Toscana

Il liturgista: c’è bisogno di celebrazioni gioiose

di Fabrizio Ilari*Si sta ormai avvicinando l’anniversario di una data che ricorda un avvenimento accaduto quarant’anni fa’, che veramente può essere inserito nella Storia della Chiesa cattolica fino al punto di divenire materia di studio, come di fatto lo sta divenendo, soprattutto per coloro che sono nati alla fine del secondo millennio. La data in questione è il 4 dicembre 1963, data che vide l’approvazione della Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia: «Sacrosanctum Concilium», che dette l’avvio alla più grande riforma liturgica nella storia del cristianesimo. Fu il primo documento del Concilio Ecumenico Vaticano II ad essere approvato ed ebbe solo 4 voti contrari su 2151 Vescovi partecipanti alla votazione. Aldilà dei numeri, si può leggere in tutto questo la «vittoria» di quel «movimento liturgico» che, partito oltralpe alla fine dell’ottocento, era giunto fino a Roma coinvolgendo anche i centri di spiritualità e di preghiera della nostra Italia, e che aveva visto alcune modeste approvazioni in documenti pontifici come la «Mediator Dei» del 1947 e la restaurazione della Veglia Pasquale del 1951 ad opera di Pio XII.

Volendo essere anche un po’ più temerari si può anche parlare di rivalutazione di alcune idee, a suo tempo condannate, scaturite nel Sinodo di Pistoia del 1786. Questo il motivo del ricordo; ma quando si parla di rivoluzioni (riforme), e in questo caso di questo si deve parlare, bisogna anche parlare dei vantaggi e dei benefici che tali rivoluzioni producono nella storia. Proviamo ad accennare il più rilevante: innanzitutto l’importanza della Liturgia nella vita della Chiesa come «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte cui promana tutta la sua virtù». Si annuncia per celebrare, si celebra per annunciare e testimoniare l’opera salvifica di Cristo. Da questa prima affermazione scaturisce la necessità della partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa dei fedeli all’azione liturgica. È stato questo il principio ispiratore che ha animato l’opera di quell’esercito di liturgisti, già «armato ed equipaggiato», capitanato dalla sapienza del card. Lercaro e di mons. Bugnini sotto la costante supervisione di Paolo VI, grande artefice dell’attuazione del Concilio e di conseguenza della Riforma liturgica, della quale oggi tutto il popolo santo di Dio ne gode i benefici.

Certo pochi oggi si ricordano della Messa in latino, del rosario o delle giaculatorie che supplivano l’incomprensione della celebrazione, della scarsa e solita Parola di Dio proclamata e sempre in latino, della quasi assenza di catechesi ispirata e suggerita dalla celebrazione e supplita da quelle grandi prediche di tonanti frati dal pulpito in determinate occasioni come i quaresimali, della misteriosità di ciò che compiva il sacerdote all’altare con le spalle girate verso il popolo, di quel senso di arcano e di mistero, che pur nella consapevolezza che si stava dando lode al Dio di Gesù Cristo, rimaneva in coloro che partecipavano ai riti della Chiesa cattolica. Tutto questo è bene che rimanga un ricordo visto che la Liturgia del Concilio ci ha dato la possibilità, con i suoi riti riformati, di partecipare: attivamente, attraverso i vari ministeri, consapevolmente, attraverso la comprensione di ciò che viene compiuto, fruttuosamente, con quello che può significare per ciascuno, all’incontro con il Salvatore che si fa presente nella Chiesa e nel mondo nella celebrazione e ci dà la possibilità di incontrarci con Lui. Questa è l’offerta, anzi la grande offerta, che il Concilio quarant’anni fa ha donato alla comunità cristiana, ma anche oggi si sta verificando quello che avvenne dopo l’editto di Costantino quando, con la libertà ottenuta, la Chiesa codificò i suoi riti e le sue celebrazioni, ma il popolo si rese sempre più distante e sempre meno partecipe.

Anche oggi le nostre chiese sono sempre meno frequentate e la partecipazione attiva e consapevole sembra quasi un ricordo. Lo stesso non si può dire per la partecipazione fruttuosa perché essa è nel cuore di ciascuno. Cercare le cause o le motivazioni ci porterebbe lontano. Forse dopo quarant’anni è subentrata l’assuefazione e la stanchezza nonostante che si continui a parlare nella Chiesa di nuova evangelizzazione, nuova pastorale, nuova… Probabilmente c’è necessità di liturgie più gioiose, cariche di entusiasmo, e a porte aperte se non celebrate anche nei luoghi dove il cristiano vive. C’è bisogno di annuncio gioioso per una celebrazione altrettanto gioiosa, dignitosa ed «accattivante» che porti altri a viverla insieme.*incaricato liturgia della diocesidi Montepulciano-Chiusi-Pienza

A Messa in toscana solo il 15 per cento