo del fedele laico, promuovendo in tutti i modi possibili l’assunzione da parte di ciascuno delle proprie responsabilità. Il sacerdote è al servizio della comunità, ma è anche sostenuto dalla sua comunità. Egli ha bisogno dell’apporto del laicato, non solo per l’organizzazione e l’amministrazione della sua comunità, ma anche per la fede e la carità: c’è una specie di osmosi tra la fede del presbitero e la fede degli altri fedeli. Le famiglie cristiane e le comunità fervorose hanno spesso aiutato i sacerdoti nei momenti di crisi. E’ altresì importante, per lo stesso motivo, che i presbiteri conoscano, stimino e rispettino le caratteristiche della sequela di Cristo propria della vita consacrata, tesoro preziosissimo della Chiesa e testimonianza della feconda operosità dello Spirito Santo in essa.
Tanto più i presbiteri sono segni vivi e servitori della comunione ecclesiale, quanto più essi si inseriscono nell’unità vivente della Chiesa nel tempo, che è la sacra Tradizione, di cui è custode e garante il Magistero. Il riferimento fecondo alla Tradizione dà al ministero del presbitero la solidità e l’oggettività della testimonianza della Verità, venuta in Cristo a rivelarsi nella storia. Ciò lo aiuta a fuggire quel prurito di novità, che danneggia la comunione e svuota di profondità e di credibilità l’esercizio del ministero sacerdotale.
Il parroco specialmente deve essere tessitore paziente della comunione della propria parrocchia con la sua Chiesa particolare e con la Chiesa universale. Egli dovrebbe essere altresì un vero modello di adesione al Magistero perenne della Chiesa e alla sua grande disciplina.
f) Senso dell’universale nel particolare
17. “È necessario che il sacerdote abbia la coscienza che il suo “essere in una Chiesa particolare” costituisce, di sua natura, un elemento qualificante per vivere la spiritualità cristiana. In tal senso il presbitero trova proprio nella sua appartenenza e dedicazione alla Chiesa particolare una fonte di significati, di criteri di discernimento e di azione, che configurano sia la sua missione pastorale sia la sua vita spirituale” . Si tratta di una materia importante, in cui si deve acquisire una visione ampia, che tenga conto di come “l’appartenenza e la dedicazione alla Chiesa particolare non rinchiudono in essa l’attività e la vita del presbitero: queste non possono affatto esservi rinchiuse, per la natura stessa sia della Chiesa particolare sia del ministero sacerdotale”.
Il concetto d’incardinazione, modificato dal Concilio Vaticano II ed espresso conseguentemente nel Codice , permette di superare il pericolo di rinchiudere il ministero dei presbiteri entro stretti limiti, non tanto geografici quanto piuttosto psicologici o persino teologici. L’appartenenza ad una Chiesa particolare e il servizio pastorale alla comunione al suo interno – elementi di ordine ecclesiologico – inquadrano anche esistenzialmente la vita e l’attività dei presbiteri e donano loro una fisionomia costituita di orientamenti pastorali specifici, di mete, di donazione personale in compiti determinati, di incontri pastorali, di interessi condivisi. Per intendere ed amare effettivamente la Chiesa particolare e l’appartenenza e dedicazione ad essa, servendola e sacrificandosi per essa fino al dono della propria vita, è necessario che il sacro ministro sia sempre più consapevole che la Chiesa universale “è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare” . Infatti, non è la somma delle Chiese particolari a costituire la Chiesa universale. Le Chiese particolari, nella e a partire dalla Chiesa universale, devono essere aperte ad una realtà di vera comunione di persone, di carismi, di tradizioni spirituali, senza frontiere geografiche, intellettuali o psicologiche . Al presbitero deve essere ben chiaro che una sola è la Chiesa! L’universalità, ovvero la cattolicità, deve riempire di sé la particolarità. Il profondo, vero e vitale legame comunionale con la Sede di Pietro costituisce la garanzia e la condizione necessaria di tutto ciò. La stessa motivata accoglienza, diffusione e fedele applicazione dei documenti papali e dei Dicasteri della Curia Romana ne è un’espressione.
Abbiamo considerato l’essere e l’azione di ogni sacerdote in quanto tale. Ora la nostra riflessione va più specificatamente al sacerdote costituito nell’ufficio di parroco.
PARTE II
La Parrocchia e il Parroco
3. La parrocchia e l’ufficio di parroco
18. I tratti ecclesiologici più significativi della nozione teologico-canonica di parrocchia sono stati pensati dal Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione e della dottrina cattolica, dell’ecclesiologia di comunione, e tradotti poi in legge dal Codice di Diritto Canonico. Essi sono stati sviluppati da diversi punti di vista nel magistero pontificio postconciliare, sia in maniera esplicita che implicita, sempre all’interno dell’approfondimento sul sacerdozio ordinato. E’ quindi utile riassumere le principali caratteristiche della dottrina teologica e canonica sulla materia, in vista soprattutto di una migliore risposta alle sfide pastorali che si pongono in questo inizio del terzo millennio al ministero parrocchiale dei presbiteri.
