Firenze

Il lascito profetico di La Pira a 47 anni dalla morte

Il testo dell'omelia proclamata questo pomeriggio dall'arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, nella Basilica di San Marco in occasione della celebrazione eucaristica nel 47° anniversario della morte di Giorgio La Pira

L'arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli in preghiera alla tomba di La Pira

Pubblichiamo integralmente il testo dell’omelia proclamata questo pomeriggio dall’arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, nella Basilica di San Marco nel 47° anniversario della morte di Giorgio La Pira.

Sono contento  di celebrare questa eucaristia nel 47° anniversario della morte di Giorgio La Pira. Saluto le autorità presenti e ringrazio per l’invito la Fondazione La Pira, la comunità dei frati predicatori e il rettore della Basilica padre Fabrizio.

E’ un momento importante di questi primi mesi di servizio come vescovo di Firenze perché in questo giorno, da quasi 50 anni, la città  si ritrova a riflettere sulla  particolare vocazione che le deriva dal lascito profetico, cioè genuinamente politico, della vicenda lapiriana: lascito che interpella tutti, credenti e non credenti.

Questa particolare vocazione implica prima di tutto il coraggio di costruire il tessuto sociale della città sulla solidarietà fattiva su cui la nostra Costituzione, grazie anche all’apporto di La Pira, ha disegnato l’architettura di una democrazia sostanziale e non solo formale.

Questa particolare vocazione coinvolge inoltre Firenze nel servizio alla pace che si costruisce sui precisi fondamenti del diritto e della giustizia fra i popoli, del disarmo e del superamento della logica della guerra, inefficace e non compatibile con le sfide dell’umanità del XXI secolo.

Tralasciare questo lascito non significa solo disconoscere un passato più o meno mitizzato, ma tradire le giovani e future generazioni.

Questo lascito, invece, costituisce “un’opportunità favorevole” che noi fiorentini – credenti e non credenti – siamo chiamati a cogliere come la possibilità di Vita nuova che a ogni generazione è dato di vivere, così come ci dice il Vangelo di oggi.

Si tratta di un brano di Luca inserito in una sezione, detta del convito, incentrata sull’immagine del banchetto come simbolo del regno di Dio al quale tutti sono invitati.

Il regno di Dio è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17) ed è  consonanza fra ciò che Dio desidera e costruisce per gli uomini e le donne di ogni tempo e ciò che, nel profondo di sé, ciascuna donna e ciascun uomo desidera e può scegliere di costruire.

Una scelta sempre possibile, ma sempre estremamente radicale!

Sbaglierebbe chi pensasse che la parabola del banchetto descriva un Dio permaloso che offre una sola possibilità e poi esclude: tale lettura sarebbe in totale contraddizione con la vita stessa di Gesù.

Qui, al contrario, si tratta di una parola certamente dura ma che ti dice che non esistono condizioni che rendono impossibile la logica del regno di Dio: non importa se hai comprato il campo, i buoi o ti sei appena sposato.

Negli accadimenti della vita di ciascuno di noi, come in quelli della città, della nazione, del mondo ci sono vicende in cui è necessario prendere una posizione:  essa può essere di due tipi: coerente o non coerente con la logica del regno.

Il regno di Dio, infatti, non è più o meno plausibile a seconda delle congiunture!

Gran parte della forza della profezia, tutta politica, di La Pira sta a mio avviso proprio in questa capacità di scegliere, per affrontare le vicende del suo tempo, secondo la logica del Regno, anche quando avrebbe fatto comodo confinarla fra le virtù private o tacciarla di ingenuità e poco realismo.

Leggo, a questo proposito, qualche stralcio della lettera che La Pira scrisse a Pio XII durante la crisi del Pignone:

“Beatissimo Padre, quante cose avrei da dirvi.

Ho parlato, ho gridato, perché avevo ed ho il cuore gonfio per tanta cecità e per tanta ingiustizia di cui sono spettatore: che posso fare di più? lo sono in trincea, Beatissimo Padre: sono in prima linea: […]  vedo che il fiume del malessere provocato dalla disoccupazione e dalla miseria, cresce a vista d’occhio […]

Ed io che potrei fare? Cosa dire? «Congiuntura economica»? Beatissimo Padre, quanta dolorosa menzogna sotto queste parole raffinate! «Ridimensionamento»! lo che conosco le reali possibilità di lavoro delle aziende: che conosco il tessuto di immoralità e di nequizia che si nasconde spesso sotto queste parole che sembrano così pudiche: sepolcri imbiancati!

Intanto, Beatissimo Padre, una cosa è certa: agendo con sdegno – questo sì! – come ho agito ho impedito i seguenti licenziamenti:

a) ho impedito 1200 licenziamenti alla Galileo che ora -Dio ha benedetto!- è in piena ripresa produttiva

b) ho fermato altri 1000 licenziamenti di altra ditta che già li aveva programmati

c) ed ho risolto favorevolmente -pare, oggi- la crisi della Pignone facendo riassorbire grandissima parte delle maestranze ed aprendo larghe prospettive di occupazione per un avvenire molto prossimo”.

