Cultura & Società
Il Paradiso di cartapesta. Santi immaginari creati dalla fantasia popolare
Occupandoci del mondo tradizionale italiano siamo venuti in stretto rapporto con le leggende religiose: di fronte al problema della veridicità abbiamo sempre distinto i due piani che spesso vengono confusi: quello della storia che ha la sua logica fatta di dati certi, date sicure, fatti documentati, teorie, interpretazioni plausibili.
Dante, quando vuole individuare il segreto d’una persona storica, la molla nascosta del suo essere, non usa la storia, ma la leggenda, come nel caso di Ulisse: scarta tutta l’Odissea e prende solo ciò che s’intravede del tempo che segue il suo ritorno ad Itaca creando la carta d’identità dell’uomo moderno, insaziato di conoscenza, di sapere, scoperte e verità.
Nel culto popolare dei Santi si è accumulato un consistente bagaglio di storie devote, pie finzioni, abbagli, sovrapposizione, confusioni che nulla hanno a che fare né con la storia, né con la leggenda, tendendo se mai ad apparentarsi con la superstizione, e di questo la Chiesa si è preoccupata per tempo, ad esempio con l’enorme opera in più di 60 volumi dei Bollandisti che ha messo in chiaro quello che c’è di storicamente attendibile o meno nella vita di ogni Santo. Ma il lavoro non è facile perché oltre ai credenti ci sono i creduloni ai quali piace di più il mirabolante che il miracoloso e quindi ci si trova spesso in mezzo a polemiche tra chi vorrebbe cancellare ogni segno di leggenda e chi invece tende a fabbricarne tutti i giorni. Un cumulo di accuse venute da correnti di pensiero interne ed esterne alla Chiesa hanno messo in fila fatti spesso incontestabili di errori insieme a travisamenti originati da amore di polemica la quale ha attaccato in particolare l’argomento dei santi inesistenti.
La riforma del 1969 ha fatto giustizia di quelle figure che si sapeva essere frutto di fantasia devota ed ha tolto dal calendario liturgico ufficiale molti santi di origine incerta assegnandoli ai culti locali, usando in certi casi anche la mano pesante. Molte nicchie si sono così trovate vuote, pur lasciando al culto spontaneo la venerazione di santi millenari o comunque tradizionali. Soprattutto le correnti antireligiose hanno battuto da secoli su questi punti deboli della religiosità rilevando gli errori che hanno prodotto abbagli e anche superstizioni. Così si è creato un paradiso spurio fatto di figure nate dal nulla, ovvero da fraintendimenti.
Conclamato è il caso di San Zopito, che è patrono di Loreto Aprutino. Nel 1711 furono mandate a Loreto le reliquie d’un martire sconosciuto sepolto a San Callisto e, fraintendendo le parole assopito in Dio, venne fuori San Zopito. Un’altra figura bersagliata senza pietà è San Gennaro, mentre l’esempio più vistoso pare essere Santa Filomena nata dalla ricomposizione dei pezzi della lapide che diceva Lumena pax tecum fiat (pace luminosa sia con te) che furono intesi come Filumena pax tecum. E così Santa Tecla sarebbe dovuta alla frase della preghiera alla Vergine ad [te cla]mamus, addirittura Santa Lucia: Lux perpetua [lucea]t eis.
Si sono analizzati i casi nei quali figure mitologiche o pagane si sono trasformate in santi cristiani come la dea Angizia in San Domenico di Cocullo, Perseo in San Giorgio e questi sarebbero casi più gravi, ma difficilmente le cose nascono proprio dal nulla e sempre si trova qualche elemento storico all’origine di una leggenda.
Il capitolo più fantasioso sul mondo dei santi tradizionali riguarda proprio espressioni che prendono le mosse da simili circostanze e chiamano in causa figure che sono state volutamente e coscientemente inventate dal popolo a fini espressivi, dando origine addirittura a modi di dire, frasi idiomatiche, proverbi su esseri questa volta sì inesistenti o controfigure di esistenti.
Da qui si può misurare l’importanza e l’entità della presenza dei nomi del martirologio cristiano nella vita quotidiana: basta pensare che quasi tutti portiamo il nome d’un santo, che molte cose vengono ancora indicate con nomi di santi: erbe, alimenti, località; oppure quanti animali sono associati ai nomi della Madonna o di Santi.
Un tempo, prima che nel calendario entrasse il sistema numerico, vale a dire l’assegnazione dei numeri mese per mese ai vari giorni, questi venivano indicati con il nome del santo del quale si celebrava la festa, per cui gli equivoci, i fraintendimenti, gli abbagli, gli errori erano frequentissimi specialmente tra gli analfabeti.
Gli studenti conoscono bene Santa Susina: un tempo la sua festa cadeva il primo di ottobre; ora con le varie riforme scolastiche la sua festa è diventata mobile: Per santa Susina ricomincia la scuolina, per questo è la santa meno amata dagli scolari. Anche San Copino a scuola ha ancora i suoi devoti che si raccomandano a lui per copiare.
Un caso a parte è San Tentennino: in diversi dialetti tentennino è il nome dell’infarto, del colpo secco, dell’accidente a ombrellino che prende una persona, o una parte del corpo e, nel caso di sopravvivenza riduce a una vita tentennante, precaria, ovvero a movimenti tremolanti degli arti. San Tentennino è detto appunto questo accidente, ovvero il santo che lo manda o lo protegge. Si dice: Ha avuto la visita di San Tentennino… Meno male che San Tentennino gli ha voluto bene che gli ha preso solo la parte sinistra!
Così spesso si dice: Santa Regala è morta da un pezzo, oppure Santa Regala è morta, e Santa Donata è in agonia. Santa Impresta e Santa Regala furono nella mente dei buontemponi due pie sorelle: la festa della prima cade il 29 febbraio (raramente); quella della seconda il 30 (mai).