Quanto si dice del parroco, per analogia, in larga misura, sotto il profilo dell’impegno pastorale di guida, interessa anche quei sacerdoti che prestano comunque il loro aiuto in parrocchia e quanti rivestono specifici incarichi pastorali, per esempio, nei luoghi di detenzione, nei luoghi di cura, nelle università e nelle scuole, nell’assistenza ai migranti e agli stranieri, ecc.
La parrocchia è una concreta communitas christifidelium, costituita stabilmente nell’ambito d’una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata ad un presbitero parroco come a suo proprio pastore, sotto l’autorità del Vescovo diocesano . Tutta la vita della parrocchia, così come il significato dei suoi compiti apostolici nei confronti della società, devono essere intesi e vissuti con senso di comunione organica tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, di collaborazione fraterna e dinamica tra pastori e fedeli nel più assoluto rispetto dei diritti, dei doveri e delle funzioni altrui, dove ognuno ha le proprie competenze e le proprie responsabilità. Il parroco “in stretta comunione col Vescovo e con tutti i fedeli, eviterà di introdurre nel suo ministero pastorale, sia forme di autoritarismo estemporaneo che modalità di gestione democraticista estranee alla realtà più profonda del ministero” . Al riguardo mantiene ovunque il suo pieno vigore l’Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de Mysterio, approvata in forma specifica dal Sommo Pontefice, la cui integrale applicazione assicura la corretta prassi ecclesiale in questo campo fondamentale per la vita stessa della Chiesa.
Il legame intrinseco con la comunità diocesana e con il suo Vescovo, in comunione gerarchica con il Successore di Pietro, assicura alla comunità parrocchiale l’appartenenza alla Chiesa universale. Si tratta dunque di una pars dioecesis animata da uno stesso spirito di comunione, da ordinata corresponsabilità battesimale, da una stessa vita liturgica, centrata nella celebrazione dell’Eucaristia , e da uno stesso spirito di missione, che connota l’intera comunità parrocchiale. Ogni parrocchia, infatti, “è fondata su di una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica. Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l’Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità strutturata organicamente, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco – che rappresenta il Vescovo diocesano – è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare” .
In questo senso, la parrocchia, che è come una cellula della diocesi, deve offrire “un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le diversità umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa” . La communitas christifidelium, nella nozione di parrocchia, costituisce l’elemento personale essenziale di base e, con tale espressione, si vuole sottolineare la dinamica relazione tra persone che, in maniera determinata, sotto l’indispensabile guida effettiva di un pastore proprio, la compongono. Di regola generale, si tratta di tutti i fedeli di un determinato territorio; oppure, soltanto di alcuni fedeli, nel caso delle parrocchie personali, costituite sulla base del rito, della lingua, della nazionalità o di altre precise motivazioni .
19. Altro elemento basilare della nozione di parrocchia è la cura pastorale o cura delle anime, propria dell’ufficio di parroco, che si manifesta, principalmente, nella predicazione della Parola di Dio, nell’amministrazione dei sacramenti e nella guida pastorale della comunità . Nella parrocchia, ambito della cura pastorale ordinaria, “il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere, al servizio della comunità, le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma di diritto” . Questa nozione di parroco manifesta una grande ricchezza ecclesiologica e non impedisce al Vescovo di determinare altre forme della cura animarum, a norma del diritto.
La necessità di adattare l’assistenza pastorale nelle parrocchie alle circostanze del tempo presente, caratterizzato in taluni luoghi dalla scarsità di sacerdoti ma anche dall’esistenza di parrocchie urbane sovrapopolate e parrocchie rurali disperse, o da scarso numero di parrocchiani, ha consigliato di introdurre alcune innovazioni, non certo di principio, nel diritto universale della Chiesa al riguardo del titolare della cura pastorale della parrocchia. Una di queste consiste nella possibilità di affidare in solidum a più sacerdoti la cura pastorale di una o più parrocchie, con la condizione perentoria che sia soltanto uno di loro il moderatore, che diriga l’attività comune e di essa risponda personalmente al Vescovo . Viene affidato dunque l’unico ufficio parrocchiale, l’unica cura pastorale della parrocchia ad un titolare molteplice costituito da diversi sacerdoti, che ricevono una identica partecipazione all’ufficio affidato, sotto la direzione personale di un confratello moderatore. Affidare la cura pastorale in solidum si manifesta utile per risolvere talune situazioni in quelle diocesi dove pochi sacerdoti devono organizzare il loro tempo nell’assistenza di attività ministeriali diverse, ma diventa anche un mezzo opportuno per promuovere la corresponsabilità pastorale dei presbiteri e, in maniera speciale, per facilitare la consuetudine della vita comune dei sacerdoti, che va sempre incoraggiata .
