Opinioni & Commenti
Il Papa in Usa ha fatto l’ecografia al pianeta
Il primo Papa che toccò il «suolo americano» fu Pio IX. Nel 1949 papa Mastai volle salire a bordo della fregata americana USS Constitution ancorata nel porto di Gaeta. Per tutta risposta il governo americano deferì il capitano della nave alla corte marziale. L’episodio ricordato dal libro di Massimo Franco uscito in questi giorni serve a fare tenere presente la diffidenza storica se non l’ostilità profonda contro il papato di una nazione nata dalla costola più radicale del protestantesimo. E, al di là di tutte le dicerie che sono fiorite sulla alleanza tra il Vaticano e la Casa Bianca durante la guerra fredda, la presa di distanza verso un potere sospettato di volere intromettersi negli affari di un paese protestante se non massone è durata incredibilmente nel tempo tanto che nemmeno un presidente «cattolico» come Kennedy volle stabilire relazioni diplomatiche con il Vaticano e il primo ambasciatore statunitense accreditato presso la Santa Sede giunse a Roma appena trenta anni fa.
Solo per questo passato che ha rovesciato papa Francesco che parla applaudito al Congresso ed è accolto dalla popolazione americana come una superstar inseguita dalle televisioni ed effigiata perfino con i biscotti rappresenta un avvenimento storico. Ma il coraggio di Francesco è andato ancora più in là. Proprio per questa suscettibilità del mondo politico americano contro l’intrusione di un potere religioso nelle sue questioni domestiche in passato ai papi che visitavano gli States veniva consigliato di non pronunciarsi su questioni di politica interna, ma di intrattenersi semmai sulle questioni più generali della politica estera. Al contrario Francesco anche davanti al Congresso ha voluto toccare due punti, come la pena di morte e il commercio delle armi, che riguardano gli Usa in prima persona e macchiano l’orgoglio di una nazione che si dice patria dei diritti umani oltre che minare la responsabilità e la credibilità dello stato più potente del mondo non solo nella ricerca della pace, ma anche nella gestione delle crisi più gravi (le armi che gli americani hanno dato al neoesercito iracheno squagliatosi al sole hanno equipaggiato l’Isis facendone un esercito). E il Papa è entrato cosi direttamente nella attualità della politica americana che, certamente al di là del suo volere, il suo discorso è riuscito addirittura a riequilibrare la larvata preferenza di almeno una parte dell’episcopato e del cattolicesimo americano verso i repubblicani dando un appoggio implicito ad alcune delle battaglie di Obama sulla povertà, sull’ambiente, sulle migrazioni, sul trattato nucleare con l’Iran, sul riavvicinamento a Cuba, cioè su una serie di temi che trovano invece molte resistenze o diffidenze nel cosiddetto Old Party.
E anche nel suo discorso all’Onu il Papa non ha avuto paura della concretezza. La sua richiesta di «casa, lavoro, terra» a prima vista può sembrare uno slogan d’antan di poveri peones sudamericani. E invece nella crisi attuale questi bisogni diventano addirittura simboli oltre che diritti. La casa intesa non solo come tetto, ma anche come patria, diventa la prima risposta che dobbiamo cercare di dare ad una umanità che non sta più ferma, ma si muove quasi ovunque con milioni di profughi lasciati spesso sotto un cielo da cui non piove nessuna manna. Il lavoro diventa sempre più la grande universale emergenza del futuro in un epoca in cui l’occupazione legata alla crescita sembra sempre più apparire una fortuna del passato e in cui perfino gli economisti ormai temono che anche l’uscita dalla crisi, quando e se ci sarà, avvenga permanentemente e per sempre con la ripresa delle borse, ma non della occupazione in un capitalismo che non tornerà più ad essere quello dei «gloriosi» anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. E la terra, nel momento in cui l’inquinamento e i cambiamenti climatici la stanno sempre sottraendo sotto i piedi degli uomini che ormai si avvicinano a toccare su tutto il globo i dieci miliardi, sarà il bene raro e prezioso per eccellenza di domani, quello con cui si deve cercare di spezzare un po’ di pane per tutti e per i tanti che ci saranno.
In genere i discorsi dei papi all’Onu hanno segnato per così dire il loro tempo e per certi versi ne sono stati anche lo specchio . Il discorso di Paolo VI in piena guerra fredda fu una invocazione accorata e categorica alla pace. Il primo discorso di Giovanni Paolo II in piena crisi del comunismo fu una rivendicazione dei diritti umani. Il suo secondo in piena guerra nella ex- Jugoslavia fu la messa in guarda contro i risorgenti nazionalismi. Il discorso di Benedetto XVI pronunciato nel periodo delle grandi guerre civili, soprattutto in Africa, fu una invocazione alla responsabilità universale di proteggere dovunque le popolazioni. Ora anche questo papa si tuffa nel presente, ma anche per la sua storia e per la sua cultura guarda dal Sud anziché da Nord, parla con le cose e non con le perifrasi, si china sul semplice prima che sul complesso, ha davanti agli occhi le persone più che le idee, la natura più che la storia, la vita più che i sistemi. E la sua visione è anche per questo concreta, più completa, più attenta ai poveri dove stanno di casa, più interessata alla ecologia che non spiega il Sud senza in Nord e viceversa. Si potrebbe dire che ora abbiamo non una fotografia, ma una ecografia del pianeta e vediamo più a fondo dove prima sapevamo non per un vissuto, ma per un bene o male raccontato.