Opinioni & Commenti

Il Papa all’Onu, un forte richiamo al rispetto dei diritti umani

di Romanello Cantini

L’Onu rappresenta, nonostante le sue debolezze e i suoi insuccessi, l’unica speranza che abbiamo di poter mettere il tetto sopra tutte le altre comunità politiche, di costruire uno stato sopra gli stati, una legge sopra le leggi. Il disordine internazionale sopra l’ordine statale significa libertà concessa alla guerra ed è lo scandalo nella storia umana che è riuscita ad imporre ordine fra i cittadini, ma non fra gli stati. Seppure nelle forme consentite, in epoche diverse la Chiesa porta con sé la più antica idea di un governo mondiale per assicurare la pace. Dai padri della Chiesa fino a Giorgio La Pira si è mantenuto in vita il mito secondo cui il Salvatore, avendo deciso di entrare nella storia al tempo dell’impero e della pace di Augusto, avrebbe benedetto la pace che si raggiunge con un governo universale.

All’indomani della seconda guerra mondiale fallì clamorosamente la proposta radicale che intendeva togliere eserciti e diritto di far guerra agli stati per affidare truppe e sicurezza solo all’Onu. Ma ciò che l’Onu ha perso in efficienza lo ha acquistato in autorità. L’Onu oggi unisce un numero di stati quasi venti volte superiore al piccolo comitato di stati che assistette alla sua nascita a San Francisco. Questa sua attuale rappresentanza di tutti gli stati del mondo («una famiglia di nazioni», ha detto il Papa) consente la ricerca della pace non tanto e non solo con i corpi di spedizione, ma con l’occasione di incontro e di dialogo fra gli stati, i popoli, le religioni e le culture che il palazzo di Vetro offre. Nel suo discorso all’Onu Benedetto XVI ha applicato il diritto di sussidiarietà anche all’ultimo piano delle società politiche. Con il principio di sussidiarietà se una regione non riesce a costruire una strada deve intervenire lo stato. Analogamente se uno stato non riesce a mantenere la pace deve intervenire quello che almeno in teoria dovrebbe essere il governo mondiale.

Già Giovanni Paolo II aveva parlato di diritto di «ingerenza umanitaria» di fronte alla indiscutibile constatazione che le guerre degli ultimi venti anni sono state guerre civili e non guerre tra stati almeno in gran parte. In questo quadro rimanere vincolati al famoso articolo 2 dello statuto dell’Onu che impedisce ogni intervento dentro un singolo stato può significare dare al suo governo licenza di massacro e lasciare all’Onu il posto di spettatore in prima fila delle peggiori tragedie. Benedetto XVI ha ripreso il tema della ingerenza andando oltre. L’Onu, secondo il Papa, proprio in virtù del principio di sussidiarietà ha «la responsabilità di proteggere gli uomini» quando gli stati non li proteggono non solo per ristabilire la pace, ma anche perché siano garantiti i loro diritti. Proprio perché sia possibile questa protezione dei diritti da parte di un organismo universale bisogna che siano condivisi universalmente i diritti riconosciuti. Il che significa sia mettere un limite alla moltiplicazione infinita dei diritti tipica della mentalità radicale, sia riportare ad unità quel relativismo etico che considera la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come un menù da cui si può scegliere ciò che ci piace e respingere il resto.

Prendere per esempio il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto alla istruzione e rifiutare il diritto alla parità fra uomo e donna, il diritto alla protezione della famiglia e quello della scelta dell’educazione dei propri figli. Con questa logica, quando nel 1948 fu approvata la Dichiarazione Universale, l’Arabia Saudita si astenne a causa dell’articolo 18 che sancisce la libertà religiosa e in questi anni sono state aspre le polemiche sugli stati che si sono fatti eleggere nella commissione dei diritti umani dell’Onu quando dovrebbero essere sul banco degli accusati.

Benedetto XVI citando Sant’Agostino ha ricordato che esiste nella comunità umana un giudizio comune sui principali diritti umani che non può variare in nome delle condizioni culturali, religiose e storiche. Al contrario c’è stato ad esempio chi ha sostenuto che la monogamia e la poligamia possono essere entrambi diritti all’interno di diversi contesti religiosi e fino a non molto tempo fa era opinione diffusa anche fra molti intellettuali che fra i paesi del terzo Mondo per ragioni storiche il regime ideale non era la democrazia, ma il partito unico o addirittura il regime pretoriano dei militari. Quando i diritti umani variano a seconda degli stati non si tratta, ha detto il Papa, di giustizia, ma solo di legalità. Soprattutto il Papa ha richiamato il diritto alla libertà religiosa che riguarda non solo i molti paesi in cui i cristiani sono direttamente perseguitati, ma anche gli stati secolarizzati dell’Occidente che accettano i cristiani quando pregano nelle chiese, ma non quando dicono la loro opinione sulle piazze. «È impossibile – ha detto il Papa – che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi». La tutela del diritto è fondamentale, secondo il Papa, perché anche il terrorismo è favorito dalla negazione dei diritti, perché nella libertà religiosa le religioni si aprono al dialogo diventando strumento di pace così come i diritti umani sono la condizione pregiudizionale di ogni sviluppo.