Non si possono prudentemente ignorare, tuttavia, talune difficoltà che la cura pastorale in solidum – sempre e comunque composta da soli sacerdoti – può comportare, poiché è connaturale ai fedeli l’identificazione con il proprio pastore, e può essere disorientante e non compresa la presenza variante di più presbiteri, anche se coordinati fra di loro. E’ evidente la ricchezza della paternità spirituale del parroco, come un “pater familias” sacramentale della parrocchia, con i conseguenti vincoli che generano fecondità pastorale.
Nei casi in cui lo richiedano le necessità pastorali, il Vescovo diocesano può opportunamente procedere all’affidamento temporaneo di più parrocchie alla cura pastorale di un solo parroco .
Quando le circostanze lo suggeriscono, l’affidamento di una parrocchia ad un amministratore può costituire una soluzione provvisoria . È opportuno ricordare, tuttavia, che l’ufficio del parroco, essendo essenzialmente pastorale, richiede pienezza e stabilità . Il parroco dovrebbe essere una icona della presenza del Cristo storico. E’ l’esigenza della configurazione a Cristo, che sottolinea questo impegno prioritario.
20. Per svolgere la missione di pastore in una parrocchia, che comporta la cura piena delle anime, si richiede assolutamente l’esercizio dell’ordine sacerdotale . Pertanto, oltre alla comunione ecclesiale , il requisito esplicitamente richiesto dal diritto canonico perché qualcuno sia nominato validamente parroco è che sia stato costituito nel sacro Ordine del presbiterato .
Per quanto si riferisce alla responsabilità del parroco nell’annuncio della parola di Dio e nella predicazione dell’autentica dottrina cattolica, il can. 528 menziona espressamente l’omelia e l’istruzione catechetica; la promozione di iniziative che diffondano lo spirito evangelico in ogni ambito della vita umana; la formazione cattolica dei fanciulli e dei giovani e l’impegno affinché, con la ordinata collaborazione dei fedeli laici, il messaggio del Vangelo possa raggiungere quelli che hanno abbandonato la pratica religiosa o non professano la vera fede , sicché possano, con la grazia di Dio, pervenire alla conversione. Com’è logico, il parroco non è obbligato a realizzare personalmente tutte queste mansioni, bensì a procurare che si realizzino in maniera opportuna, conformemente alla retta dottrina e alla disciplina ecclesiale, nel seno della parrocchia, a seconda delle circostanze e sempre sotto la propria responsabilità. Alcune di queste funzioni, per esempio, l’omelia durante la celebrazione eucaristica , dovranno essere realizzate sempre ed esclusivamente da un ministro ordinato. “Quand’anche egli fosse superato nella facondia da altri fedeli non ordinati, ciò non cancellerebbe il suo essere ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore, ed è da questo soprattutto che deriva l’efficacia della sua predicazione” . Alcune altre funzioni, invece, per esempio, la catechesi, potranno essere anche abitualmente svolte da fedeli laici, che abbiano ricevuto la dovuta preparazione, secondo la retta dottrina e conducano una coerente vita cristiana, sempre salvo l’obbligo del contatto personale. Il beato Giovanni XXIII scriveva che ” è di somma importanza che il clero ovunque ed in ogni tempo sia fedele al suo dovere di insegnare. “Qui giova – diceva a tal proposito San Pio X – a questo solo tendere e su questo solo insistere, che cioè ogni sacerdote non è tenuto da nessun altro ufficio più grave, né è obbligato da nessun altro vincolo più stretto” “.
Sul parroco, come è ovvio, per effettiva carità pastorale, grava il dovere di esercitare attenta e premurosa sorveglianza, oltreché incoraggiamento, su tutti e singoli i collaboratori. In taluni paesi nei quali si annoverano fedeli appartenenti a diversi gruppi linguistici, se non sarà stata eretta una parrocchia personale o non sarà stata intrapresa un’altra soluzione adeguata, sarà il parroco territoriale, come pastore proprio , ad aver cura di rispettare le peculiari necessità dei suoi fedeli, anche per quanto attiene alle loro specifiche sensibilità culturali.
21. Quanto ai mezzi ordinari di santificazione, il can. 528 stabilisce che il parroco si deve impegnare particolarmente perché la Santissima Eucaristia costituisca il centro della comunità parrocchiale e perché tutti i fedeli possano raggiungere la pienezza della vita cristiana mediante una consapevole ed attiva partecipazione alla sacra Liturgia, alla celebrazione dei sacramenti, alla vita di orazione e alle buone opere.
Merita considerazione il fatto che il Codice menzioni la ricezione frequente dell’Eucaristia e la pratica altrettanto frequente del sacramento della Penitenza. Il che suggerisce l’opportunità che il parroco, stabilendo gli orari delle SS. Messe e delle confessioni nella parrocchia, consideri quali siano i momenti più adeguati per la maggioranza dei fedeli, consentendo anche a coloro che hanno particolari difficoltà di orario di accostarsi agevolmente ai sacramenti. Una cura tutta particolare i parroci dovranno riservare alla confessione individuale nello spirito e nella forma stabilita dalla Chiesa . Si ricordino, inoltre, che essa doverosamente precede la prima comunione dei fanciulli . Si tenga inoltre presente che, per ovvi motivi pastorali, al fine di facilitare i fedeli, si possono ascoltare le confessioni individuali durante la celebrazione della Santa Messa .
