Toscana

Il Natale nel sud del mondo

di Massimo ZaurriniAgenzia MisnaDalla Repubblica democratica del Congo all’Uganda, passando per la Costa d’Avorio, il Burundi e la Liberia, milioni di africani si apprestano a vivere un altro Natale, pieno di paura e di speranza. Conflitti e crisi preoccupano le popolazioni locali e i missionari che vivono e operano al loro fianco. “Quest’anno a differenza dello scorso Natale resterò a Bouaké” spiega alla MISNA padre Giovanni de Franceschi, missionario del Pime, da anni risiede nella “roccaforte” du quei ribelli che il 19 settembre del 2002 si sollevarono in armi contro il presidente Laurent Gbagbo avviando una crisi ancora aperta e che ha diviso il Paese a metà: il nord in mano alla ribellione e il sud al capo di Stato.

“Sicuramente è un segnale positivo – continua il missionario – ma nella zona nord della Costa d’Avorio, quella in mano ai ribelli, c’è ancora molta paura. Nonostante dichiarazioni distensive, in città si respira ancora aria di guerra. Oggi camminando ho visto molte camionette con lanciarazzi presidiare gli angoli delle strade e negli ultimi giorni gruppetti di uomini armati hanno rimesso in piedi posti di blocco un po’ ovunque sulle strade del nord; per farti passare chiedono un ‘regalo di Natale’. E dire che i presupposti per sperare in un Natale diverso c’erano tutti”.

Non va meglio ad Abidjan, principale città della Costa d’Avorio ed enclave del presidente Gbagbo. “Qui forse non abbiamo i problemi di sicurezza che ci sono al nord, ma la crisi politico militare che investe il Paese da un anno e mezzo ha bloccato l’economia e la gente adesso soffre la fame” spiega padre Antonio Serrau, missionario nella Parrocchia di San Lorenzo. “Nella nostra diocesi – aggiunge il religioso – abbiamo 200mila fedeli; quasi tutti, prima della crisi, stavano bene economicamente e avevano un buon reddito. Adesso la situazione è disastrosa. Nelle case ormai i capifamiglia sono costretti a scegliere se utilizzare i pochi soldi a disposizione per pagare le medicine o per mandare i figli a scuola; se utilizzarli per un’infermiera che soccorra un parente o per comprare qualcosa da mangiare”.

Il prodotto interno lordo del Paese, una volta uno dei più ricchi di tutta l’Africa, è crollato del 4,7 per cento nel 2003; prima della crisi si prevedeva che il Pil dovesse crescere del 3 per cento. “Numeri – conclude padre Serrau – che nella realtà quotidiana dei fedeli di san Lorenzo significano morire di fame”.

Nella confinante Liberia, intanto, grazie all’aiuto della comunità internazionale si è chiusa una guerra lunga 14 anni, ma il quadro, anche qui, è tutt’altro che rassicurante. “Nessuno può dire di sentirsi ancora al sicuro in Liberia” spiegano alla MISNA le missionarie della Consolata, raggiunte telefonicamente nella loro comunità di Harbel, ad una cinquantina di chilometri dalla capitale Monrovia. “C’è troppa gente – proseguono – con armi in mano e i saccheggi e le violenze continuano. La sicurezza è garantita solo in quelle poche zone in cui sono presenti i ‘caschi blu’. Noi comunque andiamo in giro a cercare di distribuire un po’ di cibo alla gente e dare loro un po’ di sollievo”.

