Opinioni & Commenti
Il governo che non c’è
Le elezioni non sono un sondaggio che si ripete periodicamente per tastare il polso dell’opinione pubblica. Sono un passaggio cruciale della vita di una democrazia che, nel nostro sistema costituzionale, dà luogo a una rappresentanza parlamentare ben definita. Ed è da questa che bisogna inevitabilmente partire per risolvere il rebus della formazione del nuovo governo. Si possono anche tenere presenti i risultati delle consultazioni locali che nel frattempo sono intervenute (come il voto in Molise e in Friuli-Venezia Giulia) ma essi non cambiano la realtà del Parlamento eletto con il voto del 4 marzo.
Un voto che ha registrato con estrema chiarezza l’emergere prorompente di due forze (il M5S e la Lega, quest’ultima dentro la coalizione di centrodestra) e il netto calo di altre (Pd e Forza Italia, anche quest’ultima nella coalizione di centrodestra), ma che a dispetto della narrazione corrente non è interpretabile semplicisticamente in termini di «vincitori e vinti». Se fosse possibile, a questo punto l’Italia avrebbe già da qualche settimana un nuovo governo nella pienezza dei suoi poteri, mentre in tutta evidenza non è così. Purtroppo, il percorso delle consultazioni gestite con esemplare linearità e trasparenza da parte del Capo dello Stato, ha messo finora in luce l’incapacità dei principali soggetti rappresentati in Parlamento – nessuno escluso – di costruire gli accordi necessari per far nascere un nuovo governo. La retorica dei «vincitori e vinti» rischia di diventare paradossalmente la gabbia (o l’alibi) che impedisce di dare al Paese un nuovo esecutivo.
Di retorica in retorica, anche il tormentone del «rispetto del voto degli elettori» (concetto in sé sacrosanto), si scontra con la constatazione che a due mesi dalle elezioni le forze che hanno portato in Parlamento deputati e senatori non sono state in grado di utilizzare i consensi raccolti per assicurare un governo agli italiani. Questa è la prima e più grave mancanza di rispetto per il mandato ricevuto dagli elettori, non questa o quella formula di governo. E suonerebbe veramente come una beffa se questa mancanza dovesse condurre a un repentino ritorno alle urne. Tanto più se ciò avvenisse senza avere creato le condizioni per il non ripetersi dello stallo. Il problema è che, come in una sorta di campagna elettorale permanente, il pensiero dei partiti sembra essere rivolto – in positivo o in negativo – soprattutto a una prossima tornata elettorale che si presume ravvicinata, più che alle esigenze di un presente che incalza e di un futuro che richiederebbe un respiro largo. Peraltro ormai non ci sono più neanche teoricamente i tempi per azzardare un voto pre-estivo. Se ne parlerebbe comunque in autunno, a quel punto dopo il varo della legge di bilancio.
Ma per arrivarci bisognerà comunque trovare una soluzione interlocutoria. I cultori della materia hanno già ripescato dagli archivi i «governi balneari». Per certi versi questa Terza Repubblica ricorda tanto la Prima. Ma in realtà è molto, molto diversa.