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Il pellegrinaggio dei Vescovi alle «memorie» degli apostoli

La tradizione le fa risalire all’episodio riferito da San Paolo nella lettera a Galati, in cui l’Apostolo delle genti racconta i quindici giorni trascorsi insieme con Pietro, durante i quali i due padri della Chiesa fecero il punto sulla diffusione della fede. Fu quello, secondo gli storici, il primo incontro di aiuto reciproco e di confronto su tematiche particolari che si ricorda nella storia della Chiesa.Oggi questi appuntamenti si chiamano visite «ad limina», e derivano il loro nome dalle «limina apostolorum», ossia le «memorie degli apostoli», i luoghi sacri di Roma che secondo la tradizione custodiscono i sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo. La visita «ad limina» altro non è che il pellegrinaggio a questi «ricordi» che i Vescovi di tutto il mondo compiono periodicamente, sin da quando, nel 753, il Papa San Zaccaria istituzionalizzò una consuetudine sorta spontaneamente nel corso dei secoli precedenti e destinata a esprimere il legame delle Chiese diocesane alla sede di Pietro e a rappresentare l’unicità della Chiesa. Secondo le norme canoniche, i presuli giungono a Roma per la visita «ad limina» ogni cinque anni.Dal 20 novembre scorso è la volta dei Vescovi italiani, divisi nelle sedici regioni ecclesiastiche: l’incontro fra i Vescovi della Toscana e Benedetto XVI è in programma dal 16 al 21 aprile. Accanto al pellegrinaggio ai luoghi della memoria dei Santi Pietro e Paolo, il cuore della visita «ad limina» è l’incontro con il Papa, che indica la collegialità fra i pastori e che trae fondamento e vigore dalla loro comunione con il Vescovo di Roma. In quel lungo e personale colloquio fra il Papa e i Vescovi, ciascun presule ha modo di descrivere la vita dalla comunità cristiana che gli è affidata e di riferire al pontefice e ai suoi collaboratori sul progresso dell’annuncio del Vangelo, sulle condizioni di vita sociali, politiche, economiche e culturali delle terre in cui compiono la loro missione.«Le visite ad limina – spiega il direttorio della Congregazione dei Vescovi, pubblicato nel 1988 – non sono un semplice atto giuridico-amministrativo consistente nell’assolvimento di un obbligo rituale, protocollare e giuridico». Ben più profondamente, esse portano un «arricchimento di esperienze» al ministero del Papa e al suo «servizio di illuminare i gravi problemi della Chiesa e del mondo», diversi a seconda dei «luoghi, dei tempi e delle culture». Proprio per queste ragioni, frequentemente sottolineate anche da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, sin dall’inizio del suo pontificato, ha mostrato di nutrire grande interesse e molte aspettative dell’incontro con i vescovi che giungono a Roma da ogni parte del mondo, dedicando larga parte del suo tempo al colloquio personale con ciascuno di loro, come riferiscono quotidianamente le cronache della Santa Sede.«Le visite ad limina, che ci sono sempre state, vengono ora valorizzate molto di più», dichiarò il Papa in una delle rare interviste concesse all’indomani dell’elezione al soglio pontificio, raccontando in quella occasione che dal suo colloquio personale con ciascuno dei vescovi in visita, «in cui appunto centro e periferia si incontrano in uno scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco».Massimo Rossi