Ci si adoperi, inoltre, di “rispettare la sensibilità del penitente per quanto concerne la scelta della modalità della confessione, cioè se faccia a faccia o attraverso la grata del confessionale” . Anche il confessore può avere ragioni pastorali per preferire l’uso del confessionale con la grata.
Si dovrà pure favorire al massimo la pratica della visita al Santissimo Sacramento, disponendo e stabilendo, in modo fisso, il più ampio spazio di tempo possibile perché la chiesa venga tenuta aperta. Non pochi parroci, lodevolmente, promuovono l’adorazione attraverso l’esposizione solenne del Santissimo Sacramento e la benedizione eucaristica, sperimentandone i frutti nella vitalità della parrocchia.
La Santissima Eucarestia viene custodita con amore nel tabernacolo “come il cuore spirituale della comunità religiosa e parrocchiale” . “Senza il culto eucaristico, come proprio cuore pulsante, la parrocchia inaridisce” . “Se volete che i fedeli preghino volentieri e con pietà – diceva Pio XII al clero di Roma – precedeteli in chiesa con l’esempio, facendo orazione al loro cospetto. Un sacerdote genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento, è un modello di edificazione, un’ammonimento e un invito all’emulazione orante per il popolo” .
22. Dal canto suo, il can. 529 contempla le principali esigenze del compimento della funzione pastorale parrocchiale, configurando in un certo senso l’atteggiamento ministeriale del parroco. Quale pastore proprio, egli si impegna nel conoscere i fedeli affidati alle sue cure evitando di cadere nel pericolo del funzionalismo: non è un funzionario che compie un ruolo ed offre dei servizi a chi li chiede. Da uomo di Dio esercita in modo integrale il proprio ministero, cercando i fedeli, visitando le famiglie, partecipando alle loro necessità, alle loro gioie; corregge con prudenza, si prende cura degli anziani, dei deboli, degli abbandonati, degli ammalati e si prodiga per i moribondi; dedica particolare attenzione ai poveri e agli afflitti; si impegna per la conversione dei peccatori, di quanti sono nell’errore ed aiuta ciascuno a compiere il proprio dovere, fomentando la crescita della vita cristiana nelle famiglie .
Educare all’esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale rimane una delle priorità pastorali e segno di vitalità di una comunità cristiana.
Risulta anche significativo il compito affidato al parroco nella promozione della funzione propria dei fedeli laici nella missione della Chiesa, cioè quella di animare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e, in tal modo, di rendere testimonianza a Cristo, particolarmente nell’esercizio dei compiti secolari .
D’altra parte, il parroco deve collaborare con il Vescovo e con gli altri presbiteri della diocesi perché i fedeli, partecipando alla comunità parrocchiale, si sentano anche membri della diocesi e della Chiesa universale . La crescente mobilità della società attuale rende necessario che la parrocchia non si chiuda in se stessa e sappia accogliere i fedeli di altre parrocchie che la frequentano, come pure eviti di guardare con diffidenza che alcuni parrocchiani partecipino alla vita di altre parrocchie, rettoríe, o cappellaníe.
Ricade anche, specialmente sul parroco, il dovere di promuovere con zelo, sostenere e seguire con specialissima cura le vocazioni sacerdotali . L’esempio personale nel mostrare la propria identità, anche visibilmente , nel vivere conseguentemente ad essa, unitamente alla cura delle confessioni individuali e della direzione spirituale dei giovani, nonché della catechesi sul sacerdozio ordinato, renderanno realistica l’irrinunciabile pastorale vocazionale. “E’ sempre stato compito particolare del ministero sacerdotale gettare i semi della vita totalmente consacrata a Dio e suscitare l’amore per la verginità” .
23. Laddove si verifica scarsità di sacerdoti si può ipotizzare, come succede in taluni luoghi, che il Vescovo, avendo tutto considerato con prudenza, affidi nelle modalità canonicamente consentite, una collaborazione “ad tempus” nell’esercizio della cura pastorale della parrocchia ad una o diverse persone non insignite del carattere sacerdotale . Tuttavia, in questi casi, devono essere attentamente osservate e protette le proprietà originarie di diversità e complementarietà tra i doni e le funzioni dei ministri ordinati e dei fedeli laici, proprie della Chiesa, che Dio ha voluto organicamente strutturata. Ci sono situazioni oggettivamente straordinarie che giustificano tale collaborazione. Essa, tuttavia, non può legittimamente superare i confini della specificità ministeriale e laicale.
