Pisa

IL GRAZIE DELLA DIOCESI A MONSIGNOR ALESSANDRO PLOTTI

La prima lettura della Messa di questa domenica, in un testo che fa da paradigma per ogni realtà ecclesiale, indica anzitutto come dimensione fondante della prima comunità cristiana l’assiduità nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli.Mi sembra si debba rintracciare qui la natura intima, il cuore pulsante di quello che è il mistero della Chiesa e della presenza in essa del Vescovo, inviato sulla linea ininterrotta della successione apostolica… E quindi il senso di quello che noi, Chiesa che è in Pisa, abbiamo vissuto sotto la presidenza, la guida, la paternità e l’affetto di Alessandro Plotti, per quasi ventidue anni nostro Arcivescovo. Diventare vescovo – assumendo la responsabilità, la cura e il governo di una comunità diocesana – non è uno scatto di carriera, un modo per “mettersi a posto” nell’apparato ecclesiastico. Nel misterioso disegno della provvidenza – all’interno di quella misericordia divina che campeggia nello stemma episcopale di Mons. Plotti e che, per disposizione di Giovanni Paolo II, dà il titolo a questa seconda domenica di Pasqua – quello che avviene quando un pastore assume la guida di una Chiesa locale è l’estensione, nel tempo e su un territorio particolare, della testimonianza apostolica che proclama e certifica che il Signore Gesù è risorto, che è stato riconosciuto da Pietro e dagli altri apostoli, che si è più volte mostrato ai suoi discepoli, ha mangiato con loro, si è fatto toccare da Tommaso fin dentro la ferita del costato… perché anche noi credessimo il Lui!Ogni Vescovo, in definitiva, non fa altro che annunciare quello stesso evento, farci toccare con mano la stessa presenza salvifica e liberante, affidarci – come dice Paolo al momento del congedo definitivo dalla Chiesa di Efeso – al Signore e alla parola della sua grazia. Prima e più di ogni altra cosa legata alle qualità personali, ai progetti umani, agli assetti ecclesiastici e alle contingenze dei tempi e dei luoghi, il Vescovo è canale della Grazia divina, portatore della Parola che non passa, amministratore e dispensatore di una ricchezza di cui non è padrone e che resta e si accresce al di là di lui… E quindi è questo il momento per dire grazie, con docilità e riconoscenza verso la volontà divina e anche la disponibilità umana, un grazie che ciascuno che è qui (e tanti altri per varie cause assenti) si sente di dire per molti motivi:- per la testimonianza che Mons. Plotti ci ha dato di una presenza e una disponibilità illuminate dalla Parola di Dio, diventata di volta in volta annuncio, spiegazione, approfondimento, traduzione nelle più diverse situazioni di vita e quindi esortazione, richiamo, incoraggiamento, sostegno… - per il servizio e il ministero che ha dato sostanza a un’esistenza sacerdotale vissuta come offerta di sé per il bene del popolo, resa visibile e fruibile a partire dai gesti sacramentali – in particolare la presidenza dell’Eucaristia, il dono dello Spirito Santo attraverso la Cresima, il conferimento dell’Ordine sacro nei suoi tre gradi- per la sollecitudine suscitatrice di vera promozione umana e sociale, coltivata con lo stile del dialogo e la disponibilità alla collaborazione nelle realtà “esterne”, nelle diverse articolazioni civili e territoriali, tenendo sempre lo sguardo libero e ampio sulla vita concreta delle persone e sul mondo intero. Nelle parrocchie e nelle assemblee scolastiche, nei consigli comunali e nel carcere, nell’università e nei luoghi di lavoro, a fare festa con i giovani e sostando accanto ai malati e ai sofferenti, ascoltando i poveracci come i ricchi e i potenti, possiamo dire dell’Arcivescovo Alessandro che ha reso vera ed evidente per noi, in questi lunghi anni, l’affermazione dell’apostolo Paolo: “mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno”.E che ha tentato con tutte le Sue forze di mostrare il volto di una Chiesa in cui non c’è posto per i “profeti di sventura”, come ha avuto modo di ricordarci durante la recente 45.ma Settimana Sociale da Lui voluta nella nostra città, nel solco della fiduciosa affermazione di Giovanni XXIII e di tutta la grande lezione del Concilio Vaticano II.Una Chiesa del servizio e della speranza, della carità e della prossimità, della passione per la giustizia e per la pace, sempre a partire dall’annuncio di quella “verità che ci fa liberi”. Dei tanti pensieri, ricordi, progetti e passioni condivisi in questi anni con Lei da parte della nostra Chiesa locale – e trovando spesso eco e talora sintonia con le persone e le realtà sociali più diverse e magari ritenute “lontane” – mi sembra di aver individuato una sorta di intonazione di fondo, o una specie di filo rosso, in un’affermazione di Paolo VI: “avremo un periodo nella vita della Chiesa, e perciò di ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori (…). Sarà temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà che tanto interessò la prima generazione cristiana…”.La Chiesa come esperienza di libertà è un dono – oserei dire una scoperta – che attorno a Lei, per quasi ventidue anni, abbiamo avuto la fortuna, anzi la Grazia, di sperimentare. Nel vento dello Spirito la Chiesa pisana ha con Lei camminato, faticato, sofferto e gioito. Costantemente – preti e diaconi, religiosi, religiose e laici – Lei ha voluto renderci partecipi e corresponsabili costruttori di comunità, testimoni del Vangelo a partire dalla personale vocazione di ciascuno, dalla comune appartenenza ecclesiale, dalla disponibilità a metterci in gioco per condividere progetti comuni.

Adesso Lei ci lascia, ma non col cuore e con la preghiera. Noi attendiamo con speranza e con disponibilità di vivere una nuova stagione ecclesiale, ci disponiamo a nuove semine e nuovi raccolti con la stessa fiducia nei disegni della benevolenza divina che La condusse tra noi dalla Chiesa di Roma e che ora, di vicino a Roma, riconduce qui Mons. Giovanni Paolo Benotto, nostro fratello nella fede e da domenica prossima per noi padre e pastore.

Pensando alla Sua improrogabile partenza alla volta di Roma, mi sono ricordato di quello che il Suo predecessore, il compianto Mons. Benvenuto Matteucci, era solito dire: “Un Vescovo a Roma è come un crocifisso in una bottega: non si leva il cappello nessuno”. L’ironia toscana stempera ma non elimina qualche preoccupazione per il Suo futuro di Vescovo senza più una comunità di riferimento quotidiano, fisico e reale. Ma in molti siamo certi che ci sarà chi continuerà a levarsi il cappello davanti a Lei… Fuor di metafora: il Suo magistero, la Sua capacità di leggere le sfide del presente per trovare le vie dell’annuncio e della testimonianza cristiana, la Sua carità pastorale che sa farsi disponibilità a guidare e accompagnare i credenti e ogni persona in ricerca avrà nuove, inedite possibilità di manifestarsi, di illuminare e orientare. A noi resterà, insieme alla certezza di un legame di fede e di Grazia, il tesoro prezioso di un padre che si è fatto amico e compagno di viaggio.Questo ci spinge stasera, nonostante il dolore del distacco, a guardare avanti, prendere il largo verso nuovi orizzonti e gettare ancora le reti.