Vita Chiesa

Il Papa e la matematica

di Lorella Pellis«Lo stupore, ecclesiale ed extraecclesiale, per quanto affermato da Benedetto XVI a Verona nel corso del convegno ecclesiale nazionale a proposito di ragione e scienza, matematica e intelligenza è sintomatico e ci deve fare riflettere. La forza dell’apporto magisteriale del Papa risiede nel fatto che esso contrasta deliberatamente l’oblio, diffuso nella cultura e pastoralità cattolica (e, spesso, nella riflessione teologica), riguardo al ruolo insostituibile della razionalità e dei saperi positivi nella vita della Civitas Dei». Pietro De Marco, sociologo della religione all’Università di Firenze e alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, non ha davvero peli sulla lingua: la spaccatura – se non addirittura lo scontro – tra fede e ragione che il Pontefice tenta (e non da ora) di ricucire, sarebbe frutto non tanto – o non solo – delle posizioni laiciste che affondano le proprie radici nell’Illuminismo, quanto di «tante culture postconciliari che hanno costruito l’identità cristiana sui soli vissuti di fede-comunione, interpretando l’armonia fede-ragione come recezione acritica dei prodotti della ragione elaborati fuori da questo stesso rapporto».

A questo proposito lo stesso Maritain, ricorda il professore, si era espresso con ironia nell’immediato post-Concilio (1966): “Nel passato – affermava infatti – filosofi e teologi saranno stati stupidi, e qualcuno di noi lo sarà ancora, ma le cose stanno comunque così: tra fede e ragione, come tra grazia e natura, vi è distinzione senza separazione”.

Non a caso «Benedetto XVI – spiega ancora De Marco – invita a non subire, ma a sentire nostri (cristiani), i compiti della ragione e delle scienze, ad “allargare gli spazi della nostra razionalità”. Come? “Coniugando tra loro la teologia, la filosofia e le scienze (…) nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme” (discorso di Verona). E questa è certamente la via maestra del “restituire alla fede cristiana piena cittadinanza” nella cultura contemporanea. Invito essenziale, che suppone e vuole un ritorno all’uso dei saperi nell’orizzonte del Logos, entro la vita della Chiesa». Una preoccupazione, come dicevamo, non certo nuova per l’attuale Pontefice. «Nei magnifici colloqui di fine millennio con Peter Seewald – ricorda infatti il sociologo – l’allora cardinale Ratzinger (cfr. Dio e il mondo, San Paolo, 2001, pp.123ss.) aveva anticipato il Benedetto XVI di Regensburg e Verona: “Secondo la concezione cristiana del mondo, (…) la sua origine prima starebbe nel Logos. Da questo punto di vista (il mondo) racchiude in sé una logica, e certo non soltanto una logica matematica – nessuno potrebbe negare che il mondo sia strutturato secondo leggi matematiche –, quindi una logica neutrale e oggettiva ma, proprio in quanto Logos, una logica anche morale”. E proseguiva: “La creazione stessa ci indica come comprenderla e accettarla. (…) La fede ci permette di decifrare con chiarezza la presenza, nella logica della creazione, di un messaggio non solo matematico ma anche morale”. Più oltre (p.163) affermava con forza: “Se nel mondo non vi fosse senso, neppure potremmo attribuirglielo dall’esterno”. È l’istanza metafisica cristiana che universalizza, secondo ragione, la fede-fiducia nel Logos creatore e nello Spirito ordinatore. Tutto ciò è assolutamente classico, nonché essenziale, nella tradizione cattolica; appartiene a quella che dovremmo riprendere a nominare, sulla scorta delle massime intelligenze del Novecento cattolico, “filosofia cristiana”. E infatti se ne trova un’accorta formulazione all’interno del Catechismo della chiesa cattolica, nella sezione sulle “vie” (nn. 31ss.)».

