Cultura & Società
Il mito del serpente
di Carlo Lapucci
Così canta il Carducci indicando che la bella stagione porta a nuovi incontri nella campagna, tra i quali quello col serpente è sempre più frequente, dato l’inselvatichirsi di molte zone un tempo coltivate e il maggior rispetto della natura. Per la verità questo animale è poco amato, anche se convive con l’uomo fin dai primordi ed è stato per la mente sempre un enigma.
I Pigmei del Cameroum hanno mantenuto fino ad oggi nel loro linguaggio rappresentativo il segno che indica il serpente come un semplice tratto dritto sopra una superficie; lo stesso elemento simbolico si ritrova in diverse culture primitive, anche nei graffiti dell’era paleolitica ed è, insieme al punto, il più elementare e astratto che si possa immaginare, che elimina anche il reale procedere sinuoso dell’animale (oggi a noi è più comune la rappresentazione ad esse), nasconde probabilmente un pensiero primitivo che potrebbe spiegare l’elementarità del simbolo, vale a dire che il serpente è stato concepito sovente dalle culture arcaiche come la creatura più antica di tutte le creature, quella che ha aperto il sentiero della vita alle altre, uscita dall’increato primordiale allorché nulla ancora aveva preso forma. Per questo il serpente è detto figlio della materia o della Terra.
Inoltre quel tratto che si presenta come il segmento d’una retta indica due possibilità di spostamento contrapposte e di conseguenza un logico indirizzo del procedere: dall’informe alla forma, dal passato al futuro, dall’inerzia alla vita, dal tempo all’eterno. Una traccia di questa idea si può ritrovare anche nella Genesi. Quando vi arrivano i nostri progenitori il serpente è già nel paradiso: sapiente, scaltro, nascosto, maligno, è già il signore della natura dalla quale è uscito come primo figlio, geloso della nuova primogenitura e della predilezione di Dio per gli esseri umani.
Di fronte a questa primitività, a questa forza enorme dell’istinto, sta anche la capacità di detenere in nuce tutte le fasi dello sviluppo successivo della vita degli esseri che si riveleranno nel tempo. Provenendo dall’uno materiale indifferenziato detiene in se tutte le potenzialità, restando nella sua dimensione primigenia, non è estraneo affatto a qualunque manifestazione anche antitetica alla sua sostanziale natura: è creatura lunare e solare, ctonia e luminosa, ha nel suo veleno la morte e la salute, incarna l’istinto e la ragione, è sacro a Tifone e ad Atena, a Dioniso e ad Apollo.
Questa è la ragione per la quale spesso il modo di considerare il serpente da parte degli antichi disorienta per la facilità con cui gli vengono attribuiti elementi, qualità, prerogative, funzioni contraddittorie. In particolare le sue conoscenze sono abissali, assolute, avendo attinto e detenendo quel primo germe della vita che contiene tutto, quello che è nascosto e quello che si vede, il passato, il presente e il futuro. Di conseguenza è accanto a coloro che hanno la sapienza, medici, saggi, profeti si trova la figura del serpente, presente in quasi tutti i luoghi sacri dove si trovano profeti, indovini, sibille, santuari dove di danno i responsi.
Apollo è la divinità che tutela l’arte di conoscere, soprattutto il futuro e il dio, per insediare il suo santuario di vaticini a Delfi deve vincere il serpente Pitone, terribile mostro che col suo corpo per sette volte circondava l’altura e impediva al dio l’accesso al santuario di cui era il nume. Di Pitone non si conosceva quando e come fosse nato, tradizioni più tarde vogliono che nascesse dal fango della Terra fecondata dal Diluvio. La figura del rettile è collegata anche con Cassandra, Crise, Pitone, Pizia.
Basta guardare il numero dei simboli che riveste per accorgersi che la sua forza suggestiva, simbolica, metaforica supera di gran lunga quella di qualsiasi animale. Affrontare anche superficialmente la sua presenza nel mito, nelle religioni, nel simbolo, richiederebbe un trattato. Nel linguaggio, oltre ai traslati per lo più offensivi della parola, intesa nel caso migliore come furbo, nel peggiore come l’essenza della malvagità, dell’insidia e dell’inganno, l’uso metaforico del termine è quasi sempre negativo.
