Pisa

IL NATALE ALLA MENSA DEI POVERI

di Caterina GuidiSono le 19.30 e la zona dello stadio è insolitamente tranquilla. In genere incroci un via vai di auto, parcheggi in doppia fila, code al semaforo, mentre strombazzano i clacson; ma è la vigilia di Natale, e il discorso cambia. La maggior parte della gente è già a casa a preparare la cena della vigilia. In questa sera fredda, c’è anche chi si occupa dei poveri del territorio: sono i volontari impegnati nella mensa allestita nei locali della parrocchia di Santo Stefano. La mensa non è tanto visibile da fuori per chi vi passi distrattamente; ma la strada la sanno bene quella trentina di ospiti che, mediamente, vengono qui alla sera per un pasto caldo. «Cominciò tutto nel 1985 – raccontano a Toscana Oggi due volontari “veterani”, Elio Mainardi e Roberto Gasperini – quando divenne pressante la necessità di offrire qualcosa ai molti, moltissimi, che bussavano alle porte della canonica». Poi col tempo le cose si sono evolute: qualche anno fa la Fondazione Cassa di Risparmio ha contribuito alla costruzione di una cucina industriale e alla risistemazione di locali. E la mensa oggi è così come la vediamo: un luogo piccolo ma accogliente, perfettamente in grado di far fronte alle esigenze degli ospiti. Entrano tutti, fra le 20 e le 20.30: ci sono afgani, africani, polacchi, ma anche un napoletano, un fiorentino, un livornese. «Alcuni sono evidentemente provati per aver passato la giornata in strada – spiega Miretta Falaschi, volontaria Caritas – altri sono ben vestiti, puliti, insospettabili  insomma». Fa differenza che sia la vigilia di Natale? «Non molto – ci dicono i volontari (nella foto)- perché i più sono musulmani. Però la mensa dell’ospedale ci ha donato il menù di questa sera; si tratta di piatti molto buoni: crostini, lasagne, pollo: questo rende la serata diversa dalle altre». Normalmente la mensa fornisce pasti cucinati in parte in loco, in parte portati da fuori. Proprio il 24 dicembre qualcuno ha lasciato davanti alla cucina un carrello pieno di viveri: la carità vive di questi gesti. Tuttavia ci vuole organizzazione per offrire un buon servizio e utilizzare al meglio le risorse; «la Caritas, attraverso i centri di ascolto da dei buoni che sono indispensabili per accedere alle mense della città – continua la Falaschi. È un pretesto che serve in realtà per conoscersi, per creare un legame con la persona che ha bisogno. Così riusciamo a seguire e gestire al meglio tutte le necessità del povero». E se il buono non c’è? Mentre siamo lì si presentano due giovani, lei polacca, lui tunisino; lavorano saltuariamente, non hanno casa, non conoscono la Caritas, e vorrebbero cenare; le porte sono comunque aperte per chi ha bisogno: viene dato loro un cestino di viveri, vengono indirizzati allo sportello d’ascolto e poi…chissà? Storie molto concrete, insomma; storie di necessità primarie da soddisfare immediatamente, senza tante parole. Molti volontari, la sera della vigilia di Natale, ma anche per tutte le altre festività, sono nelle mense e nei dormitori a dare il loro piccolo o grande contributo davanti a povertà sempre più profonde e degradanti. Per qualcuno è una goccia nell’oceano ma, come direbbe Madre Teresa di Calcutta, «se non ci fosse quella goccia, all’oceano mancherebbe».