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Il guazzabuglio della legge elettorale
La Cassazione sottolinea, in particolare, che si tratta di un meccanismo premiale che, incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, contraddice l’esigenza di assicurare la governabilità, poiché è ben possibile, come di fatto è avvenuto, che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o i partiti che ne facevano parte ne escano: dunque, per la prova oltretutto che ne è stata data nel sistema politico italiano, il premio di maggioranza previsto dalla legge non si traduce automaticamente in premio di governabilità, neppure alla Camera: non si parli, poi, del Senato, dove l’attribuzione dei premi di maggioranza a livello regionale opera, in contraddizione con lo stesso premio di maggioranza previsto alla Camera. Si aggiunga a ciò l’ulteriore conseguenza che l’attribuzione del premio, se pure era servita a favorire la formazione di un Governo all’inizio della legislatura, come accaduto nel 2006 e nel 2008, potrebbe invece ostacolarla con riferimento ai governi successivi basati su coalizioni diverse.
D’altro canto, la Cassazione mette ben in evidenza che il meccanismo premiale previsto dalla legge elettorale finisce per provocare anche un’alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio è in grado di eleggere gli organi di garanzia, a partire dal Presidente della Repubblica, che, tra l’altro, restano in carica per un tempo più lungo della legislatura.
Poiché, a questo punto, e sulla base della prova data, gli esiti descritti non possono imputarsi ad una mera eterogenesi dei fini, in quanto normativamente prevedibili, la distorsione così introdotta dal premio di maggioranza sarebbe irragionevole, e tale da porsi, quindi, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, anche perché il premio di maggioranza previsto dalla stessa legge per il Senato porta, in definitiva, ad una sommatoria casuale di premi che finiscono per elidersi a vicenda, senza escludere che venga rovesciato il risultato ottenuto da liste e coalizioni su base nazionale. Favorire per questa via la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, può, in contraddizione con la stessa logica insita in un premio di maggioranza, compromettere proprio la governabilità del Paese non meno che il funzionamento del bicameralismo perfetto (la cui riforma va messa in testa all’agenda di riforme costituzionali) e l’esercizio della stessa funzione legislativa nel quadro di questo bicameralismo.
Infine, la libertà e la personalità del voto sarebbe incisa dalla sottrazione all’elettore della facoltà di scegliere il candidato eletto, per cui si dubita che possa ritenersi realmente libero il voto quando all’elettore è sottratta la facoltà di scegliere l’eletto e possa ritenersi personale un voto che è invece di fatto spersonalizzato.
La parola ora spetta alla Corte, ma la Cassazione dà corpo a tutta una serie di rilievi da tempo avanzati dagli osservatori che il legislatore costituzionale ed ordinario non potrà ignorare.