Opinioni & Commenti
Il Papa in sinagoga, nel solco di Wojtyla, ma in un’ottica più «teologica»
di Giulio Conticelli
Il 17 gennaio 2010 il Vescovo di Roma Benedetto XVI incontrerà la comunità ebraica romana con la visita alla Sinagoga: è un incontro che avrà il nucleo centrale nella preghiera comune che sarà di cristiani e di ebrei, espressione della vocazione irrevocabile che il popolo ebraico ha ricevuto e che i cristiani condividono. Questo evento sollecita immediatamente la memoria della visita che il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II compì nella stessa Sinagoga: era la prima volta che un Papa si recava in una comunità ebraica.
È grande l’aspettativa per comprendere i nuovi passi che si compiranno nel dialogo ebraico cristiano da parte di Papa Ratzinger: ci sono molte premesse, ed in particolare deve essere ricordato un documento che Joseph Ratzinger introdusse nel 2001, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, elaborato dalla Pontificia Commissione Biblica. Si deve rileggere l’introduzione che, con forti citazioni patristiche, Ratzinger formulava riguardo al rapporto tra Antico e Nuovo Testamento: «un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento non solo [ ] avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un rapporto positivo fra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune [ ] la lettura giudaica della Bibbia è una lettura possibile, che è in continuità con le sacre Scritture ebraiche dell’epoca del secondo tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa (n. 22). A ciò aggiunge che i cristiani possono imparare molto dalla esegesi giudaica praticata per 2000 anni; a loro volta i cristiani sperano che gli ebrei possano trarre utilità dai progressi dell’esegesi cristiana (ibidem). Io penso che queste analisi saranno utili per il progresso del dialogo giudeo-cristiano, ma anche per la formazione interiore della coscienza cristiana».
Papa Wojtyla ha portato, nel cammino del dialogo ebraico cristiano aperto dal Concilio Vaticano II con la Nostra Aetate (n. 4), l’esperienza drammatica della sua terra polacca invasa dai nazisti e destinata ad accogliere il dramma dei forni crematori: Wojtyla era nato in un villaggio dove un quarto dei compaesani era di origine ebraica, e fu una parte di popolo sterminata nell’Olocausto. Giovanni Paolo II portava quindi nella sua spiritualità la sofferenza del popolo ebraico come una vicenda personalissima, che aveva inciso sulla sua psicologia e che aveva costituito il lievito del gesto davvero millenario della visita di un Pontefice agli ebrei romani nella Sinagoga.
Papa Benedetto XVI si situa in una linea diversa, legata alla sua prevalente attività accademica, che lo ha condotto a sottolineare maggiormente il dato teologico e, in certo modo, lo statuto teologico dell’ebraismo con il cristianesimo. La provenienza del Pontefice Benedetto XVI dall’episcopato tedesco, soprattutto negli anni delle vicende post-conciliari che coinvolsero la cultura tedesca nella riflessione critica sul dramma del nazismo da un lato, e poi sulla deriva totalitaria comunista durata sino al 1989 dall’altro, lo ha condotto a ricercare i fondamenti assoluti del valore della persona umana, della sua dignità sociale e della inviolabilità dei suoi diritti, quale struttura portante anche per il dialogo con l’ebraismo oggi. In papa Ratzinger i cammini comuni dell’esegesi biblica, che sono stati percorsi in più di quattro decenni dopo il Concilio Vaticano II, lo hanno determinato alla forte riflessione razionale della fede cristiana, inclusiva dell’universalità del valore della persona umana. Questa struttura intellettuale è l’approccio peculiare che caratterizza ora l’azione del Vescovo di Roma anche nel dialogo interreligioso: l’incontro nella Sinagoga del 2010 potrà essere uno sviluppo ulteriore di quella riflessione, in parte anticipata già nei discorsi con i rappresentanti delle comunità ebraiche nelle visite in Germania e in Francia.