Nel desiderio di purificare una terminologia che potrebbe indurre alla confusione, la Chiesa ha riservato le espressioni che indicano “capitalità” – come quelle di “pastore”, “cappellano”, “direttore”, “coordinatore” o equivalenti – esclusivamente ai sacerdoti .
Il Codice, in effetti, nel titolo dedicato ai diritti e ai doveri dei fedeli laici, distingue i compiti o le funzioni che, come diritto e dovere proprio, appartengono a qualunque laico, da altri che si situano nella linea di collaborazione al ministero pastorale. Questi costituiscono una capacitas o habilitas il cui esercizio dipende dalla chiamata dei legittimi pastori ad assumerli . Non sono pertanto dei diritti.
24. Tutto ciò è stato espresso da Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici: “La missione salvifica della Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del sacramento dell’Ordine ma anche da tutti i fedeli laici. Questi, infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all’ufficio sacerdotale, profetico e regale. I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio. Quando poi la necessità o l’utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare “ad tempus” a fedeli laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell’Ordine” (n. 23). Questo stesso documento ricorda inoltre il principio basilare che regge tale collaborazione e i suoi limiti invalicabili: “L’esercizio però di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensì l’ordinazione sacramentale. Solo il sacramento dell’Ordine attribuisce al ministero ordinato una peculiare partecipazione all’ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno. Il compito esercitato in veste di supplente deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla deputazione ufficiale data dai pastori e nella sua concreta attuazione è diretto dall’autorità ecclesiastica” (n. 23) .
In quei casi di affidamento a fedeli non ordinati, deve essere necessariamente costituito come moderatore un sacerdote, con la potestà e i doveri di parroco, che diriga personalmente la cura pastorale . Com’è logico, la partecipazione all’ufficio parrocchiale è diversa nel caso del presbitero designato per dirigere l’attività pastorale – munito delle facoltà di parroco -, che svolge le funzioni esclusive del sacerdote, e nel caso delle altre persone che non hanno ricevuto l’ordine del presbiterato e partecipano sussidiariamente all’esercizio delle altre funzioni . Il religioso non sacerdote, la religiosa, il fedele laico, chiamati a partecipare nell’esercizio della cura pastorale, possono svolgere mansioni di tipo amministrativo, nonché di formazione e di animazione spirituale, mentre non possono logicamente svolgere funzione di cura piena delle anime, in quanto questa richiede il carattere sacerdotale. Possono comunque supplire l’assenza del ministro ordinato in quelle funzioni liturgiche adeguate alla loro condizione canonica, enumerate dal can. 230 § 3: “esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione secondo le disposizioni del diritto” . I diaconi, pur non potendo essere situati sullo stesso piano degli altri fedeli, non possono tuttavia esercitare una piena cura animarum .
È conveniente che il Vescovo diocesano verifichi, con la massima prudenza e pastorale lungimiranza, anzitutto l’autentico stato di necessità e, quindi, stabilisca le condizioni di idoneità delle persone chiamate a questa collaborazione e definisca le funzioni che devono attribuirsi ad ognuna di loro secondo le circostanze delle rispettive comunità parrocchiali. In ogni caso, in assenza di una chiara distribuzione di funzioni, spetta al presbitero moderatore determinare ciò che si deve fare. L’eccezionalità e provvisorietà di queste formule richiede che, nel seno di quelle comunità parrocchiali, si promuova al massimo la consapevolezza dell’assoluta necessità delle vocazioni sacerdotali, se ne coltivino con amorosa cura i germi, si promuova la preghiera, sia comunitaria che personale, anche per la santificazione dei sacerdoti.
“Sarebbe errore fatale rassegnarsi alle attuali difficoltà e comportarsi, di fatto, come se ci si dovesse preparare ad una Chiesa del domani, immaginata quasi priva di presbiteri. In questo modo, le misure adottate per rimediare a carenze attuali risulterebbero per la comunità ecclesiale, nonostante ogni buona volontà, di fatto, seriamente pregiudizievoli” .
25. “Quando si tratta di partecipare all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia – nei casi in cui essa, per scarsità di presbiteri, non potesse avvalersi della cura immediata di un parroco – i diaconi permanenti hanno sempre la precedenza sui fedeli non ordinati” . In virtù dell’Ordine sacro, “il diacono, infatti, è maestro, in quanto proclama ed illustra la parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del battesimo, dell’Eucarestia e i sacramentali, partecipa alla celebrazione della santa Messa, in veste di ‘ministro del Sangue’, conserva e distribuisce l’Eucarestia; è guida, in quanto è animatore di comunità o di settori della vita ecclesiale” .
Particolare accoglienza sarà riservata ai diaconi, candidati al sacerdozio, che prestano servizio pastorale in parrocchia. Per essi il parroco, d’intesa con i superiori del seminario, sarà guida e maestro, nella consapevolezza che anche dalla sua testimonianza di coerenza con la propria identità, di generosità missionaria nel servizio e di amore alla parrocchia, potrà dipendere la donazione sincera e totale a Cristo da parte del candidato al sacerdozio.