E’ evidente la coerenza evangelica di La Pira e tuttavia – è importante tenerne conto! – la sua profezia politica è pienamente laica perché coerente con quella costruzione della convivenza umana disegnata dalla nostra Costituzione a livello nazionale, dalla Carta delle Nazione Unite a livello mondiale, dai principi di Helsinki a livello europeo. Impianti giuridici che fanno della promozione fattiva dei diritti e della dignità dell’uomo il discrimine fra ciò che è secondo il diritto e ciò che non lo è.

La Pira,  professore di diritto romano, sosteneva che questa nuova impostazione aveva avviato un processo trasformativo che in analogia al passaggio dalla violenza privata a quella della jurisdictio del pretore permetteva il passaggio alla “coesistenza pacifica: cioè il passaggio dalla violenza (la guerra) alla […] jurisdictio per la risoluzione di qualsiasi conflitto tra gli stati e i popoli”.

La Pira riteneva che questo passaggio aprisse tempi nuovi postulati dalla inedita ma concreta possibilità che la logica della guerra determinasse la fine dell’umanità. A questa consapevolezza si aggiunge purtroppo la constatazione che le guerre che si sono combattute negli ultimi decenni non hanno mai contribuito a risolvere le questioni pretese o reali che le hanno determinate, ma le hanno sempre peggiorate e ingarbugliate.

Alla luce di ciò fanno ancora più paura le gravissime violazioni della legalità internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani in Ucraina, nel Medio oriente e in tante altre parti del mondo (in particolare in Africa) e sgomenta e la facilità con cui molte agenzie informative e molti governi  passano sopra queste violazioni.

Dicevo prima che non esistono condizioni che rendono impraticabile la logica del Regno, vi sono però delle situazioni in cui seguire questa logica può significare persecuzione e il rischio della vita. Penso ai tanti obiettori di coscienza russi, ucraini, bielorussi, israeliani e palestinesi. La città in cui il Sindaco La Pira proiettò il film censurato di Claude Autant-Lara Tu ne tueras point, la città di don Milani e padre Balducci è chiamata a farsi carico del valore di queste testimonianze e a indicarle come vie della costruzione della pace. Di fronte a queste testimonianze occorre prendere posizione.

La parabola del banchetto interpella concretamente  la nostra coscienza politica, cioè la nostra coscienza di uomini e donne inseriti in una polis, in una comunità mondiale sempre più interdipendente e destinata a rimanere tale nonostante la costruzione in atto di nuove e drammatiche barriere, politiche, militari ed economiche.

Ma il Vangelo non è mai solo interpellazione, è sempre e soprattutto buona notizia, talvolta trasmessa nelle pieghe dell’ironia dell’autore evangelico. Gesù che racconta la parabola di quelli che restano fuori dal banchetto del regno di Dio sta infatti banchettando! E’ ospite di uno dei capi dei farisei, ha appena guarito un idropico e spiegato che nemmeno lo shabbat, cioè il giorno del riposo con Dio, può essere ostacolo a risollevare una vita ferita.

E’ davvero molto bello che la parabola del banchetto non parta da una domanda, ma dalla pienezza di una esperienza. Uno dei commensali, infatti, proprio mentre mangia con Gesù e ascolta le sue parole esclama “Beato chi mangerà il pane del Regno di Dio!”. E’ perché il regno è presente che noi ne sentiamo la nostalgia, ma è proprio perchè è presente che dobbiamo riconoscere la forza profetica della nostra fame e sete di giustizia, del nostro desiderio di costruire la pace, di piangere le lacrime degli umiliati e delle vittime, di muoversi nella storia all’insegna della mitezza di Gesù, della sua radicale nonviolenza.

Non si tratta di cose lontane da noi, si tratta di cose a noi intime, come lo sono nei desideri degli uomini e delle donne amanti della pace e nelle culture dei popoli. E’ una pericolosa tentazione gnostica di molte spiritualità dei nostri tempi ridurre questo desiderio all’ambito individuale e intimistico. La Pira avrebbe detto che è antistorico e credo che La Pira stimasse assai poco i politici senza senso della storia! La sua fede nella Resurrezione di Cristo lo aveva reso capace di scommettere – spes contra spem – nelle capacità degli uomini, essi del resto – lo abbiamo ascoltato dalla prima lettura – possono nutrire gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.

Scuotiamo le nostre coscienze: le culture autentiche dei popoli costruiscono la pace, mettiamoci senza esitazione a servizio di questa cultura come ebbe a scrivere Martin Buber in occasione del terzo colloquio Mediterraneo:

“La storia moderna pretende d’insegnarci che la pace è possibile solo se i governi arrivano a un’intesa; dopodiché i popoli li seguono. Noi pensiamo differentemente; in tal ora dove è finita ciò che chiamiamo storia moderna e dove, speriamolo, qualche cosa che non ha ancora un nome (…) è cominciata, è necessario prima di tutto che gli uomini di buona volontà si parlino, come solo loro sanno fare. Con tale espressione evangelica io intendo coloro che, in questo momento caotico, vedono in comune la realtà della situazione umana e tendono in comune verso un consorzio comune umano. Che si aiutino a guardare, a desiderare, a parlare veramente, che si ascoltino veramente e allora i popoli li seguiranno e i governi seguiranno i popoli. È il momento”.