Opinioni & Commenti

Il potere e il denaro ancora si strizzano l’occhio

di Giuseppe Anzani

L’emozione principale che si prova di fronte alle notizie che vengono dalle nuove indagini giudiziarie sulla corruzione è il disgusto. Neppure più la collera, neppure più l’indignazione, o il senso di rivolta che percorse l’intero Paese nella stagione di Tangentopoli. Il disgusto, ecco, il senso di una desolata impotenza, quasi a percepire che attorno al cerchio del marcio, del delitto vero e proprio colpito dal codice penale, c’è un alone contaminato molto più grande, scuro e molle, che ha egualmente un odore di putredine.

Il potere e il denaro ancora si strizzano l’occhio, si danno il braccio. Il punto d’innesco non è più il salvadanaio dei partiti, per i quali in passato la corruzione divenne costume e quasi paesaggio naturale. Le casse dei partiti sono ora al riparo, nutrite dal finanziamento pubblico, soldi nostri. Oggi i favori sembrano diventati personali, a titolo proprio. Oggi il flusso di denaro disegna mille ruscelli, che messi assieme sono l’equivalente di un grande fiume. E dentro il grande cerchio di questo flusso di denaro e di favori non si stagliano più quelli che un tempo furono i tesorieri dei partiti, ma un brulicare di personaggi «che contano», in politica e fuori politica; anche in ruoli secondari, ma muniti comunque di un certo «potere» di natura pubblica, depositari di funzioni importanti, capaci di decisioni che riguardano la comunità. Che intorno a queste persone «importanti» ci sia amicizia e sodalizio di faccendieri premurosi e generosi, è inquietante, perché fa venire in mente l’antico detto latino che «i regali comprano gli uomini e gli dèi».

Certo, non ogni regalo è prova di corruzione e di delitto. E non è detto che l’esser venuti in contatto con una persona disonesta, per scopi onesti e senza regali, mandi tutti nel catalogo dei lebbrosi. Però le vicende della vita, specie per i personaggi di pubblico rilievo, vogliono totale trasparenza. Il disgusto per la corruzione ci avverte che nella pubblica amministrazione i regali non devono esistere. Non devono esistere punto e basta. C’è infatti un piano inclinato fra quello che i giuristi chiamano «traffico d’influenza» e il precipizio finale della vendita dell’onestà, del potere prostituito. È questa immagine, torbida e fetida, che dobbiamo levarci di dosso. Perché coinvolgeranno anche noi tutti, per annacquare il tutto, e noi non siamo d’accordo. Qualcuno dice che siamo tutti una folla di disonesti, raccomandati, profittatori, evasori, millantatori, in un contesto di furba e sfrontata illegalità, così diffusa da contaminare l’immagine stessa dell’italico costume. Un po’ di vero c’è, e ce ne facciamo coscienza. Ma non è tutto così, e di onesti ce n’è senza numero, gente che fa il suo dovere per dovere, e che fa il volontariato per amore.

Allora niente confusione, la corruzione è ciò che fa marcire il villaggio sociale in un tradimento vocazionale. Chi ha pubblica funzione è come la semente del bene comune. Un tarlo che corrompe il seme e lo fa marcire è peggio di una grandinata sul raccolto, perché distrugge il futuro, dissecca la speranza.