Lettere in redazione

Il Papa e l’arcobaleno su Auschwitz

Alcuni anni fa Benedetto XVI fu pellegrino ad Auschwitz e l’evento fu teletrasmesso. Tutto il mondo potè udire le parole del Santo Padre ed assistere, in diretta tv ad un evento coinvolgente. Il Santo Padre, inginocchiato di  fronte al Sacrario di Auschwitz, disse a chiara voce «Dio, dove eri?» e, in quel momento del giorno piovoso e ventoso, sullo shermo della tv apparve ben visibile l’Arcobaleno dell’Alleanza di Dio!

Personalmente ne rimasi colpito e il ricordo di quel momento mi è caro ancora oggi ma una riflessione mi impone di chiedere: perché nessuno ha mai parlato, valutato, criticato le Parole del Santo Padre? Perché non ha avuto risalto questo evento? Perché non si è parlato dell’evento successivo? Per opportunismo? Per la politica del quieto vivere ? Perché le Parole del Santo Padre erano esplosive come bombe atomiche?

Dopo Auschwitz è stato detto «non è più possibile credere in Dio» ma è stato anche detto «dopo Auschwitz non è più possibile non Credere in Dio». Quale ci convince di più? E in questo mondo materialistico la mia scelta è di essere di Dio!

Ennio Borghiniindirizzo email

La sua lettera, caro Borghini, ci dà l’occasione per ricordare il pellegrinaggio che Benedetto XVI fece ai campi di sterminio di Auschwiz-Birkenau nel giugno 2008, in occasione del suo viaggio in Polonia. Molti di noi hanno ancora negli occhi e nel cuore le riprese silenziose e i primi piani della televisione, che ci aiutarono a cogliere di quell’evento tutto il significato.

Il Papa varca da solo il cancello di Auschwitz, il seguito sta ad una certa distanza: è raccolto, pensoso. Si percepisce che sente tutto il peso del male che il luogo evoca. Peso opprimente per ogni uomo e per ogni cristiano. E il Papa, che proviene dalla Germania, in quell’incedere solitario sembra farsene carico, veramente l’alter Christus che sente e prende su di sé il peccato del mondo. È una percezione che aumenta nelle successive tappe: il «muro della morte», il «blocco 11», nei cui sotterranei si trova la cella dove è morto san Massimiliano Kolbe. Sono tappe segnate da un grande silenzio, poche e essenziali anche le parole che il Papa scambia con un gruppo di sopravvissuti. Solo il suo volto «parla» e «comunica» emozioni forti, che qui nascono e interpellano la nostra fede che, di fronte a tanto male, si muove tra il fiducioso abbandono e i ricorrenti perché.

C’è poi il lento incedere lungo le lapidi che ricordano tutti i gruppi etnici che in quel luogo trovarono la morte. Presso ognuna si ferma in silenziosa preghiera. Senza fretta perché davanti al dolore non si può essere frettolosi. Nel frattempo – fu notato da tutti – la pioggia, che fino ad allora era caduta, cessa e in cielo compare l’arcobaleno, che i più colgono come un’apertura alla speranza, che è affidata alle nostre mani e ci spinge, sono parole del Papa – «a portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette, di fronte all’orrore che la circonda, sulle labbra di Antigone: sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare». È stata davvero una bella pagina di storia, che a suo tempo fu molto commentata e positivamente e che soprattutto fa riflettere.

Molte istituzioni della nostra Regione – ma credo anche di altre – organizzano periodicamente per gli studenti delle scuole superiori delle visite a questi campi di sterminio. Non certo per continuare o iniziare a odiare, ma per prendere coscienza di tanto male, voluto, pensato e diabolicamente perseguito e per ripetere con convinzione nelle varie situazioni le parole che Sofocle mette sulla bocca di Antigone: «Siamo qui non per odiare insieme, ma per amare insieme».