Vita Chiesa
Il Papa: «Per favore non lasciamoci rubare l’amore per la scuola»
Tornare tra i banchi, con il cielo e il sole al posto del soffitto. Tutti insieme, senza etichette o distinzioni perché la scuola pubblica è statale e paritaria. Piazza San Pietro, oggi, è una grande aula in festa, abitata da tre generazioni: studenti, insegnanti, genitori. Non era mai accaduto che il mondo dell’educazione al completo si radunasse intorno al Papa. E Papa Francesco non ha deluso le attese. “Questo incontro è molto buono, un grande incontro della scuola italiana, tutta la scuola”, ha esordito. “Si vede che questa manifestazione non è contro, è per”, ha esclamato quasi rivolgendosi a ciascuno dei presenti: “Non è un lamento, è una festa! Una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno. Ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola”. “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!”, il suo appello di congedo.
Dall’“I care” di Barbiana al “We care” di Roma e dell’Italia. Perché il futuro del Paese passa da qui: dalla passione per l’educare. A testimoniare che “la Chiesa è per la scuola”, come recita il titolo dell’appuntamento di oggi, sono le oltre 300mila persone che hanno gremito piazza san Pietro e via della Conciliazione. Alle 14.30, solo mezz’ora dopo l’apertura dei varchi, la piazza era già tutta piena. Ha cominciato ad animarsi alle 15, con l’esibizione dal palco degli artisti seguiti dalle testimonianze. Colore dominante: il blu delle migliaia di fazzoletti sventolati a più riprese. Variopinti i cappellini degli studenti di tutte le età, dai 1.500 bambini delle scuole dell’infanzia fino agli agguerriti ragazzi dei licei. Fantasiosi e spiritosi gli striscioni. Uno per tutti: “Papa Francesco pensaci tu: brutti voti non ne vogliamo più”. Alle 16.15, puntuale, la jeep bianca scoperta con il Papa ha fatto il suo ingresso nella piazza: tre quarti d’ora la durata del “bagno di folla” da san Pietro fino alle sponde del Tevere. Poi il momento di spettacolo con attori come Max Giusti, Giulio Scarpati, Veronica Pivetti, e cantanti del calibro di Francesco Renga e Fiorella Mannoia. Ma anche saliti di recente all’attenzione del grande pubblico, come Niccolò Agliardi, autore della colonna sonora di “Braccialetti rossi”.
Il segreto della scuola? “Imparare a imparare”. Ne è convinto il Papa, che nel suo discorso ha rivelato: “Io amo la scuola, l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante, e poi da vescovo”. Poi una confidenza, fuori testo, per spiegare che “non si cresce da solo, c’è sempre uno sguardo che ti aiuta a crescere” : “Ho un’immagine, l’immagine del mio primo insegnante, quella maestra che mi ha preso a sei anni al primo livello della scuola. Mai ho potuto dimenticarla, lei mi ha fatto amare la scuola e poi io sono andato a trovarla durante tutta la vita, fino a quando è venuta a mancare, a 90 anni. Amo la scuola perché quella donna mi ha insegnato ad amarla”. La scuola, ha proseguito il Papa, è un luogo dove “nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza”. “Ma se uno ha imparato a imparare, questo gli rimane per sempre”, come insegnava “un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”. “Se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante”, ha ammonito Francesco, e i ragazzi “hanno fiuto” per quegli insegnanti che “contagiano” gli studenti. Scuola come “luogo di incontro fondamentale nell’età della crescita”, come “complemento alla famiglia, perché “la famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte”, devono collaborare “nel rispetto reciproco”. “La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, del bene e del bello”, perché “l’educazione non può essere neutra: o è positiva o è negativa, o arricchisce o impoverisce, o fa crescere la persona o la deprime”.
“È più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca”. È la frase, detta poco prima dal campione olimpico Juri Chechi, che il Papa ha chiesto alla folla di ripetere con lui. Poco prima, una analoga richiesta per un proverbio africano “molto bello”, che recita: “per educare un figlio ci vuole un villaggio”. E ancora, sempre a braccio: “la scuola non è un parcheggio, ma un luogo di incontro e di cammino, e noi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro”.
Le tre lingue della scuola. “Si educa per conoscere tante cose importanti, per avere certe abitudini e anche per assumere certi valori”, ha ricordato il Papa nella parte finale del suo discorso, dove ha abbandonato definitivamente il testo per descrivere “le tre lingue che una persona matura deve saper parlare”, grazie alla scuola: “la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani, ma armoniosamente. Pensare quello che tu senti e quello che tu fai, sentire quello che tu pensi e quello che tu fai e fare bene quello che tu pensi e quello che tu senti”.
“La vera educazione ci fa amare la vita e ci apre alla pienezza della vita”. Parola di Papa. Una missione impossibile, senza la sapiente ed esigente arte del dialogo e della prossimità. Senza la voglia di spendersi, ognuno per la propria parte. “I problemi della scuola sono strutturali”, ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, salutando il Papa e definendo la scuola “un tassello decisivo nella costruzione della città dell’uomo”. “Non scommettete su quello che farete, ma su quello che sarete”, il consiglio agli studenti del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Ogni mattina – ha ricordato – 22.500 scuole statali e paritarie aprono le porte ad otto milioni di studenti e ai loro insegnanti. “In questo modo, l’Italia cresce ogni giorno”. Ma “è un esercizio quotidiano che non fa rumore”.