San Bellino sarebbe il giorno in cui si pagano i conti, in quanto questa festa non compare in nessun calendario: è la data preferita da coloro che dilazionano il pagamento dei loro debiti, mentre altri preferiscono fissare le restituzioni per il giorno di San Bindo, che è quanto dire alle calende greche, in quanto la festa cadrebbe tre giorni dopo il Giudizio Universale. Bindoli si chiamano appunto coloro che non pagano i debiti. Meno invocati, ma comunque provvidi in tali occasioni sono i fratelli San Pagamai, Pagherò e San Maipiù che festeggiano il loro ingresso nel regno celeste per le Capre Giovanne, altra ricorrenza che non ricorre mai: non si sa cosa indichi quest’espressione forse è una storpiatura di una frase latina. A Roma dicono: Er giorno de li chiodi e la vigija de le bullette.
Nel mondo degli affari si muovono anche altre figure di spicco che si occupano di vertenze legali. San Donato, per esempio, rompe la testa a San Giusto, cosa che non starebbe bene nel caso che fossero i noti santi del calendario, ma qui s’intende dire che le donazioni corrompono e deviano la giustizia. San Donato perciò si vuole patrono di coloro che addolciscono i rigori della legge con qualche regaletto e sembra in via di beatificazione anche una nuova Beata Bustarella.
Anche San Magno opera nel ramo: è un altro santo che ce l’ha con San Giusto. Magno si riferisce a magnare, «mangiare», nel senso di prendere soldi o altro facendosi corrompere. San Magno mette nel sacco San Giusto. Inoltre: San Magnone è nato prima di Nostro Signore: la necessità impellente viene prima dei principi morali e religiosi. Magnone può rappresentare sia la grande necessità, sia la grande avidità.
Con sorpresa in questo settore economico si trova un replicante di San Giovanni Boccadoro. Quest’ultimo grecamente è San Crisostomo, vero grande santo padre della Chiesa, ma la gente nel nome di Boccadoro vede un altro fantastico e concreto nemico di San Giusto. Infatti si dice che San Giovanni Boccadoro tappò la bocca a San Giusto con un neccio (dolce di castagne) caldo! Si dice a Lucca, ma è vero dappertutto.
Completa il quadro Santa Miseria o Miserina la quale si segnala per molte vicende personali ricordate da vari detti: non ebbe mai parenti, non la volle nessuno, morì zitella, non la presero neanche in convento, si sta cucendo il corredo, aspetta ancora alla porta del paradiso.
Sant’Onofrio è un vero santo, che la gente però ricorda come poverissimo, patrono di quelli che non hanno neanche brache da infilarsi addosso: Aver quattrini quanti Sant’Onofrio che non aveva neanche le tasche dove metterli. Questo è avvenuto perché il santo viene rappresentato nelle vesti d’antico romano e come tale, non ha calzoni, ovvero si presenta eremita nel deserto, seminudo, coperto solo da una lunghissima e folta capigliatura. A Roma dicono quando uno non ha soldi: Stare a quattrini come Sant’Onofrio a calzoni.
San Francalosso, patrono dei poveri in canna, è stato quasi dimenticato. Resta una notizia sulla sua vita esemplare: San Francalosso quello che aveva lo portava addosso e non ha avuto neanche una cappella.
San Quintino era un frate zoccolante tanto povero che, non avendo campane, sonava a messa battendo sulle tegole: San Quintino sonava a messa con le tegole e tutti facevano i sordi: nessuno seguiva il richiamo perché non aveva nulla da dare.
Santa Povertà è invocata da molti e fuggita da tutti. È una patrona veramente strana.
Il Beato Brandano, realmente esistito, fu un girovago nativo di Petroio, che percorse tutta la Toscana predicando e segnalandosi per un abbigliamento decisamente grunge fatto di cenci. È acclamano patrono di chi è vestito alla meglio, rattoppato, trasandato in quanto: Il Beato Brandano aveva addosso più toppe che vestito.
Santa Popaghiotta! È invocazione o esclamazione generica, ma usata soprattutto coi bambini quando fanno qualche guaio o si fanno male mangiando qualcosa di poco salutare. Non si sa chi fosse.
Santa Candelora cade di domenica e di giorno di lavoro: ma a cadere non è la festa, bensì qualcos’altro quando si vede un bambino che ha il naso sporco.
Sant’Erode (in questo paradiso c’è posto anche per lui) viene invocato dai grandi contro i bambini noiosi quando piangono e le mamme li lasciano fare: Benedetto Sant’Erode! Lui si che ci sapeva fare! Le mamme sentono e si chiudono in un furibondo silenzio. C’è anche La ninna-nanna di S. Erode che allude a quei metodi spicciativi per far star zitto chi dà fastidio. Te la farei io la ninna-nanna di SantErode!
San Luca (fittizio) fa miracoli da nulla: I miracoli di San Luca: un topo nella paglia che non acceca; un pesce in mezzo al mare che non affoga.
In Toscana era molto onorato Sant’Alò che sembra da identificarsi con Sant’Eligio pronunciato alla francese. Ad Arezzo alò è parola comune che equivale a suvvia. È famoso per un miracolo strepitoso, infatti Sant’Alò prima morì e poi s’ammalò. Come tale è patrono di tutti coloro che si lamentano di malattie inesistenti, malati immaginari. Poi ci sono tanti fatti per cui è celebrato: Sant’Alò piantava i chiodi nei buchi già fatti. Sant’Alò si bruciò il dietro e la camicia no! E infine: Sant’Alò lasciò il mondo come lo trovò! Si dice di chi pretende di cambiare quello che è rimasto sempre uguale.