Nella dimensione mitologica e religiosa la funzione principale per la quale è stato scelto è quella di rappresentare il male e, in questo, non ha rivali. Dio stesso nella Bibbia lo maledice: «…sii maledetto fra tutti gli animali e le bestie della campagna; striscerai sul tuo ventre e mangerai la polvere per tutti i giorni della tua vita» (Genesi III, 149).
In realtà le caratteristiche del serpente, le sue originalità, stranezze, perfino lo strisciare per muoversi, sono tante e molto caratterizzate, al punto d’aver sedotto, forse prima della coscienza, la fantasia dell’uomo. Sia pure nell’ambivalenza del simbolo e l’ambiguità attribuita alla sua natura, il serpente non è ambiguo e non presenta aspetti simbolici benigni di coabitazione, di simpatia con la specie umana. Neppure le favole e i cartoni animati sono riusciti a crearne figure gradevoli, sia pure nella mistificazione. Le eccezioni sono rare, spesso forzate ed episodiche.
Altro elemento conturbante è lo sguardo fascinatore: si vuole che con gli occhi incanti gli uccelli e gli animaletti che gli vanno intorno: prima li paralizza, li immobilizza, poi si avvicina e li divora.
Tra i molti attributi fantastici della bestia c’è l’alito pestilenziale che farebbe cadere tramortiti perfino ranocchi e rospi, appena l’avvertono. La lingua biforcuta, che alcune specie hanno e che in altre appare per i movimenti rapidi, è simbolo della calunnia e della menzogna: fece credere ad Eva che, mangiando il frutto, sarebbe divenuta simile a Dio che lo maledisse: «Porrò inimicizia tra te e la donna. Essa ti schiaccerà il capo», si legge nella Bibbia (Genesi III, 15). La Madonna è raffigurata appunto nell’atto di schiacciare il capo al serpente.
Ora il demonio, proprio in quanto elemento negativo, costituisce la polarità universale, è un termine fondamentale della realtà, ineliminabile nell’ordine tradizionale della Creazione nella quale è e rimane come nel Paradiso Terrestre. Nella Divina Commedia Dante pone Lucifero al centro dell’Universo, nel punto che raccoglie tutte le tensioni che tengono in piedi, regolano e governano il sistema generale. Il gran vermo è sì il verme che si annida al centro del mondo e lo inquina: «al pel del vermo reo che ‘l mondo fora» (Inferno XXXIV, 108), ma è anche «il punto / al qual si traggon d’ogne parte i pesi» (XXXIV, 111), e anche: «lo mezzo / al quale ogne gravezza si rauna» (XXXII, 73-74). Lucifero è il punto di conversione delle forze materiali come l’egoismo è la legge generale che determina la parte istintiva, animale della società e dell’individuo, contro cui combatte lo spirito.
In questo senso la figura del serpente si ricollega al principio del male rappresentando l’alternativa per la scelta e la libertà dell’uomo: principio alto, terribile, sconvolgente e incomprensibile che non ha nulla a che vedere con quel fantoccio con la coda, le corna e i piedi di capra nel quale è stato ridotto dal moderno quietismo pacioso e indolente, che vorrebbe trasformare il mondo da teatro della prova tragica della vita dell’uomo, decisiva per l’eternità, a un ospizio per il benessere e la Chiesa a una società di muto soccorso.
Nella letteratura biblica araba si trova una tradizione conservata dalle popolazioni del deserto, secondo la quale il serpente in origine aveva una ben strana natura: tutta la parte posteriore del corpo era fissata, per così dire murata e confusa, con la materia che separava il creato dallo spazio esteriore caotico e amorfo; la sua testa, il muso, gli occhi non potevano volgersi in fuori, ma dovevano guardare dentro il mondo reale, ordinato: era il guardiano tra il caos e l’ordine, tra l’indeterminato, l’informe e la vita, il depositario della conoscenza di quello che sta oltre il mondo e fuori del mondo. Questa posizione privilegiata viene insidiata dalla creazione di Adamo e di Eva che egli decide e riesce a compromettere, ma non a scalzare dalla predilezione divina.
Così infinite leggende si sono aggregate sulla sua figura e molte mirano a metterlo in contatto con il mondo umano, col quale è stato sempre in dissidio, a cominciare dai miti assiro-babilonesi, dove ne L’epopea di Gilgame si legge che fu lui l’essere a sottrarre all’uomo il ramo d’oro dell’immortalità mentre l’eroe dormiva spossato dal viaggio che aveva fatto nel mondo dei morti.