Sostanzialmente d’accordo è anche Tito Arecchi, docente di Fisica all’Università di Firenze, che anzi sottolinea come Benedetto XVI si sia espesso «in continuità con una linea metodologica che aveva già impostato trentacinque anni fa nella sua Introduzione al Cristianesimo». Rispetto a De Marco, Arecchi mette l’accento sugli «argomenti correnti – e un po’ inflazionati – nel dibattito fra scienza e fede» , quali il «principio antropico» e il «progetto intelligente», che «consistono nel postulare, il primo, che le costanti numeriche delle leggi di forza che regolano il cosmo siano aggiustate in modo delicato per rendere possibile l’arrivo dell’uomo sulla Terra; il secondo, che i processi evolutivi non siano lasciati al caso, ma guidati dalla Provvidenza che interviene direttamente (e non solo, come diceva san Tommaso d’Aquino, attraverso le cause seconde)». Principi «entrambi non giustificabili all’interno del programma scientifico», che «pertanto possono suscitare perplessità o anche irrisioni da parte dei non credenti».

«Invece – spiega il professore – Benedetto XVI mette il dito sul cuore del programma scientifico, cioè sulla corrispondenza fra le nostre costruzioni mentali e le strutture dell’universo, armonia che implica necessariamente la derivazione dallo stesso Logos. Se si rifiuta questa attribuzione, che è la base della nostra fede, bisogna in ogni caso prendere atto di questa armonia, ma si resta stupiti e privi di spiegazioni: come Einstein diceva il 27 gennaio 1921 all’Accademia Prussiana delle Scienze: “…questa irragionevole efficacia della matematica nella scienza… è un enigma”. Dunque, chi rifiuta l’argomento del Papa a Verona ha deciso di rifugiarsi nell’enigma». La base del fare scienza oggi – conclude Tito Arecchi – è racchiusa in una frase di Aristotele: “Per Talete la domanda primaria era non Che cosa conosciamo? ma Come lo conosciamo?”. È bene ricordarsene, specie di questi tempi in cui qualche imprudente – come Stephen Emmott, responsabile europeo della Microsoft – va dicendo nei recenti Festival della scienza che nel 2020 un super-computer avrà rimpiazzato gli scienziati…».

Secondo Guido Zappa, professore emerito di Matematica all’Università di Firenze, le considerazioni legate alla matematica e alla scienza che Benedetto XVI ha inserito nel suo discorso a Verona fanno riflettere ancora una volta sul rapporto tra pensiero umano, studio della natura, esistenza di un Logos creatore. «In generale – afferma Zappa – l’affermazione culturale degli uomini di Chiesa ha carattere prevalentemente umanistico e raramente si riscontra in essi una adeguata valutazione dell’importanza delle scienze esatte. Il Pontefice, nel suo programma indirizzato a ristabilire il rapporto tra fede e ragione, ha rivalutato, in questo percorso, l’importanza delle scienze in generale e della matematica in particolare. Naturalmente – prosegue il professore – l’accettazione delle conseguenze di un ragionamento filosofico, come quello svolto dal Papa, dipende dall’ammissione di alcuni postulati ma mi sembra che quelli da cui egli parte siano facilmente accettabili. Anche l’accettazione delle teorie evoluzionistiche non è in contraddizione con la concezione di un disegno intelligente. Si può pensare che il Creatore abbia stabilito le leggi della natura in modo tale che la selezione naturale potesse svilupparsi e dar luogo alle meraviglie degli esseri viventi. Con leggi diverse, l’evoluzione non avrebbe avuto luogo. Non vi sono motivi per porre limitazioni alle conoscenze scientifiche, sia a quelle di tipo astratto come la matematica, sia a quelle sperimentali. L’unico limite – secondo Zappa – si presenta nel caso di sperimentazione sull’uomo. Quando si tratta invece di scienza applicata, bisogna essere più attenti. Può darsi che certe applicazioni forniscano un vantaggio oggi, ma creino seri problemi domani».