Pisa
IL PECCATO VISTO DAI CONFESSORI
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di Graziella Teta
Nel confessionale il penitente si trova davanti agli occhi un cartellino: «Distrarsi durante la preghiera non è peccato». A destra, un foglio riassume con efficace sintesi l’atto di dolore in tre frasi: mi pento dei miei peccati propongo di non commetterne Signore, misericordia, perdonami. Così ha voluto monsignor Giuseppe Guerri, 82 anni, penitenziere in Duomo da 21, sacerdote da 59. Spiega: «In cattedrale, soprattutto durante le festività, è grande l’affluenza di persone al confessionale, ma spesso non sono preparate e inciampano nel recitare l’atto». L’aiuto è gradito e l’incontro con il confessore procede più spedito. E a quanti s’incamminano su un percorso di conversione sincera, il canonico offre un dono prezioso: «L’imitazione di Cristo» (libretto in formato tascabile), opera attribuita al teologo tedesco del XV secolo Tommaso da Kempis. L’incipit recita: «Chi segue me non cammina nelle tenebre, dice il Signore». Commenta monsignor Guerri: «Negli anni ho visto diminuire le confessioni. E tra quanti s’inginocchiano spesso prevale l’abitudine: avverto la mancanza di quel ‘dolore’ sincero che l’atto dovrebbe suggerire. Mentre quelli che veramente avrebbero bisogno di perdono sono assenti dall’incontro con Dio, indifferenti all’appello del Padre buono e generoso di lasciarsi riconciliare con Lui. È solo la fede che genera la coscienza del male fatto e la necessità di chiedere perdono, per cui riconoscere il peccato è conseguenza di una fede viva, di una prassi consolidata, di una convivenza con l’ideale che il fedele vuole raggiungere. Ma la mentalità odierna rifugge da qualsiasi introspezione, l’uomo tende ad ergersi giudice di ciò che è bene o male. L’evoluzione tecnologica, il progresso scientifico, la libertà personale, la società secolarizzata, la cultura laica dominante (che addirittura arriva a proporre un rovesciamento dei valori cristiani – e fa passare fuori moda le virtù – isolando chi non si adegua), peggiorano la possibilità di conoscere e praticare un vero rapporto con Dio». Ma non mancano esempi confortanti, rileva il canonico, di giovani e adulti «raggiunti dalla luce dello spirito, che hanno scoperto il loro rapporto con Dio, sperimentando la sua bontà. È allora che diventano consapevoli della gravità del peccato commesso». Il penitenziere della cattedrale è delegato dal vescovo per l’assoluzione dei peccati «riservati». «Tra questi, l’aborto che – annota Guerri – segna per sempre la coscienza della persona, fa provare il vero dolore, e la volontà di rimedio mediante i metodi suggeriti dal confessore: adozione a distanza, carità, sostegno alla vita in ogni aspetto, materiale e morale e spirituale, per compensare la vita distrutta. Non esiste peccato che non si può assolvere. Tanto grande è la misericordia di Dio».