Opinioni & Commenti
Il lento declino del Servizio civile. Ma non è solo un problema di soldi
di Pierluigi Consorti
Le forbici governative hanno tagliato anche il Servizio civile nazionale. Il Ministro Riccardi lo sta tenendo in vita fra mille difficoltà. Ma i soldi non si trovano e i giovani coinvolti sono passati da 40 mila a 10 mila, l’Ufficio nazionale è stato accorpato al Dipartimento della gioventù, la Consulta nazionale e il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (orribile acronimo: Dcnan) sono stati soppressi. Un lento declino che non può essere giustificato solo dalla mancanza di fondi. In particolare i due organismi soppressi costavano in tutto meno di 4 mila euro l’anno, dato che tutti i componenti svolgevano la loro attività a titolo gratuito. Ciononostante la Consulta garantiva il necessario raccordo fra istituzione, enti e giovani impegnati nel servizio fornendo indicazioni indispensabili al funzionamento del sistema. Il Comitato Dcnan a sua volta svolgeva un ruolo molto originale, forse unico, finalizzato a sperimentare forme di difesa alternative a quella militare.
Le cosiddette «operazioni militari di pace» hanno dimostrato la loro inutilità. Gli interventi armati possono nel breve periodo raffreddare l’escalation della violenza, ma non incidono sulle ragioni del conflitto sottostante, che resta acceso e prima o poi deflagra: come dimostrano, ad esempio, le recenti vicende dell’Afghanistan, dell’Iraq e persino gli incerti esiti della cosiddetta primavera araba. I soldati si comportano come i pompieri durante un incendio, senza poter intervenire sulle ragioni che l’hanno determinato. Questo spetterebbe ai civili, che però non sempre dispongono degli strumenti adatti.
Dal 2004 rappresentanti istituzionali (Ministeri della difesa, esteri e interno; protezione civile, Regioni e Comuni), esponenti del mondo del volontariato e del servizio civile, nonché esperti del settore, si sono confrontati sulla fattibilità di tali forme alternative e preventive di difesa. Hanno svolto un lavoro intenso e serio, riuscendo infine ad avviare un progetto sperimentale che oggi impegna sei volontari in Albania. Ancora una volta, i pochi soldi a disposizione hanno dettato legge. Si tratta tuttavia del primo nucleo istituzionale di Dcnan. Il primo «Corpo civile di pace» che lavora sotto le insegne di uno Stato.
Il Comitato Dcnan avrebbe dovuto monitorare il progetto passo passo, valutarlo, verificarlo, correggerlo, approfondirlo. Sarebbe stata l’occasione di valorizzare un progetto ripetibile non solo all’estero, ma anche in contesti ad alta conflittualità in Italia (criminalità, disagio giovanile, mafia ). Probabilmente la cancellazione del Comitato è questione di soldi, ma certo anche di volontà politica e culturale: investire negli F35 appare prioritario rispetto alla ricerca e sperimentazione di attività di Dcnan.
Del resto, tutto il Servizio civile nazionale da nicchia istituzionale che salvaguardava i valori originali dei primi obiettori di coscienza al servizio militare, sta progressivamente traghettando nell’ambito del Terzo settore e delle politiche giovanili e/o assistenziali. In Francia e in Germania, come negli USA, ma anche in Argentina, Sud Africa e Nuova Zelanda, fioriscono esperienze significative di difesa civile dalle quali potremmo imparare e alle quali potremmo dare un contributo in termini di crescita. Invece, noi tagliamo sul futuro.
Ogni volta che proporranno interventi armati all’estero o spiegamenti di polizia contro i manifestanti dovrà sorgerci il dubbio che avremmo potuto reagire prevenendo. In prospettiva potremo fare a meno del Comitato, ma non di una coerente ed efficiente cultura nonviolenta della gestione dei conflitti.