Nello stesso senso, i sistemi di delibera riguardo alle questioni economiche della parrocchia, salvo restando la norma di diritto per la retta ed onesta amministrazione, non possono condizionare il ruolo pastorale del parroco, il quale è rappresentante legale e amministratore dei beni della parrocchia .
4. Le sfide positive del presente nella pastorale parrocchiale
27. Se tutta la Chiesa è stata invitata in questi inizi del nuovo millennio ad attingere “un rinnovato slancio nella vita cristiana”, fondato sulla consapevolezza della presenza di Cristo Risorto tra noi , dobbiamo saperne trarre le conseguenze per la pastorale nelle parrocchie.
Non si tratta di inventare nuovi programmi pastorali, giacché il programma cristiano, incentrato su Cristo stesso, è sempre quello di conoscere, amare, imitare lui, di vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento: “un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace” .
Nel vasto quanto impegnativo orizzonte della pastorale ordinaria: “è nelle Chiese locali che si possono stabilire quei tratti programmatici concreti – obiettivi e metodi di lavoro, formazione e valorizzazione degli operatori, ricerca dei mezzi necessari – che consentono all’annuncio di Cristo di raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei valori evangelici nella società e nella cultura” . Sono questi gli orizzonti “dell’entusiasmante opera di ripresa pastorale che ci attende” .
Guidare i fedeli ad una solida vita interiore, sul fondamento dei principi della dottrina cristiana come vissuti e insegnati dai Santi, è l’opera pastorale di gran lunga più rilevante e fondamentale. Nei piani pastorali è proprio questo aspetto, che dovrebbe essere privilegiato. Più che mai oggi occorre riscoprire che la preghiera, la vita sacramentale, la meditazione, il silenzio adorante, il cuore a cuore con nostro Signore, l’esercizio quotidiano delle virtù che configurano a Lui, è ben più produttivo di qualsiasi discussione ed è comunque la condizione per la sua efficacia.
Sono sette le priorità pastorali che la Novo Millennio Ineunte ha individuato: la santità, la preghiera, la Santissima Eucarestia domenicale, il sacramento della Riconciliazione, il primato della grazia, l’ascolto della Parola e l’annuncio della Parola . Tali priorità emerse particolarmente dall’esperienza del Grande Giubileo, offrono non soltanto il contenuto e la sostanza delle questioni su cui i parroci e tutti i sacerdoti coinvolti nella cura animarum nelle parrocchie devono meditare con attenzione, ma sintetizzano anche lo spirito con cui si deve far fronte a quest’opera di ripresa pastorale.
La Novo Millennio Ineunte evidenzia anche un “altro grande ambito in cui occorrerà esprimere un deciso impegno programmatico, a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari: quello della comunione (koinonìa) che incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della Chiesa” (n. 42) e invita a promuovere una spiritualità di comunione. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo” (n. 43). Inoltre specifica: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità” (n. 43).
Una vera pastorale della santità nelle nostre comunità parrocchiali implica un’autentica pedagogia della preghiera, una rinnovata, persuasiva ed efficace catechesi sull’importanza della Santissima Eucaristia domenicale ed anche quotidiana, dell’adorazione comunitaria e personale del SS.mo Sacramento, sulla pratica frequente ed individuale del sacramento della Riconciliazione, sulla direzione spirituale, sulla devozione mariana, sull’imitazione dei Santi; un nuovo slancio apostolico vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei singoli, una adeguata pastorale della famiglia, un coerente impegno sociale e politico.
Tale pastorale non è possibile se non è ispirata, sostenuta e ravvivata da sacerdoti dotati di questo stesso spirito. “Dall’esempio e dalla testimonianza del sacerdote i fedeli possono trarre grande giovamento ( ) riscoprendo la parrocchia come ‘scuola’ di preghiera, dove “l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero invaghimento del cuore” . “( ) guai a dimenticare che “senza Cristo non possiamo far nulla” (cfr. Gv 15, 5). La preghiera ci fa vivere appunto in questa verità. Essa ci ricorda costantemente il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità. Quando questo principio non è rispettato ( ) facciamo allora l’esperienza dei discepoli nell’episodio evangelico della pesca miracolosa: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5, 5). E’ quello il momento della fede, della preghiera, del dialogo con Dio, per aprire il cuore all’onda della grazia e consentire alla parola di Cristo di passare attraverso di noi con tutta la sua potenza: Duc in altum!” .
Senza sacerdoti veramente santi sarebbe ben difficile avere un buon laicato e tutto sarebbe come spento; come pure senza famiglie cristiane – chiese domestiche – è ben difficile che arrivi la primavera delle vocazioni. Quindi si sbaglia quando per enfatizzare il laicato si trascura il sacerdozio ordinato perché, così facendo, si finisce col penalizzare il laicato stesso e rendere sterile l’intera missione della Chiesa.
