Lettere in redazione
Il Pd e la vittoria «zoppa» alle regionali del 2010
«Nel mondo dei ciechi chi ha un occhio è un fortunato». Poiché, nelle ultime elezioni regionali, la somma dei voti della ex Margherita e degli ex Ds a livello nazionale si fermò a 26 punti percentuali, il Pd, attestato in Toscana al 42%, giustamente celebrò la vittoria e fece festa per aver superato l’Emilia-Romagna (40%) come prima federazione italiana del centrosinistra.
Nelle stanze dove si brindò al successo, si riflette ora a freddo sulla reale portata di quel voto e sulle sue implicazioni anche in rapporto ad una nuova prossima sfida elettorale. Emerge così che, rispetto alle elezioni regionali del 2005, circa 240 mila toscani nel 2010 non hanno rimarcato il simbolo del PD. Dunque un elettore su quattro non ha rinnovato la fiducia al partito del Presidente Rossi. Il calo di consenso è dipeso, in parte, dall’aumento dell’astensionismo (quello del granducato fu uno dei più alti 10% registrati in Italia), ma anche dall’incremento di 127 mila voti conseguito dalla lista di Di Pietro, che recuperò consensi alla coalizione del centro-sinistra. E questa è una magra consolazione.
Il Pdl nel 2010 fu abbandonato da 95 mila toscani che nel 2005 avevano votato per FI ed An. La Lega aumentò però il suo bottino di 75 mila voti, consentendo alla coalizione di centrodestra di restare più o meno in equilibrio. Ed anche questo elemento non consola il Pd.
Il Presidente Rossi deve dunque valutare bene quali conseguenze ha comportato la politica praticata dai Ds e poi dal Pd nei confronti del centrodestra in Toscana. L’ex-presidente Martini dichiarò fallita quella politica, che pur lo ha coinvolto. La legge elettorale toscana, l’aumento dei consiglieri regionali e degli assessori, l’abolizione delle preferenze recano firme congiunte della maggioranza di sinistra e del centrodestra. Si tratta di provvedimenti che dettero la stura alla legge elettorale nazionale oggi inutilmente deprecata. Anche le lotte di piazza promosse dal Pd contro il Governo, furono bilanciate da accordi locali, per esempio per operazioni finanziarie (Hopa), per la ripartizione del potere bancario (Intesa-CrF, MPS-Antonveneta) e dall’enfatizzato accordo pre-elettorale pluriennale di programma sottoscritto dalla Regione e dal Governo. Insomma il risultato vittorioso, ma azzoppato, delle regionali 2010 pone interessanti quesiti che devono essere risolti e chiariti dentro al Pd toscano. Il cosiddetto mondo cattolico, «oggi disperso» in tutti gli schieramenti, partiti, fazioni, correnti e spifferi, è interessato a capire con nettezza i confini ideali e politici che distinguono, nei fatti, le coalizioni che dal 1994 si alternano al Governo del Paese e riflettere sulla «rilevanza marginale» che i cattolici «impegnati» giocano nel contesto regionale e nazionale.
Credo anch’io che il Pd, nonostante la netta vittoria alle regionali del 2010, abbia più di un motivo di riflessione. Come scrivevamo lo scorso anno a commento del voto, in Toscana l’insieme dei partiti ha perso 311 mila voti in appena 5 anni. Questo spiega i 70 mila voti in meno della candidata del centrodestra Monica Faenzi, rispetto ad Alessandro Antichi, candidato nel 2005, e i 129.600 persi da Enrico Rossi rispetto al suo predecessore Claudio Martini (che pure in quell’occasione non poteva contare sull’appoggio di Rifondazione). Ma i dati più impietosi sono quelli rispetto alle Europee del 2009: 242.360 voti persi dal Pdl (quasi un terzo), con la Lega che cresceva solo di 8.603 preferenze; stesso discorso per il Pd che lasciava per strada 164.210 consensi con l’Idv in crescita solo di 2 mila voti. La percentuale di votanti in Toscana era del 71,35% alle Regionali del 2005, si è impennata all’87,62% alle Politiche del 2008, per ricalare al 72,9% alle Europee dell’anno seguente e crollare al 61,3% del 2010. Che il richiamo per le Politiche sia maggiore di quello per le Europee è abbastanza logico. Ma che attragga di più il voto per l’evanescente e lontano parlamento europeo rispetto a quello per il nostro consiglio regionale è difficilmente spiegabile.
Come vede la riflessione dovrebbe coinvolgere entrambi gli schieramenti. Lei cita la legge elettorale toscana come esempio di «consociativismo»: il che di per sé non è neanche sbagliato, perché le regole del gioco è bene deciderle insieme. Il problema come abbiamo ripetuto fino alla noia su questo settimanale è che quella legge espropria i cittadini anche della pur minima possibilità di scegliere i propri rappresentanti in consiglio regionale: gli eletti sono tutti «designati» dai vertici dei partiti (qualcuno almeno attraverso il passaggio delle primarie) e anche gli equilibri tra maggioranza e opposizione a causa dei meccanismi di premi e soglie sono pressoché scontati, neutralizzando i piccoli spostamenti di voti. Sarà anche per questo che la disaffezione al voto è stata superiore alle regionali rispetto a politiche ed europee?