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Il Papa, Putin, l’incontro annullato e l’esigenza di cercare vie di pace

Siamo ormai abituati a sentire le parole di Papa Francesco, i suoi appelli contro la guerra. La gentilezza e la fermezza, in alcuni casi, con la quale si rivolge ai suoi interlocutori non fa più notizia. Eppure ogni volta ci sorprende la sua franchezza.

È successo anche martedì scorso nell’intervista che ha rilasciato al Corriere della Sera. Lui a Mosca, a parlare con Putin, a chiedergli di fermare la guerra ci andrebbe di corsa, nonostante il dolore al ginocchio che gli impedisce molti movimenti.

E questa sua intenzione a Mosca la sanno da tempo: almeno da metà marzo, «certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina» sottolinea. Parole che zittiscono quanti, per la verità non molti, si chiedono perché la Chiesa non interviene. Per incontrarsi bisogna essere in due e su questo papa Bergoglio è pure più chiaro: «Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla?». Ci sembra spieghi bene quanto sta avvenendo in Ucraina e a Mosca, dove vive anche il patriarca della Chiesa ortodossa Kirill con il quale invece lui ha avuto un lungo colloquio on line. Dopo averlo ascoltato per 20 minuti, mentre giustificava la guerra, gli ha risposto: «Fratello noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin».

Parole forti, chiare che dicono tutte le difficoltà del momento, e perché è stato annullato l’appuntamento fissato per giugno tra i due. E se è vero che la posizione di Bergoglio sulla corsa agli armamenti non è cambiata, il Papa, quando gli viene chiesto se sia giusto fornire armi agli ucraini, si ferma: «Non so rispondere, sono troppo lontano…». Nessun dubbio invece sul fatto che «le guerre si fanno per provare le armi che abbiamo prodotto» e il problema, sembra ricordare, è a monte. Lui insiste: «Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anch’io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso». Però, «Se Putin aprisse la porta…». Una porta che purtroppo per ora resta chiusa mentre dall’interno si continua a lanciare messaggi di morte.