28. La prospettiva in cui deve porsi il cammino e il fondamento di tutta la programmazione pastorale, consiste nell’aiutare a riscoprire nelle nostre comunità l’universalità della chiamata cristiana alla santità. Occorre ricordare che l’anima di ogni apostolato è radicata nell’intimità divina, nel nulla anteporre all’amore di Cristo, nel cercare in ogni cosa la maggior gloria di Dio, nel vivere la dinamica cristocentrica del mariano “totus tuus”! La pedagogia della santità pone “la programmazione pastorale nel segno della santità” e costituisce la principale sfida pastorale nel contesto del tempo presente. Nella Chiesa santa tutti i fedeli sono chiamati alla santità.
Un compito centrale della pedagogia della santità consiste, dunque, nel saper insegnare a tutti, e nel ricordarlo senza stancarsi, che la santità costituisce il traguardo dell’esistenza di ogni cristiano. “Tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: “Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione” (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4)” . Ecco il primo elemento da sviluppare pedagogicamente nella catechesi ecclesiale, fino a che la coscienza della santificazione all’interno della propria esistenza arrivi ad essere una convinzione comune.
L’annuncio dell’universalità della vocazione alla santità esige la comprensione dell’esistenza cristiana come sequela Christi, come conformazione a Cristo; non si tratta di incarnare in modo estrinseco comportamenti etici, ma di lasciarsi personalmente coinvolgere nell’avvenimento della grazia di Cristo. Tale conformazione a Cristo è la sostanza della santificazione e costituisce il traguardo specifico dell’esistenza cristiana. Per conseguire ciò ogni cristiano ha bisogno dell’aiuto della Chiesa, mater et magistra. La pedagogia della santità è una sfida, tanto esigente quanto attraente, per tutti coloro che nella Chiesa detengono responsabilità di guida e di formazione.
29. Priorità di singolare importanza per la Chiesa e, quindi, per la pastorale parrocchiale, è l’impegno ardentemente missionario dell’evangelizzazione . “È ormai tramontata, anche nei Paesi di antica evangelizzazione, la situazione di una “società cristiana” che, pur tra le tante debolezze che sempre segnano l’umano, si rifaceva esplicitamente ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza” .
Nella società, segnata oggi dal pluralismo culturale, religioso ed etnico, parzialmente caratterizzata dal relativismo, dall’indifferentismo, dall’irenismo e dal sincretismo, sembra che taluni cristiani si siano quasi abituati ad una sorta di “cristianesimo” privo di reali riferimenti a Cristo e alla sua Chiesa; si tende così a ridurre il progetto pastorale a tematiche sociali colte in una prospettiva esclusivamente antropologica, all’interno di un generico richiamo al pacifismo, all’universalismo e a un non ben precisato riferimento a “valori”.
L’evangelizzazione del mondo contemporaneo si porrà solo a partire dalla riscoperta dell’identità personale, sociale e culturale dei cristiani. Ciò significa soprattutto la riscoperta di Gesù Cristo, Verbo incarnato, unico Salvatore degli uomini ! Da questo convincimento si sprigiona l’esigenza della missione che urge nel cuore di ogni sacerdote in modo tutto speciale e, suo tramite, deve caratterizzare ogni parrocchia e comunità da lui pastoralmente guidata. “Riteniamo che non sia neppure pensabile l’esistenza di un metodo pastorale applicabile ed adattabile a tutti; prima di noi Gregorio Nazianzeno ne aveva fatto un assioma del suo magistero. La unicità del metodo è esclusa. Per edificare tutti nella carità, sarà necessario variare i modi con i quali toccare i cuori, non la dottrina. Sarà pertanto una pastorale di adattamento modale, non di adattamento dottrinale” .
Sarà cura del parroco far sì che anche le associazioni, i movimenti e le aggregazioni varie presenti in parrocchia offrano il proprio specifico contributo alla vita missionaria della stessa. “Grande importanza per la comunione riveste il dovere di promuovere le varie realtà aggregative che, sia nelle forme più tradizionali, sia in quelle più nuove dei movimenti ecclesiali, continuano a dare alla Chiesa una vivacità che è dono di Dio e costituisce un’autentica ‘primavera dello Spirito’. Occorre certo che associazioni e movimenti, tanto nella Chiesa universale quanto nelle Chiese particolari, operino nella piena sintonia ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori” . E’ da evitare nella compagine parrocchiale ogni esclusivismo e chiusura dei singoli gruppi, poiché la missionarietà riposa sulla certezza, che deve essere da tutti condivisa, che “Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti” .
La Chiesa, confida sulla quotidiana fedeltà dei presbiteri al ministero pastorale, impegnati nella propria insostituibile missione a favore della parrocchia affidata alla loro guida.
