Opinioni & Commenti
Il Papa apre alla Cina nella speranza che la Cina si apra alla libertà religiosa
di Romanello Cantini
La Cina col suo miliardo e mezzo di abitanti rappresenta la quarta parte dell’umanità. Durante questo secolo con la sua crescita economica da gigante sarà la seconda, se non la prima, potenza mondiale. A Pechino, quasi sempre con il cappello in mano, fanno la coda Capi di Stato e di Governo anche occidentali a caccia di un mercato in cui, come dicevano a suo tempo La Pira ad Enrico Mattei, anche se vendi una cravatta ad ogni cinese fai un affare colossale. L’anno prossimo a Pechino si terranno le Olimpiadi che sono da sempre simbolo di fratellanza e di pace universale fra tutti gli uomini.
A maggior ragione meraviglia che in un paese così grande, così sotto il fuoco dei riflettori e così ufficialmente omaggiato a livello universale, ci siano ancora problemi che stanno sotto le polemiche ricorrenti sulla concorrenza sleale e sulla contraffazione e che sono pur sempre, seppure con l’inevitabile aggiornamento ai tempi moderni, problemi di persecuzione religiosa e persino di condizione catacombale. La violazione della libertà religiosa non riguarda solo i cattolici e i cristiani, ma ogni esperienza spirituale, dai buddisti del Dalai Lama ai musulmani delle regioni come lo Xinjiang. Ma è soprattutto contro i cattolici che le intimidazioni, gli arresti e le pratiche di «rieducazione» continuano ancora oggi.
Il 18 marzo scorso, per esempio, è stato arrestato e probabilmente recluso in un «campo di rieducazione» il giovane vescovo della chiesa di Zhuzhi, Wu Qinjin. Il vescovo Jia Zhiguo, ormai settantenne e che ha passato già venti anni della sua vita in stato di detenzione, è stato di nuovo arrestato il 5 giugno scorso.
Un altro vescovo della diocesi di Wenzhu, Lin Xili, è praticamente agli arresti domiciliari da otto anni.
La Chiesa cinese non è più sottoposta ad una repressione massiccia e brutale come al tempo di Mao quando i cattolici cinesi si ridussero a soli cinque milioni. Dopo la relativa liberalizzazione degli inizi degli anni Ottanta il richiamo religioso ha ripreso vigore e oggi i cattolici di questo sterminato paese sono forse vicini ai venti milioni, per poco più di un quarto fedeli alla cosiddetta «chiesa patriottica» approvata dal regime e per il resto fedeli al Papa e alla Chiesa di Roma.
La novità in questa situazione di stallo non è venuta da Pechino, ma proprio da Roma. Il Papa nella sua recente «lettera ai cristiani cinesi» ha aperto in direzione della «chiesa patriottica» e ha riproposto una riconciliazione fra le due chiese. Continuare a considerare i membri della Chiesa approvata dal regime come degli opportunisti o addirittura degli «apostati» appare sempre più profondamente ingiusto. Prima di tutto perché talvolta anche i membri della stessa «Chiesa patriottica» sono stati duramente perseguitati come il famoso vescovo di Shangai, Jin Luxian, che è stato condannato a trenta anni di campo di concentramento. E in secondo luogo perché per molti l’accettazione della chiesa ufficiale è stata in buona fede un pedaggio da pagare per poter continuare a praticare un minimo di predicazione e di culto. La lettera del Papa sembra ora aprire anche nella direzione di potere accettare dei vescovi che abbiamo anche l’approvazione del governo cinese. Non è certo la prima volta che la Chiesa, in casi estremi, si avventura anche nella via di concessioni parziali di questo genere. Non diversamente si comporterà la famosa Ostpolitik del cardinale Casaroli quando, prima della fine dei regimi comunisti, cercò comunque di riempire il vuoto delle diocesi dell’Europa orientale in fatto di vescovi.
In ogni caso il problema centrale non è tanto oggi quello di un possibile «gallicanismo» cinese. È semmai quello per tutti di una effettiva libertà religiosa che permetta, ad esempio, alla Chiesa e alle chiese di far sentire la propria voce anche in tema di diritto alla vita e di diritto alla dignità umana per questa quarta fetta dell’umanità che ne sente particolarmente il bisogno.