Burundi: altro Paese, stesso il tono. “In migliaia passeranno questo Natale lontani dalle loro abitazioni, abbandonate a causa dei continui scontri tra ribelli ed esercito. Sono dieci anni che fanno questa vita” spiega alla MISNA un operatore umanitario contattato nella capitale burundese Bujumbura che ha chiesto di restare anonimo. “L’ingresso nel governo dell’Fdd, Forze di difesa della democrazia, principale gruppo ribelle – continua la fonte – aveva fatto sperare che quest’anno ci sarebbe stato un po’ di serenità, ma le migliaia di sfollati provenienti dalle colline intorno a Bujumbura, che hanno trovato riparo per le strade della capitale, rischiano di passare un altro Natale sotto le bombe. L’amara realtà quotidiana appannerà, anche quest’anno, il messaggio di speranza che il Natale porta con se”. Il conflitto burundese, esploso nel 1993, ha fatto finora più di 300mila morti e vede ancora contrapposti il governo di Bujumbura (negli ultimi tempi aiutato dagli ex ribelli ‘hutu’ delle Fdd) e le Forze di liberazione nazionali (Fnl), l’unico gruppo della ribellione ‘hutu’ che continua a rifiutare qualsiasi partecipazione al processo di pace. “Speriamo solo che si tratti del colpo di coda di un decennio terribile per questo Paese e che quello del 2003 sia l’ultimo Natale di paura per i burundesi” conclude l’intervistato. Qualche centinaio di chilometri più in là, anche in Uganda il quadro generale resta drammatico. Il nord del Paese da oltre 17 anni è sconvolto dalla follia sanguinaria dei ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra), i quali nelle ultime settimane hanno concentrato le loro violenze nella zona di Lira, capoluogo dell’omonimo distretto settentrionale. “Per noi è estremamente difficile annunciare il Vangelo e il messaggio di speranza del Natale in questo contesto” spiega con una punta di amarezza padre Sebhat Ayelé, missionario comboniano di origine eritrea da tempo in Uganda. “Temo che questo sarà il peggiore Natale degli ultimi anni – continua padre Ayelé – visto che la gente vive ovunque con il terrore di nuovi attacchi dei ribelli. Gli oltre 500mila sfollati che nelle ultime settimane hanno abbandonato i villaggi intorno a Lira e si sono riversati nel capoluogo in cerca di un po’ di sicurezza, muoiono di fame, di stenti o di malattie in strutture che non riescono a gestire questo sovraffollamento. La gente è triste, basta guardare i loro volti. E pensare che i Lango, l’etnia che abita questa zona di Uganda, usano festeggiare il Natale con un grandissimo trasporto e le celebrazioni si susseguono praticamente ininterrotte fino al capodanno. I visi gioiosi e i vestiti dai mille colori di un tempo hanno lasciato il posto a notizie di morti, di sfollati. È triste dirlo, ma quest’anno la gente non sente assolutamente il Natale e anche per noi religiosi il clima è più vicino a quello del Venerdì Santo che a quello di gioia che dovrebbe caratterizzare la nascita del Signore. Proprio per questo – conclude padre Ayelé – il messaggio che cerchiamo di dare alla gente è che dal dolore si può risorgere”.

L’unica nota positiva di questo viaggio nei conflitti africani arriva dalla Repubblica democratica del Congo, l’immenso Paese della regione dei grandi Laghi sconvolto dal 1998 da quella che Madeleine Allbright, allora Segretario del dipartimento di Stato Usa, definì la “prima guerra mondiale africana”. Il Congo, aiutato dalla comunità internazionale, sta lentamente e faticosamente uscendo da cinque anni di combattimenti che, secondo le stime più accreditate, hanno causato oltre 3 milioni di morti. Un governo di unità nazionale si è insediato nei mesi scorsi nella capitale Kinshasa raccogliendo intorno allo stesso tavolo i nemici giurati di un tempo. “I frutti cominciano a vedersi” dice alla MISNA suor Bambina, una religiosa che da vent’anni si trova nell’est dell’ex Zaire e che attualmente vive a Uvira (città del Sud Kivu vicino al confine col Burundi e il Rwanda), teatro negli anni scorsi di intensi combattimenti tra i partigiani congolesi e le milizie ribelli filoruandesi. “Finalmente c’è aria di festa. Non potete immaginare la gioia di riuscire dopo tanti anni a celebrare un Natale sereno senza il terrore della guerra” dice la religiosa.

“Siamo impegnatissimi – continua – perchè molte coppie hanno deciso di sposarsi a Natale e molte altre faranno battezzare i propri bambini nel giorno in cui è nato il Signore. Questi giorni vivremo anche un evento ‘storico’: per la prima volta dal 1996 nei prossimi giorni ci recheremo a Baraka, una cittadina sulle sponde del Lago Tanganika distante solo qualche decina di chilometri da Uvira, che a causa della guerra è stata irraggiungibile per anni. Ma la speranza maggiore ci viene guardando la gente che torna a lavorare la terra col sorriso sulla bocca”.

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