Non mancano sicuramente ai parroci e agli altri presbiteri, che servono le varie comunità, difficoltà pastorali, stanchezza interiore e fisica per il sovraccarico di lavoro, non sempre equilibrata da sani periodi di ritiro spirituale e di giusto riposo. Quante amarezze poi nel dover constatare come sovente il vento della secolarizzazione inaridisce il terreno su cui si è seminato con notevoli e diuturni sforzi!
Una cultura largamente secolarizzata, che tende ad omologare il sacerdote all’interno delle proprie categorie di pensiero, spogliandolo della sua fondamentale dimensione misterico-sacramentale, è ampiamente responsabile del fenomeno. Di qui nascono quegli scoraggiamenti che possono portare all’isolamento, ad una sorta di depressivo fatalismo o ad un attivismo dispersivo. Ciò non toglie che la larga maggioranza dei sacerdoti, in tutta la Chiesa, corrispondendo alla sollecitudine dei loro vescovi, affronta positivamente le difficili sfide della presente congiuntura storica e riesce a vivere in pienezza e con gioia la propria identità e il generoso impegno pastorale.
Non mancano, tuttavia, anche dall’interno, pericoli come quelli della burocratizzazione, del funzionalismo, del democraticismo, della pianificazione più manageriale che pastorale. Purtroppo, in talune circostanze il presbitero può essere oppresso da un cumulo di strutture non sempre necessarie, che finiscono per sovraccaricarlo, con conseguenze negative tanto sullo stato psicofisico quanto su quello spirituale e, quindi, a scapito dello stesso ministero.
Su tali situazioni non mancherà di vigilare attentamente il Vescovo, il quale è padre anzitutto dei primi e suoi più preziosi collaboratori. E’ quanto mai attuale ed urgente l’unione di tutte le forze ecclesiali per rispondere positivamente alle insidie di cui è fatto oggetto il sacerdote e il suo ministero.
30. La Congregazione per il Clero, attese le circostanze attuali della vita della Chiesa, delle esigenze della nuova evangelizzazione, considerando la risposta che i sacerdoti sono chiamati a dare, ha inteso offrire il presente documento come un aiuto, un incoraggiamento ed uno stimolo al ministero pastorale dei presbiteri nella cura parrocchiale. Infatti, il contatto più immediato della Chiesa con tutta la gente, avviene normalmente nell’ambito delle parrocchie. Pertanto, le nostre considerazioni sono dirette alla persona del sacerdote in quanto parroco. In lui si fa presente Gesù Cristo come Capo del suo Corpo Mistico, il Buon Pastore che si prende cura di ogni pecora. Abbiamo inteso illustrare la natura misterico sacramentale di questo ministero.
Questo documento, alla luce dell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II e dell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, si colloca in continuità con il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, con l’Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de Mysterio e con la Lettera circolare Il Presbitero, Maestro della parola, Ministro dei sacramenti e Guida della comunità in vista del Terzo Millennio cristiano.
E’ possibile vivere il proprio ministero quotidiano soltanto attraverso la santificazione personale, che sempre deve poggiare sulla forza soprannaturale dei sacramenti della Santissima Eucaristia e della Penitenza.
“L’Eucaristia è il punto da cui tutto si irradia ed a cui tutto conduce (…) Tanti sacerdoti nel corso dei secoli hanno trovato in essa il conforto promesso da Gesù la sera dell’Ultima Cena, il segreto per vincere la loro solitudine, il sostegno per sopportare le loro sofferenze, l’alimento per riprendere il cammino dopo ogni scoramento, l’energia interiore per confermare la propria scelta di fedeltà” .
Nello spirito del Cenacolo, dove gli apostoli erano riuniti e concordi nella preghiera con Maria Madre di Gesù (At 1,14), a Lei affidiamo queste pagine redatte con affetto e riconoscenza verso tutti i sacerdoti in cura d’anime sparsi nel mondo. Ciascuno, nell’esercizio del quotidiano “munus” pastorale, possa godere dell’aiuto materno della Regina degli Apostoli e sappia vivere in profonda comunione con Lei. Nel sacerdozio ministeriale, infatti, “c’è la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza alla Madre di Cristo” . È consolante essere consapevoli che “ accanto a noi sta la Madre del Redentore, che ci introduce nel mistero dell’offerta redentrice del suo divin Figlio. “Ad Iesum per Mariam”: sia questo il nostro quotidiano programma di vita spirituale e pastorale” !
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dal Palazzo delle Congregazioni, il 4 agosto 2002, memoria liturgica di San Giovanni Maria Vianney, curato d’Ars, patrono del Clero con cura d’anime.
Preghiera del Parroco a Maria Santissima
Atto di Amore del Santo Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney
Vi amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio è di amarVi fino all’ultimo sospiro della mia vita.
Vi amo, o Dio infinitamente amabile e preferisco morire amandoVi che vivere un solo istante senza amarVi.
Vi amo, o mio Dio, e non desidero il cielo che per avere la gioia di amarVi perfettamente.
Vi amo, o mio Dio, e temo l’inferno perché non vi sarà mai la dolce consolazione di amarVi.