Si ripete ancora da gente incolta che i serpenti nascono per generazione spontanea, o dalla spina dorsale dei cadaveri umani. Evidentemente ciò è suggerito dall’analogia tra la struttura ad anelli del corpo del serpente e quella della spina dorsale. Ma la superstizione è antica e si trova già in Plinio: «Ho appreso da molti che il serpente è generato dal midollo della spina dorsale dell’uomo» (Storia Naturale X, 86). La credenza riconferma la connessione misteriosa tra il serpente e l’immortalità: dal mito del ramo d’oro, alla narrazione biblica del Paradiso Terrestre, alla scala evolutiva, sempre riappare tra il fogliame la testa del rettile.
Molte tradizioni dicono che il serpente dispone di un sapere capace di guarire ogni malattia e il suo veleno, opportunamente usato, è un antidoto contro tutti i mali. Fu sacro a Esculapio: il mitico medico aveva un rustico bastone intorno al quale stava avvolta una serpe (Ovidio, Metamorfosi XV). Anche nella Bibbia il serpente di bronzo che nel deserto guarì gli ebrei (Numeri XXI, 9; Giovanni III, 14) è segno di redenzione e simbolo di Cristo.
Si credeva anche che i serpenti usassero il succo del finocchio per rinnovarsi a primavera e cambiare la pelle. Non solo: riacquistavano con tale pianta anche la perfezione della vista, annebbiatasi col letargo, come riferisce Plinio (Storia Naturale XX, 95).
Nei bestiari medievali vi sono storie curiose, come quella secondo cui quando i serpenti bevono alle fonti o ai ruscelli, prima di abbeverarsi, posano sopra un sasso pulito i denti velenosi che hanno in bocca per non avvelenarsi con i loro stessi sorsi. Quando hanno finito riprendono questa specie di «dentiera» e, se uno è tanto accorto da versare e disperdere loro il veleno abbandonato mentre bevono, i serpi non saranno più velenosi, finché morranno.
Grande protettore contro i morsi dei serpenti è San Paolo in quanto, giunto a Malta, fu morso da una serpe velenosa e guarì. Cacciatori, allevatori di serpenti, serpari, sono tutti raccomandati alle celesti cure di San Domenico di Cocullo. Altri protettori sono S. Amanzio di Tiferno vissuto nel VI secolo a Città di Castello, e Florido,che portano ambedue il nome di Santi Tifernati.
Astuzia: è il più antico degli animali
Demonio: l’aspetto nel quale è rappresentato il demonio
Discordia: tale il significato etimologico di diavolo
Ercole, che strozzò un serpente mentre era ancora nella culla
Eternità: allorché è posto ad anello, mordendosi la coda. Nell’alchimia è detto Uroboros
Falsità, tradimento e frode, in quanto insidia e inganna
Immortalità, che ha rapito agli uomini, secondo il mito
Inganno, malizia: si avvicina non visto, silenzioso. Con riferimento alla tentazione di Eva
Insidia: Latet anguis in herba: il serpente sta nascosto nell’erba (Virgilio, Egloghe III)
Intelligenza, è il più astuto degli animali
Invidia: tentò l’uomo per invidia (Apocalisse XII, 9; XX, 2. Sapienza II, 24)
Lacoonte, come è narrato da Virgilio (Eneide II, 200), Lacoonte fu avvolto e trascinato nel mare da un serpente, poiché sconsigliava i Troiani di portare in città il cavallo lasciato dai Greci
Lettera S, per la forma che assume nel procedere
Luna: come simbolo del perenne rinnovamento
Magia: la verga di Mosè che diviene serpente e divorò gli altri (Esodo VII, 9)
Male, in quanto demonio
Medicina: sacro a Esculapio.
Menzogna: con la menzogna perdé Eva.
Morte: per il veleno mortale e per la morte che portò agli uomini
Peccato, per il peccato originale narrato nella Bibbia (Genesi III)
Prudenza: «Siate prudenti come serpenti» (Matteo X, 16)
Regalità: associato al Basilisco nel quale il serpente si trasformerebbe
Salute: forma il caduceo e il simbolo d’Esculapio
Sapienza antica: conosce tutto della vita e delle cose
Seduzione: serpente con la testa di donna. Si riferisce al peccato originale
Vecchiaia: è animale antico e, rinnovando la propria spoglia, vive a lungo
Veleno: compensa la sua debolezza col veleno del suo morso